Quando Borg posò lo sguardo su Eve di Annarita Stella Petrino [ALlibri]

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a cura di Angelo Marenzana

 

Ancora un appuntamento con la fantascienza. Ospite di ALlibri è Annarita Stella Petrino, abruzzese, appassionata del genere fin dall’età di tredici anni, da quando ebbe modo di conoscere i libri di Isaac Asimov e i suoi robot. Da allora ha pubblicato diversi racconti su riviste di fantascienza, webzine e siti. Nel 2004 esce il suo primo romanzo di fantascienza “Ragnatela Dimensionale” nella collana “I Delfini” della Delos Books di Milano ottenendo anche importanti riconoscimenti per la sua attività letteraria.

Quando Borg posò lo sguardo su Eve (edito da Tabula Fati) racconta di Lilandra Nassir, una borg (ovvero un essere per metà umano e metà robot) cresciuta nella Tenuta di famiglia sita nella Contea Alpigeon insieme ai suoi genitori Andreor e Aurosa. Nell’alternarsi delle due uniche stagioni rimaste, la Primavera e l’Inverno, dopo la fine di una terribile guerra che ha portato alla quasi totale estinzione degli esseri umani, i borg hanno reso loro schiavi gli esseri umani rimasti e ripopolato le zone devastate dal conflitto. La Diciottesima Primavera vede apparire piccoli, ma letali, focolai di ribellione di alcuni esseri umani uniti nel Gruppo di Resistenza contro il dominio dei borg. Della loro furia omicida cadono vittime molte famiglie borg e gli stessi genitori di Lilandra, ormai costretta a scappare e a fingersi una ragazza umana di nome Eve Harcheon, per poter aver salva la vita, ma anche per intraprendere una lunga e faticosa ricerca che la porterà a smascherare gli assassini dei suoi genitori e a scoprire la verità sul suo passato. L’incontro e l’amore nei confronti di Xavier Baldis, uno dei leader del Gruppo di Resistenza, la porta a fare i conti con una parte di sé con cui ha sempre dovuto combattere: la parte umana, dono della sua madre biologica, Marion, morta dopo averla data alla luce.

Buona lettura con la Parte prima di Quando Borg posò lo sguardo su Eve

I

Lilandra si sporse cauta dall’angolo del muro di siepi. Si guardò intorno e fece qualche passo. Non appena sentì un fruscio alle sue spalle, scoppiò a ridere e riprese a correre. Luka, che un momento prima era stato sul punto di afferrarla, si ritrovò ad annaspare nel vuoto.

«Prendimi, se ci riesci!» urlò la ragazza già lontana.

I capelli biondi e ricci ondeggiavano al vento e gli occhi verdi risplendevano nella luce del tardo pomeriggio. Corse lungo il viale che portava al Cancello Ovest, mentre ai suoi lati scorrevano le alte piante di valanchi bianchi in fiore. I grandi fusti si incurvavano nella parte finale, andando a incontrare quelli del lato opposto in un inestricabile abbraccio. I suoi stivaletti in cuoio nero bollito con il tacco rinforzato assunsero un curioso colorito bronzeo a causa della terra del viale che era di un rosso acceso. Il Cancello chiuso si stagliava imponente davanti a lei, un insieme di sbarre di iridio dritte e slanciate che gettavano lampi azzurri tutt’intorno. Poco prima di arrivargli vicino, Lilandra svoltò bruscamente a destra e si tuffò all’interno di un piccolo sentiero che si apriva tra le grandi siepi della zona vicino all’alto muro di cinta e sbucava nel cortile lastricato di pietre rosa antistante l’ingresso della villa. Alle sue spalle c’era il Cancello Principale, un complicato intreccio di ferro e rame che riproduceva l’immagine stilizzata di due grandi draghi che si fronteggiavano. Il riflesso della luce del sole creava l’effetto di scaglie dorate sui loro corpi e di fiamme dalla loro bocca.

Poco prima di raggiungere l’ingresso, Lilandra fu costretta a fermarsi davanti a un anziano uomo di colore che indossava una livrea blu da maggiordomo, i cui legacci in corda color argento erano perfettamente simmetrici.

«Quante volte devo ripetervi di non correre a questo modo, signorina Lilandra?»

«Sempre a brontolare, Samoshi!» rispose lei, ridendo.

«Sapete bene che vostro padre non vuole che trascorriate troppo tempo con la servitù fuori dalla villa,» continuò il vecchio, lanciando un’occhiataccia a Luka, che arrivava in quel momento.

«Giuro che questa volta l’idea è stata sua!» si giustificò il giovane, ansimando.

«Non importa!» tuonò il vecchio. «Sai bene quali sono gli ordini del padrone. Ora vai nelle scuderie a finire il tuo lavoro!»

Il giovane si allontanò a malincuore, dopo aver salutato Lilandra con un gesto della mano.

«Perché devi sempre rimproverarlo, Samoshi? È vero, l’idea è stata mia, e me ne assumo tutta la responsabilità.»

Sul volto rugoso del vecchio apparve un sorriso.  «Molto bene, perché vostro padre vi sta aspettando nel suo studio.»

Lilandra prese a tormentarsi uno dei riccioli mentre lo scrutava, cercando di capire se stesse dicendo la verità o meno.

«A dopo, allora,» disse infine.

Raggiunse la grande scalinata di granito che portava all’ingresso della villa. L’ampio atrio interno era decisamente più fresco rispetto a fuori: si era all’inizio della Sedicesima Primavera e le giornate erano molto calde e a tratti afose.

Il lucido pavimento di mogano nero non era certo adatto alle corse. Per questo motivo, il solo fatto di entrare nella villa costringeva Lilandra a riprendere l’andatura che si addiceva al suo rango. Si aggiustò la lunga gonna rossa a balze, scuotendola per far cadere la polvere. Si avvicinò a un grande specchio alla sua destra, incastonato nel muro e circondato da un motivo di rose d’acciaio. Cercò di sistemare i capelli scompigliati e si accorse di avere le guance rosse. Sbuffò: succedeva ogni volta che correva, non poteva farci nulla. Dall’atrio due grandi scalinate portavano ai piani superiori, dove si trovava lo studio di suo padre. Lei imboccò quella di destra, godendo della piacevole frescura del corrimano in pietra, quindi si diresse con sicurezza verso il corridoio centrale del secondo piano.

Giunta davanti alla lucida porta di legno bianco, tirò un bel respiro e bussò. Una voce dall’interno la invitò a entrare.

«Volevate vedermi, padre?» chiese facendo capolino.

Andreor Nassir sollevò lo sguardo dalle carte sparse sul ripiano della scrivania. «Entra pure, cara,» disse, quindi si alzò e le fece segno di accomodarsi.

In quel momento Lilandra si accorse della presenza della madre, Aurosa.

«Buongiorno, madre.»

«Buongiorno, tesoro. Vieni, siediti qui vicino a me.»

La ragazza ubbidì, seguita dallo sguardo intenso di Aurosa. Lilandra non poté evitare di confrontare la propria tenuta stropicciata con quella della madre, che indossava un vestito di raso verde con corte maniche a sbuffo e guanti lunghi fino al gomito. I capelli mossi, di un caldo mogano, erano perfettamente raccolti in alto, dietro la testa.

Il padre indugiò qualche istante in piedi, dopodiché si accomodò di fronte a loro in una delle poltrone del piccolo salottino candido al centro della stanza, circondato dalle librerie tubolari che correvano sulle pareti, cariche di testi di varia natura. Le vetrate rifrangenti filtravano la luce e la diffondevano intorno.

Andreor Nassir era alto e aveva un’aria austera, i capelli spruzzati di bianco e gli occhi di un profondo verde bottiglia. Era in tenuta da casa, con un completo di velluto scuro chiuso da una fila di bottoni argentati.

«Non so davvero cosa fare con te, Lilandra,» iniziò sporgendosi in avanti e lanciando un’occhiata di disapprovazione agli stivaletti impolverati. «Ho cercato tante volte di spiegarti che la tua posizione ti impone di mantenere un certo contegno, ma tu sembri non voler dare ascolto e continui ad assumere atteggiamenti imbarazzanti.» La figlia non osò guardarlo negli occhi e lui continuò. «Sei una Nassir e non devi mischiarti alla servitù. Se non ti deciderai a ubbidirmi, sarò costretto a prendere dei seri provvedimenti.»

Lei rimase con lo sguardo fisso a terra. Non era certo la prima volta che il padre le faceva la predica, ma le sembrava di notare qualcosa di diverso nel suo tono, come se fosse… preoccupato.

«Quello che stiamo cercando di dirti,» intervenne la madre, «è che ormai hai due Primavere e due Inverni, e dunque non sei più una piccola borg. Ci aspettiamo che tu prenda coscienza di quali sono i tuoi doveri e che cominci a comportarti con maggiore maturità.»

«Va’ pure, ora,» la congedò il padre.

Lilandra si alzò e accennò un inchino in segno di saluto. Prima che arrivasse alla porta, il borg parlò ancora. «Quasi dimenticavo. Domani avremo a cena gli Armon. So che tu e il loro figlio Ericor vi siete già conosciuti in passato, non è così?»

«Sì, padre, abbiamo scambiato qualche parola in occasione dei ricevimenti. Adesso posso andare?»

«Ma certo.»

 

«Non credi di essere stato troppo duro con lei?» chiese Aurosa quando la porta si richiuse.

Il borg si alzò e andò alla finestra; il sole si nascondeva lentamente dietro la muraglia di colline sfumate che circondavano la Tenuta. «Non ho potuto fare altrimenti. Le notizie che mi arrivano ogni giorno non sono per niente rassicuranti e noi abbiamo il dovere di proteggere il futuro di nostra figlia. Ormai è grande, l’hai detto anche tu.»

«Oh Andreor, due Primavere e due Inverni non sono poi così tanto per una ragazza borg. Lilandra ha sempre vissuto qui alla villa, sa così poco del mondo che c’è là fuori.»

«Secondo il vecchio conteggio del tempo nostra figlia ha vent’anni, Aurosa. È abbastanza matura per non comportarsi più come una ragazzina.»

«Se questo è vero, allora anche noi dobbiamo smetterla di trattarla come se fosse ancora una piccola borg e spiegarle come è fatto il mondo, il nostro mondo in particolare. Non ha senso tenerla all’oscuro, non credi?»

Andreor si girò a guardare sua moglie: aveva di nuovo quell’espressione negli occhi, quella che gli faceva soppesare le sue decisioni non una, ma cento volte. Chinò il capo. «La Contea Gildeon è stata attaccata dal Gruppo di Resistenza. La Tenuta Pesa non esiste più… Nessun sopravvissuto, nessuno che possa raccontare come sono andate le cose. Non voglio che Lilandra passi troppo tempo con gli esseri umani. Non è come in passato, Aurosa. Essi non ci ubbidiscono più e sono pronti a ribellarsi alla prima occasione.»

«Alcuni dei nostri servi sono con noi da molti anni…»

«Questo non cambia le cose. Non possiamo fidarci di nessuno, non più. Il mondo sta cambiando. Di nuovo.»