Restare fermi [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

 

L’altro giorno ho fatto quattro passi sotto i portici della mia città.
Il salotto buono, così si dice.
In casa personalmente ho un solo salotto. Se però avessi almeno due salotti e uno di questi fosse il salotto buono probabilmente ci sarebbe un motivo.

Un arredamento un filo più sofisticato, un paio di opere d’arte di qualità superiore, alcuni libri pregiati in bellavista, uno strumento musicale di liuteria, insomma tutta una serie di piccole grandi cose che farebbero la differenza tra invitare gente nel salotto buono anziché in salotto.

È anche vero che ci sono conoscenti che non mi passerebbe minimamente per la testa di invitare neppure in veranda ma con gli amici, quelli veri, e con i parenti stretti certamente farei due chiacchiere nel salotto buono sorseggiando un liquorino.

Lo stesso giorno vedo affiggere i manifesti elettorali con volti più o meno noti del panorama politico locale.
Ogni quattro cinque anni cambiano i volti, spesso sono sempre gli stessi; non cambia però la sostanza.
Mi piacerebbe chiedere a codeste persone quale sia la loro idea di salotto buono, di welfare, scuola, sanità. Però mi piacerebbe farlo non nel momento in cui si trovano in entrata (o comunque in permanenza) ma più semplicemente in uscita, al termine di un ciclo, quando la campagna elettorale non ha un’ipotesi sul futuro ma più semplicemente un riscontro del passato appena trascorso.

Rivendico la libertà di cambiare idea, quella che la costituzione ci dona.
Apprezzo anche il vantaggio di trovarsi di fronte ad un ventaglio di idee innumerevoli.
Il timore è però che questo ventaglio di scelte, prima o poi, si esaurisca e quindi si ricada nella scelta errata: quella di restare fermi.

Non mi è mai piaciuto stare fermo.
Mi ci ha fatto riflettere pochi giorni fa un amico, medico e agopuntore, da cui mi sono recato per una seduta.
“Per te stare fermo equivale alla morte….?” dice.
Nell’immediato penso si riferisca al fatto che mi muovo costantemente sul lettino, prono e con gli aghetti conficcati in varie parti del corpo.
Mi scuso, poi mi rendo conto di sbagliare.
Non mi sta invitando ad essere meno agitato lì ed ora, si riferisce al mio modo abituale di affrontare le cose della quotidianità.

Cribbio – penso – ha ragione: preferisco muovermi.
E mi piacerebbe che lo facessero tutte le persone.
Se restare fermi equivale a morire, stiamo vivendo in un mondo di zombie.