Ricordi di un tempo passato…ma ora pensiamo al futuro!! [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

 

 

C’era una volta…così iniziano tutte le storie, a maggior ragione la storia di una città, la nostra città, Alessandria. Una città sorta in epoca medievale e via via giunta fino ai nostri giorni sia pur tra mille avventure concluse con la sua unificazione sancita il 17 marzo 1861.
Dobbiamo però attendere la terza guerra d’Indipendenza per ottenere l’adesione del Veneto nel 1866 e, da ultimo, con la “breccia di Porta Pia”, lo Stato Pontificio è costretto a rinunciare alle sue pretese territoriali ritirandosi all’interno delle mura Vaticane, in tal modo consentendo il completamento del puzzle che divideva l’Italia in ben sette stati.
Ma, come pare espresse Massimo D’Azeglio, “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”! E questa è la grande scommessa che tentiamo di vincere ancora oggi dopo 159 anni dalla “Breccia” su citata. Una Italia che tutti, almeno a parole, vorrebbero finalmente più coesa e meno polemica dalle Alpi, giù giù fino al “Tacco” e alle Isole che fanno da corona a quello che, tuttavia, a parere di chi scrive, è pur sempre il più bel Paese del Mondo.
Con l’abbattimento dei bastioni prese vigore il mercato del bestiame e chi non ricorda, parliamo dell’immediatto dopoguerra, le diverse Fiere di San Giorgio dove venivano esibiti e contrattati i migliori animali da cortile per non parlare del bestiame da lavoro e da macello. Sì è vero, la Fiera di San Giorgio, almeno sulla carta esiste ancora, anche se ridotta ad esposizione floreale…ma tant’è ci si è messo anche il Coronavirus, e ha costretto gli organizzatori ad alzare bandiera bianca!
Era una festa vedere la piazza d’Armi invasa, non più da cannoni o soldati intenti a fare esercitazioni militari, ma da trattori di ogni tipo e dimensione oltre, perché nò, da splendide vetture da diporto per spostarsi da una città all’altra. Insomma, i primi anni del dopoguerra consentirono agli alessandrini e non solo loro, ad assaporare quello che fu poi riconosciuto come il cosiddetto “Miracolo Economico”.
Il periodo storico che stiamo vivendo attualmente, soprattutto dopo la pandemia del Coronavirus, è qualcosa che ancora non abbiamo metabolizzato appieno anche se, ne sono certo, riusciremo a toglierci di dosso questo fardello che ci impedisce di esprimere tutte le capacità di cui è ricco il Paese, il nostro Paese!
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Unità nazionale
Il compimento dell’Unità d’Italia, con Roma Capitale, venne festeggiato anche in Alessandria con manifestazioni popolari di giubilo e grandi luminarie. In conseguenza della presa di Roma, 2.000 “papalini” con 200 Ufficiali vennero portati nella nostra Cittadella: agli Ufficiali fu concesso di circolare in Città, però in abito borghese! Frattanto al comando della nostra Divisione Militare ritornò per breve tempo il Generale Nino Bixio.
Gli eventi che portarono alla Unità della Nazione, il trasporto della capitale da Torino a Firenze prima (1865) poi a Roma, tolsero definitivamente il rango di fortezza di primo ordine alla nostra Alessandria. Già nel 1872 si iniziò il primo spianamento dei bastioni da Piazza Tanaro, ma saranno poi necessari ben cinquanta anni da allora, prima di vedere completamente smantellate le vecchie mura e colmati i fossati con conseguente notevole sviluppo edilizio e risanamento anche climatico.
Nel 1874 Piazza Tanaro liberata dalle strutture militari diventerà sede di uno dei maggiori mercati di bestiame di tutto il Piemonte. Già nel 1870 si era tenuta da noi una prima Esposizione Agricola Industriale, con grande concorso di forestieri: sarà quello l’inizio della ripresa dell’antica Fiera di S. Giorgio concessa da Francesco II Sforza nel 1525.
E come nel 1189, alla fondazione della Città, si erano da noi affermati come “Maestri Lanieri” il famosi Monaci Umiliati, sicché per quella lavorazione in carte del 1548, la città ebbe il titolo di “Alexandriae Europae”, così sul finire del secolo scorso, Alessandria sarà ancora conosciuta in tutto il mondo per l’industria del “Cappello” di feltro.
Nel 1874 il Comune provvede alla numeraione delle case con nuova elencazione e nomenclatura delle vie cittadine: molte denominazioni di allora resistono tutt’ora. Ancora il Comune attese in quel tempo al restauro delle proprietà municipali e volle per il Palazzo di Città, la tinta in rosso, per cui fu sovente chiamata “Palazzo Rosso”.
L’anagrafe all’anno 1871, denunziava per la Città e sobborghi, 57.079 abitanti.
Piero Angiolini 1956