Il calcio svuotato (e rabboccato) [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

Siamo lontani dalla partita di calcio Italia-Germania 4-3; in questi giorni ricorre l’anniversario dei suoi cinquant’anni.

Messico 1970, ci dicono.

Marte un milione di anni avanti Cristo, secondo me.

Mercoledì sera ho assistito a sprazzi (e per una manciata di minuti, nove forse dieci in totale) alla finale di Coppa Italia tra Juve e Napoli.

Noia mista a senso d’inutilità.

Cronaca.

Inno di Mameli: esecuzione incerta e – aldilà della dimenticanza del testo – scarsamente intonata.

Novanta minuti: silenzio che pervade la vacuità di uno sport ormai ombra di sé, decadenza della qualità tecnica ed emotiva del gioco giocato.

Telecronista: preso dalla necessità di narrare qualcosa di utile, raccoglie il lato umano della serata, evidenziando il dramma vissuto da Ringhio Gattuso per la perdita della giovane sorella.

Fischio al novantesimo: calci di rigore, nessun sussulto.

Fischio finale: non avrei gioito per una vittoria bianconera, non mi sono abbacchiato per la sconfitta.

 

Da ragazzini giocavamo a calcio, in cortile.

Non c’era pubblico, ci immaginavamo uno stadio strapieno accompagnando le nostre gesta con la voce, simulando il tifo attraverso un suono gutturale, lungo, monotono ma bello.

Un colpo di tacco, una veronica, un dribbling repentino era sottolineato dall’aumento del volume di quel suono.

I goal risuonavano pesantemente sulla porta metallica del garage, era il tripudio dei centomila immaginari. E poi giù commenti alla maniera di Sandro Ciotti o Enrico Ameri fino a scoppiare di stanchezza e con la gola rasa al suolo.

Rendere epico il passato è un esercizio di memoria importante; il tempo intercorso tra l’allora e l’oggi è periodo di sedimentazione allo stato puro.

Nel setaccio personale però restano solo gli eventi, le emozioni, i volti che meritano il ricordo.

Se noi siamo bravi a trasferire ai giovani quelle sensazioni, filtrate dalla memoria e dunque stratificate per importanza, i giovani saranno davvero depositari della vera memoria.

Le modalità moderne di memoria accumulano infinità di dati, gigabyte di freddezza, cartelle di immagini davanti alle quali tutti restiamo inebetiti.

Dobbiamo essere obiettivi, non sostituiranno mai il ricordo di quell’imperfetto lungo suono gutturale.

Il calcio di oggi è carico di immagini ma vuoto come una bellissima botte di rovere vuota.

Anzi peggio: è finito il pregiato vino barricato ed è stato sostituito da acqua torbida.

Il problema è questo. Ci stiamo abituando a tutto, anche ad acqua sporca venduta per vino d’eccellenza.

Ma il mondo va avanti.

Per fortuna molte persone la pensano differentemente.

Su tutte, la dichiarazione del governatore De Luca: “Lunga vita al catenaccio, che si conferma uno strumento di perfida efficacia nel fare impazzire gli avversari, e capace di produrre un godimento sportivo di rara intensità” (da “La Repubblica” del 19 giugno 2020).

E giù feste di piazza!