Recovery Fund: sarà il nuovo Piano Marshall? [Piemonte Economy]

di Cristina Bargero

 

 

Era necessaria una pandemia drammatica come quella del coronavirus, con il suo impatto sanitario e economico, che ha varcato rapidamente ogni confine nazionale ed ha galoppato tra i continenti, per far ritrovare un‘anima e uno spirito solidale all’Europa. Quell’Europa di cui nel lontano 1948 proprio nelle nostre terre, al Santuario di Crea, Alcide De Gasperi (nella foto sotto), allora Presidente del Consiglio, e Bidault, Ministro degli Esteri francesi, iniziavano a mettere i primi tasselli.

De Gasperi in un suo discorso  in Senato nel 1950 pronunciò parole dal forte spirito europeista:  “Qualcuno ha detto che la federazione europea è un mito. E’ vero, ma ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti tra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza e la pace, se non questo sforzo verso l’Unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza, il mito della propria bandiera, sia pure accompagnato dall’eroismo? Ma allora noi creeremo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico: questo è un mito di pace; questa è pace; questa è la strada che dobbiamo seguire”.

L’Europa allora usciva da un sanguinoso conflitto mondiale, oggi la vera guerra rischiava di essere quella economica, con risvolti pesanti sul fronte della tenuta sociale.  Il Recovery Fund, che  per la prima volta mette in comune il debito, prevede per il nostro Paese  81 miliardi di euro in sovvenzioni e 127 miliardi in crediti. 

Dopo aver combattuto contro i paesi frugali, ora la vera battaglia sarà sul come spendere i fondi per non perdere un’occasione irripetibile. E quel che è necessario per l’Italia, guardando alla situazione economica e sociale, è un nuovo Piano Marshall. Uno degli aspetti principali su cui concentrare risorse è quello delle infrastrutture, non solo in chiave keynesiana di moltiplicatore dell’economia, ma come condizione essenziale per la competitività di una nazione, grazie cui usufruire di servizi di qualità. La  relazione positiva tra infrastrutture e crescita è assodata dalla letteratura economica, anche se l’intensità di tale relazione è connessa alle modalità con cui vengono impiegate le risorse, alla programmazione di lungo periodo e alle interazioni tra livelli di governo e pubblico e privato.

Reti di trasporto (le cronache di queste settimane relative alle autostrade liguri sono illuminanti) stradali e ferroviarie, sia relative ai grandi assi che alla viabilità minore, favorendo le connessioni ferroviarie anche tra centri minori, telematiche (il Piano per la Banda Ultralarga procede a rilento) e idriche (il 25% delle tubature italiane ha più di 50 anni) costituiscono una priorità.

Ad esse si aggiunge un piano per l’edilizia scolastica e sanitaria, entrambe oggi bisognose di interventi di ristrutturazione e ammodernamento.

Ed infine occorre adottare  una nuova politica industriale con un occhio particolare al Made in Italy e alle specializzazioni metalmeccaniche di alto valore aggiunto, focalizzata sulla creazione di piattaforme digitali, di centri di trasferimento tecnologico e sulla creazione di competenze.