Quel che sta di sotto sta dovunque [Il Superstite 484]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

Per una serie di concatenazioni casuali per  lui poco felici, l’opera dell’inglese William Hope Hodgson (1877-1918) resta un esempio quasi doloroso di prodigiosa febbre della scrittura non adeguatamente ripagata dal pubblico dei tempi. Dalla sua vita troppo breve, conclusasi in trincea a soli 41 anni, bilanciata da una densissima produzione di seminale ricaduta per le future evoluzioni del genere gotico, a una certa disattenzione nei confronti dei suoi titoli (forse anche colpa di una produzione sovrabbondante), la corta parabola vitale di Hodgson sembra quasi un paradigma premoderno da potersi ancora applicare all’epoca attuale.

Le certezze interpretative ne ricordano l’amplissimo immaginario di natura marittima che lo accosta da un lato al sommo Lovecraft (non a caso uno dei suoi più ferventi ammiratori) [1] e dall’altro, in chiave prodromica, a Jean Ray, laddove si racconta di mostruosità marine contro le quali si battono eroici marinai a bordo di fragili navi in balia di nebbie e di acque misteriose e sconosciute. Una cifra narrativa accompagnata, pare per ragioni praticamente alimentari, da un filone parallelo di supernatural detection impersonato da Thomas Carnacki, una sorta di Sherlock Holmes del mondo occulto, sulla linea di Harry Dickson, ancora da Jean Ray e di John Silence, nato dalla penna di Argenon Blackwood.

Ma è tutto qui? No. Se è vero che in Italia nel suo complesso non è moltissima in senso quantitativo la saggistica cartacea su Hodgson, è altrettanto vero che quella più o meno reperibile (ci riferiamo soprattutto alla prefazione di Fusco e De Turris Il mare e i suoi simboli nella letteratura fantastica al romanzo Naufragio nell’ignoto [2] e al saggio di Giuseppe Lippi La voce dell’abisso  in Dylan Dog – L’almanacco della paura 2001 [3]) è imprescindibile e sostanziale, così come altri notevoli interventi visualizzabili in rete. Questo per ribadire l’ovvio, ovvero che non si può essere da parte nostra tanto originali nella ricerca di un’aggiornata chiave interpretativa per addentrarsi nell’opera densa e fitta di questo fondamentale autore. Ed essendo stato Hodgson molto amato da Lovecraft, va da da sé che lo amino alla stessa stregua quei saggisti lovecraftiani (l’avanguardia italica l’ho appena citata) che hanno dedicato tanta parte della propria vita professionale alla diffusione delle opere del solitario di Providence. Poetica marittima a parte e comunque acquisita, proprio Lippi ci fa dono di un’intuizione non evitabile dalla quale partire per dimostrare la straordinaria contemporaneità di un autore morto un secolo fa.

“Per Hodgson”, scrisse Giuseppe, “il terrore nasce dall’abisso, da ciò che sta sotto di noi. Questa intuizione è ribadita dall’autore stesso che, parlando del suo romanzo The House on the Borderland – titolo originale de La casa sull’abisso – confessa di avere tentato di creare ‘un’immagine dell’inferno’, il regno abissale per antonomasia. Ma i moderni psicologi restano colpiti da un’altra, evidente analogia: quella con gli strati profondi della mente, il ricettacolo di paure ancestrali. Di questa sfera nascosta l’immagine forse più appropriata è il mare, simbolo dell’inconscio: con i suoi fondali misteriosi esso diventa per Hodgson l’ambiente ideale per molte affascinanti storie dell’orrore.”

Perciò, liquida o solida che sia, la superficie sotto gli umani piedi – la fonte del terrore – sta appunto,  “di sotto”. Certo, Hodgson scrive nel suo massimo fulgore in una contemporanea quasi perfetta con la divulgazione della nascente psicoanalisi e l’analogia con le mostruosità – ricacciate perché non riconosciute – dell’inconscio ci sta a un millimetro dal naso. Ma la questione è più sottile. E anche più “metafisicamente” inquietante.

In uno straordinario saggio del 1994 [4] Mario Maffi compie un viaggio culturalmente esaustivo nei sotterranei d’America, definendo “il sotto” – al di là di una sua specificità geografica che nel caso in questione non ha proprio senso –  come “un’archeologia della mente e della cultura, dell’inconscio individuale”. Quel non-luogo dell’anti-mito e dell’incubo della modernità che s’identifica con  la metropolitana è il riferimento sostanziale di Maffi, ma è molto probabile che le Cose che si agitano nel Sotto si agitano ovunque nel mondo e ovunque all’interno della mente collettiva. “La metropolitana, questo ‘sotto’ della città-America, è una metafora forte e polisemica, capace di valenze contrastanti, intrecciata di simboli e tòpoi classici e proverbiali nella loro complessità: la discesa e l’ingresso, il movimento attraverso il labirinto, la mappa parallela della città sotterranea, le proiezioni individuali e sociali. E dunque, su di essa convergono, inevitabilmente, ansietà e curiosità, tensioni e aneliti.”

Numerosi gli esempi forniti da Maffi a sostegno della tesi del “Sotto” come luogo del terrore. Film come New York ore 3: l’ora dei vigliacchi, I guerrieri della notte e, persino, Il pianeta proibito (qui Maffi sottolinea un interessante ribaltamento, collegando la rassicurante sotterraneità della stazione spaziale all’inquieta superficie visitata dall’entità maligna – salvo poi rovesciare di nuovo i termini, mostrando come quell’entità di superficie altro non sia che la proiezione che viene dalle profondità dell’inconscio); nonché testi come Notes from Undergound del performer radiofonico Eric Bogosian, Dutchman di LeRoy Hones, Nilly Budd marinaio di Herman Melville, Chiamalo sonno di Henry Roth. Le avventure di Gordon Pym di Poe e più che significanti in questo elenco La tomba di famiglia e Le montagne della follia di Lovecraft. Il tutto a surrogare la tesi, più che condivisibile, che la modernità della vita “di sopra” è legata a un’antichità mostruosa e inconoscibile che giace al di sotto di essa.

Come scriveva Gian Maria Panizza [5] svariati anni fa, “all’origine della modernità ha inizio la risalita dell’inferno… che inizia il suo cammino come metafora e come condizione, invade e pervade il paesaggio mondano mentre la sua originaria situazione si fa sempre meno definita e concreta.” A tanta invasione che rende città e corpi infestati alla stessa stregua, si oppone l’esigenza di ricacciare l’inferno e l’Ombra del medesimo là da dove si era manifestato, nel profondo. Avviene nelle arti visive come al cinema dove si potrebbe addirittura configurare un filone caratterizzato dalla “Poetica del Sotto” (di fogne, cantine e metropolitane haunted abbonda l’horror degli ultimi decenni), in letteratura (ottimo esempio paradigmatico, I cacciatori del sottosuolo di John Saul [6].,in cui, nelle viscere di Manhattan, nel ventre di New York, vivono migliaia di reietti emarginati che riforniscono la presa venatoria di un gruppo di crudeli e sadici miliardari), e  persino nel mondo reale dove, in una surreale sarabanda d’inversione di codici, l’immaginario sembra quasi prendere il dominio sulla ragione e sulla obiettività della visione (si vedano a mo’ di esempio l’assurda piaga rumena di alcuni anni fa dei bambini nelle fogne di Bucarest).

Allora, dopo questo dispiego assolutamente funzionale di esempi illustri in bilico tra finzione e mondo reale, torniamo all’intenzione  autentica di Hodgson, ovvero l’individuazione di un inferno, aereo o liquido, come piaga infestante che contamina la “percezione” delle vittime alla stregua di un cancro simbiotico, sia in terra che sul mare. Certo, transitiamo attraverso la convenzione della “risalita”, ma una volta che l’inferno è qui, attorno a noi, i riferimenti dimensionali saltano – e da qui si può capire l’ammirazione di Lovecraft per lo scrittore irlandese. Ed ecco prepotenti le analogie con l’inconscio.

Torneremo su Hodsgon in una delle prossime puntate della rubrica.

 

 

[1]    Nel suo celebre saggio L’orrore soprannaturale nella letteratura (1927), ecco come con poche pennellate Lovecraft riassume lo stato dell’arte del collega britannico: “Hodgson è oggi molto meno noto di quanto meriterebbe, ma è forse secondo solo a Blackwood quanto alla serietà con cui tratta l’irreale. Pochi lo eguagliano nel lasciare intravedere la vicinanza di forze innominate e mostruose entità assalitrici, attraverso casuali accenni e dettagli insignificanti, o nel richiamare sensazioni dello spettrale e dell’anormale in rapporto a regioni o edifici.”

[2]    Naufragio nell’ignoto (The Boats of the «Glenn Carrig), Fanucci, Roma, 1974.

[3]    Almanacco della paura 2001 a cura di Graziano Frediani, Sergio Bonelli, Milano, 2001.

[4]    Mario Maffi, Sotterranei – The Subway and the Cellar,  Acoma n° 2, Rivista Internazionale di Studi Nord-Americani, Shake Edizioni, Milano, 1994.

[5]    Gian Maria Panizza, L’inferno come spettacolo: da Swift a King, in Rivista di Estetica n° 30, Rosenberg & Sellier, Torino, 1988.

[6]    John Saul, I cacciatori del sottosuolo (The Manhattan Hunt Club), Baldini & Castoldi Dalai Editore, Milano, 2004.