Quando Cerutti era sinonimo di Casale Monferrato [Piemonte Economy]

di Cristina Bargero

Le economie dei territori hanno le loro fabbriche simbolo, quelle in cui trovare occupazione costituiva un sogno, in cui si sono succedute generazioni, dove il rapporto tra proprietà e operai era quasi confidenziale e le tensioni sindacali quasi inesistenti.

Cerutti ha rappresentato tutto ciò per Casale Monferrato.

Erano gli anni del boom, l’economia correva veloce, la cittadina piemontese sulle rive del Po, capitale del distretto del freddo, costituiva uno dei centri più vivaci del triangolo industriale e davanti allo stabilimento delle Officine Meccaniche Cerutti di Oltreponte nelle ore di cambio turno vi era un incredibile viavai.

L’avvento del XXI secolo, con la delocalizzazione di molte attività e la concorrenza dei prezzi da parte delle produzioni localizzate nel Sud-est asiatico, porta con sé le prime avvisaglie della crisi di alcuni settori del manifatturiero piemontese e alessandrino.

L’azienda di rotative per la stampa casalese, tuttavia, negli anni ’90 e 2000 continua ad investire, acquisendo concorrenti in tutto il mondo, aprendo due centri ricerche, di cui uno a Vercelli e l’altro in India, innovando nel campo della stampa flexografica che permette l’uso del colore nei quotidiani.

Nel 2006 il gruppo Cerutti fatturava circa 262 milioni di Euro (163 la sola capogruppo), con 1.237 dipendenti.

Ma l’avvento prepotente dell’era Internet mise pesantemente in crisi la carta stampata: negli ultimi sei anni il Corriere della Sera ha perso il 41,8% delle copie, Repubblica il 50,29%, il Sole 24 Ore il 53,62% e la Stampa il 41,05%, cosicchè molte testate sono emigrate verso il supporto digitale, facendo esplodere il giornalismo online.

Nonostante gli sforzi da parte della proprietà, relativi soprattutto agli aspetti occupazionali, l’azienda nel 2013 si è trovata costretta a chiedere il concordato preventivo, con dismissione di una serie di asset e partecipazioni ritenute «non più strategiche» per la prosecuzione dell’attività di impresa «nella nuova (e ridotta) realtà industriale.

In questi anni l’impresa ha riconvertito parte della produzione verso macchinari per l’imballaggio nel settore alimentare, intrapreso trattative per l’ingresso di nuovi soci, finalizzate a dare liquidità.

Il Covid, con il conseguente lockdown ha fatto precipitare la situazione, con la chiusura dello stabilimento di Vercelli e un nuovo piano industriale della durata di tre anni, che prevede una Newco attiva a Casale che impiegherà 128 dipendenti e la cassa integrazione fino a gennaio per gli altri 280 dipendenti.

E’ tempo che le istituzioni mettano in campo tutte gli strumenti finanziari e non, oltre agli ammortizzatori sociali, per consentire a un’impresa simbolo del capitalismo familiare dal volto umano e dell’Italia industriale che non si rassegna di poter tornare ad essere riferimento per il nostro territorio e soprattutto per i suoi lavoratori.