Guardative! [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

 

Gli italiani sono strani.

Certo anche i tedeschi hanno le loro paturnie con quei calzini sotto i sandali.

E che dire dei cugini transalpini che non distinguono un bidet da uno scaldabagno?

Per tacere degli spagnoli che parlano sguaiatamente a voce alta anche nel cuore di una cerimonia sacra.

Noi italiani però battiamo tutti.

Se non altro perché il corpo del nostro stivale è snello ed allungato a differenza di quei territori tozzi e massicci che sono Germania, Francia e Spagna.

La disinvolta figura slanciata dell’Italia è frutto di centinaia dialetti diversi tra loro, lontani migliaia di chilometri ed incomprensibili l’un l’altro.

Siccome poi i dialetti condizionano la lingua italiana parlata, possiamo assistere a scene di vita quotidiana di rara bellezza, degne della miglior cinematografia neorealista degli anni Cinquanta.

In una località di villeggiatura in pieno agosto si incrociano genti di ogni parte del mondo.

Io osservo, mi guardo intorno e ascolto con attenzione.

Mi affascina capire l’ambiente circostante, probabilmente si tratta di deformazione professionale (dico io) o solo curiosità (dice mia moglie).

Due ragazzine sui dieci anni si sistemano davanti ad una piccola chiesa, mano nella mano, pronte ad essere immortalate per una fotografia dal padre.

Le ragazzine ridono e si divertono, rivolte verso l’obiettivo.

“Guardative!” dice loro il fotografo dapprima pacatamente.

Loro si guardano, smorzando appena il sorriso, senza capire.

Io resto a distanza e mi gusto la scena, intorno una folla ignara che passa e va.

“Aò! Guardative!” con maggior veemenza e tono inequivocabilmente romanesco.

Il sorriso delle piccole si è spento totalmente e si è trasferito a me che comincio a ridere da solo come un deficiente.

Mia moglie esce dal negozio di souvenir a fianco alla chiesina e mi trova lì, a sghignazzare come non mi capitava di fare dal racconto di una stupida barzelletta una sera d’estate del 1982.

Mentre ci allontaniamo provo a spiegarle il motivo del divertimento.

Ride anche lei contagiata più dalla mia interpretazione che dall’episodio in sé.

La sera, dopo cena, immagino quel padre ancora lì, davanti alla piccola chiesa che prova a spiegare inutilmente il significato di un verbo che non esiste, frutto di un italiano contaminato dal dialetto, le bambine invecchiate, rivolte verso l’obiettivo senza capire la parola per loro del tutto nuova.

Ho provato a spiegarmi l’accaduto.

Il papà avrebbe voluto che le bimbe guardassero l’obiettivo ma girassero il loro corpo l’una all’altra in maniera speculare; questo mi è parso di capire anche dai movimenti delle mani che provavano a rafforzare quel “Guardative!” già sostenuto da un “Aò!” che stava per “Ci vogliamo sbrigare?”

Noi italiani siamo strani.

Cerchiamo la sintesi e ci perdiamo in una parola.