La chiesa e l’oratorio di San Rocco [Un tuffo nel passato]

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frisina_caldi Tony Frisina

 

 

 

Nelle ultime rubriche ho spesso parlato del potere evocativo posseduto dalle immagini e ne ho scritto forse in misura anche maggiore rispetto a ciò che avrei potuto raccontare circa il soggetto raffigurato.

Quando si è davanti alla riproduzione fotografica di un luogo che in passato ci ha visti protagonisti – infatti – non si può fare a meno di pensare a certe vicende, a piccoli fatti, a persone e ai pochi o molti momenti, più o meno importanti, che ci legano a quel posto. Anche e soprattutto la cartolina che propongo oggi – almeno per me – è la conferma di quanto ho appena dichiarato.

È stata spedita nel lontano 1915 – poco più di un secolo fa – e quindi l’immagine rappresentata è di certo più vecchia; tanti dei miei amici parrocchiani, guardandola, penseranno ai loro momenti trascorsi nell’oratorio, al tempo passato nella chiesa parrocchiale dei Santi Barnaba e Rocco e nella piccola piazza antistante.

La gradevole successione di colonne e di archi del porticato che si osserva in cartolina, nel corso degli anni è stata completamente trasformata. In corrispondenza degli archi quando frequentavo questi luoghi si trovavano delle banalissime finestre che davano luce a un lungo e insignificante corridoio, che procede parallelamente al corpo principale dell’edificio religioso partendo dalla piazza, esattamente dal portoncino visibile nella cartolina proposta la scorsa settimana. Non saprei dire se nel corso di tutti questi anni siano state apportate ulteriori modifiche.

Noi ragazzi – all’epoca – dicendo “Vado a San Rocco” intendevamo dire che ci saremmo recati all’oratorio, forse nel cortile… e – in ultima ipotesi – in chiesa. I ricordi personali che mi legano a questi luoghi hanno inizio intorno ai primi anni ’60 e non vanno oltre il 1970; di alcune vicende ho già raccontato la settimana scorsa.

Le mie reminiscenze risalgono al tempo in cui ancora il cortile in cui si giocava a pallone era inghiaiato (tranne la parte adiacente al convitto che era già in cemento) ed era molto più spazioso che non in seguito; infatti non era stata costruita ancora la palazzina che avrebbe ampliato la ricettività del convitto (e ristretto il cortile). Forse ho incominciato a non frequentare più l’oratorio (e la chiesa) proprio negli anni in cui si procedeva con questa costruzione.

1---Abside-San-Rocco-e-cortile-oratorio
2---Convitto-e-canonica

Le fotografie che propongo sono state scattate nel febbraio 2016.  Nel corso degli anni il luogo ha subìto parecchie trasformazioni. La pavimentazione, le lampade per l’illuminazione, i vasi in cemento, la fontanella e molti altri piccoli dettagli sono stati aggiunti o sono stati modificati.

Ricordo i giochi nel cortile in certi giorni estivi, col sole che infuocava l’aria e noi ragazzini, mai stanchi, che correvamo dietro al pallone e che giocavamo a rubabandiera.

Scrivendo queste note mi sovviene qualche strofa del testo di una canzone scritta da Vito Pallavicini per la musica di Paolo ConteAzzurro – resa celebre nel 1968 da Adriano Celentano, seppure da solo nell’oratorio non credo di essere mai rimasto.

Un prete sorvegliava discretamente i nostri schiamazzi. Era una persona brillante e molto amica dei giovani. Un prete a posto! Tanti, se non tutti, lo chiamavano erroneamente don Domenico, storpiando inconsapevolmente il suo cognome. Infatti all’anagrafe era Giovanni Battista Menegus[1] (direttore del Pensionato Sant’Antonio – che aveva sede proprio nelle pertinenze parrocchiali – tra gli anni 1968 e 1973). Per il suo carattere alla buona entrava in sintonia con i giovani e con loro scherzava sovente; ricordo di averlo visto molte volte tirare quattro calci al pallone in compagnia dei giovani.

Due figure caratteristiche, due derelitti, gravitavano nell’orbita della Parrocchia, rendendosi utili con piccoli e umili servigi (o forse sgobbando tutto il giorno) per guadagnarsi un piatto di minestra e un pagliericcio su cui passare le notti.

I loro nomi erano Rico e Natale. A entrambi mancava un venerdì… ma non erano cattivi.

Di Rico ho vaghi ricordi fisici e qualche amico mi ricorda – fra l’altro – che fosse pure balbuziente. Una cosa però la ricordo bene. Quando qualcuno gli urlava la fantomatica frase dal sapore vagamente littorio e condita da un intarsio umoristico… Eia! Eia! Eia! Butangas!!! il povero Rico diventava furente (per meglio dire si incazzava come una biglia) rincorrendo – vanamente – il ragazzo che aveva osato lanciargli contro quell’urlo di guerra. Erano momenti di altissimo divertimento per tutti. Dopo diversi giorni, si tornava a sentir echeggiare la frase che aveva il potere di caricare Rico di un furore incontenibile, con conseguente vana rincorsa del provocatore in calzoni corti e risate generali di tutti i presenti.

Rico e Natale erano due poveri cristi comunque amati dai ragazzi.

Una terza figura caratteristica, presente nell’ambito parrocchiale di San Rocco era un certo Moro. Credo di ricordare che di nome facesse Giovanni Battista.

Moro, come lo chiamavamo tutti, avrebbe voluto essere prete – e da prete si vestiva – ma forse la sua semplicità non gli aveva permesso di avere successo negli studi… un semplicione anch’esso ma nonostante le apparenze dotato di una certa cultura e sicuramente di un carattere amabile. Era una bravissima persona e sapeva farsi voler bene dai ragazzi. Forse gli volevamo ancora più bene perché capivamo quanto fosse sfruttato per via del suo carattere docile e remissivo. Si occupava di infinite incombenze e faceva anche il sacrestano. Insomma, era usato per ogni necessità.

Corre voce che Moro fosse di nobili origini venete e che alla sua morte avesse lasciato una discreta fortuna…

Don Lucian,[2] di cui avevo accennato una prodezza nella rubrica della scorsa settimana, possedeva una certa capacità nel gioco del ping pong [3] e ricordo di averci giocato assieme e di averlo visto diverse volte cimentarsi in vivaci gare con i ragazzi dell’oratorio. Tutto sommato era un bravo prete e ricordo che quando mi appassionai di fotografia fu proprio lui a insegnarmi i segreti dell’otturatore, del diaframma della profondità di campo e della messa a fuoco. Posseggo ancora in un cassetto una finta penna stilografica regalatami proprio da don Lucian. Inserendo un cappuccio da una parte della penna al posto del pennino veniva fuori un morbidissimo pennello di martora da utilizzare per la pulizia dell’obiettivo.

Uno che non si muoveva mai con un certo vigore e tantomeno lo si è mai visto correre era don Ugo,[4] che – sebbene all’epoca navigasse intorno ai cinquant’anni o poco più – pareva schiacciato dal peso dell’età.

Di don Ugo Cruciani voglio ancora accennare un fatterello interessante.

In occasione del battesimo del mio bambino ricordo che avesse avuto da ridire sulla scelta del nome… Secondo lui Ivano [5] non era in linea con i nomi dei santi cristiani da lui conosciuti o preferiti e ricordo – inoltre – che avesse bofonchiato qualcosa a proposito di tale scelta…

(Aneddoto che ricorda vagamente un brano dei Promessi Sposi… “Questo battesimo non s’ha da fare…”).

Poi però il battesimo si fece… andò a buon fine e non si fu costretti a cambiare luogo per l’amministrazione del sacramento.

Per me e per la mia famiglia comunque non sarebbe stato un dramma, anzi!

E ora due parole sull’edificio religioso.

La Chiesa di San Rocco ha origini antiche: edificata in altre forme nel XII secolo, dall’ordine degli Umiliati, era un tempo dedicata a San Giovanni del Cappuccio. Dopo la soppressione dell’ordine degli Umiliati, il convento e la chiesa passarono alla gestione di altri ordini religiosi; col tempo furono apportate modifiche murarie e ristrutturazioni. Il tempio fu poi ricostruito nel 1779 in stile barocco. Nel 1830, la Confraternita dei Santi Barnaba e Rocco subentrò e la chiesa fu dedicata a San Rocco.

Negli anni intorno alla Prima Guerra Mondiale venne trasformata in magazzino per foraggi e nel 1924 fu eletta parrocchia.

Molto interessante il campanile, di forme in parte romaniche e in parte gotiche.

Importante ancora ricordare l’organo a canne dei Fratelli Lingiardi del 1854 (e restaurato in anni recenti) e la presenza di una tela del pittore alessandrino Francesco Mensi.

Chiesa-di-San-Rocco---Chiostro

san_rocco_oggi
La situazione attuale.

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[1] http://www.unangelo.it/figli%20della%20Divina%20Provvidenza/M/Menegus%20Giovanni%20B.htm

[2] http://www.unangelo.it/figli%20della%20Divina%20Provvidenza/L/Lucian%20Francesco.htm

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Tennistavolo

[4] http://www.unangelo.it/figli%20della%20Divina%20Provvidenza/C/Cruciani%20Ugo.htm

[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Ivano