Penna, bisturi, pistola [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

Io lo vedo.

L’ho visto negli anni, qualche volta accade.

Quella penna sul diario dell’alunno, malcapitato di turno, verga con rabbia repressa un’insufficienza; è una lieve insufficienza che si aggrava nel momento in cui ti ricordi di quando il mese scorso ti mancò di rispetto alzando il dito medio mentre hai voltato le spalle.

Qui entrano in gioco la professionalità e l’intelligenza.

È fin troppo evidente che un insegnante non può – e non deve – farsi condizionare dall’atteggiamento arrogante ed immaturo di un adolescente (suvvia, chi non ha mandato a spigolare un prof?).

Proprio per questo la soglia di attenzione a misurare l’equilibrio tra disponibilità e distanza va tenuta alta.

Da questi fondamentali riconosci il buon insegnante dall’insegnante mediocre.

Essere medico non è facile.

Giuri davanti alla storia di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute.

Poi un giorno ti appresti a salvare la vita di qualcuno che in cuor tuo non merita di vivere.

Lo apri, cerchi comunque di riparare il danno perché sai che è la cosa giusta.

Compiuta la missione sei cosciente che la giustizia divina, per fortuna, non ti appartiene.

Ho sempre avuto un’idea chiara su cosa sia bene e cosa male.

Da una parte i delinquenti, dall’altra le forze dell’ordine.

Con il tempo la parola ordine ha suscitato in me una certa idiosincrasia. Mettere in ordine la scrivania è necessario, mettere ordine nella società mi crea ansia.

Per questo motivo da tempo diffido di coloro che parlano di ordine come di una condizione indispensabile per vivere bene.

L’ordine deve esistere in ciascuno di noi, non al di fuori.

Se ciascuno utilizzasse le armi di cui dispone con coscienza – penna, bisturi o pistola che siano – non sentiremmo l’impellenza che qualcuno ci debba ricordare quali siano i buoni e i cattivi.

Ho voluto fare ordine tra le mie parole.