di Danilo Arona
Sotto la buona stella del Gotico Rurale – buona a seconda dei punti di vista, va da sé – fermenta a mio parere il meglio del gotico contemporaneo perché nulla risulta più impressionante ed efficace dal punto di vista narrativo della “permanenza” occultata e spesso invisibile dell’Antico rituale agreste, quasi sempre cruento, di cui l’Altro rimosso e ricacciato nei meandri dell’inconscio è sanguinoso portavoce.
Sotto questa limitante definizione – va da sé che la brevità della rubrica ha delle controindicazioni -, viaggiano titoli e autori, “scuole” e/o filoni, libri e film, rischiando di scoprire che l’Anima autentica del genere sia proprio questa. Pensiamo al Rural Horror angloamericano e alle sue troppe diramazioni Pagan/ Folk/Country che sono certo caselle utili per la critica ultraspecializzata, ma poi alla fine sempre si racconta di contesti “extraurbani” di campagna (o di collina provvista di occhi per non dire di montagna sempre occhiuta nel meraviglioso racconto di apertura di Tutto il nero del Piemonte, Quanti siete in famiglia di Sergio Pent, ma sto divagando e mi scuso…), nei quali irrompono elementi disturbatori o vittime sacrificali già scelte da tempo per lo scomodo ruolo.
Non è così facile contestualizzare il tempo di nascita del filone, tenendo conto degli sviluppi diversi, per quanto paralleli, di cinema e letteratura al proposito. Qui, nel mio modesto spazio di due o tre cartelle (che non posso contrapporre ai volumoni di critica, soprattutto anglosassone sull’argomento), mi limito a segnalare che la vulgata segnala quale capostipite di atmosfera e meccanismi La lotteria di Shirley Jackson (1947), uscito l’anno scorso per Adelphi come strepitoso graphic novel di Miles Hyman. Da qui ai giorni nostri è un continuo rimbalzo tra libri e film. Se pochi anni separano la novella della Jackson dal romanzo di Davis Grubb The Night of the Hunter, da cu Charles Laughton trasse il seminale La morte corre sul fiume del ’55, quanto mai Country Horror nell’estetica post-espressionista, ci pensa la fantascienza dell’età dell’oro a irrorare di inquietudini gotiche spacciate per alieni venuti dalle stelle (L’invasione degli ultracorpi, Ho sposato un mostro venuto dallo spazio, Gli invasori spaziali e altri ancora) le tranquille e “piccole città” del paesaggio americano della mente. È negli anni ’70 che il rural horror prende il volo in ambedue gli ambiti: arriva in libreria Thomas Tryon con L’altro e la Festa del Racconto, esce sullo schermo The Wicker Man di Robin Hardy, e da lì a poco Stephen King battezza – sgraffignadola allo spagnolo Serrador di Ma come si può uccidere un bambino? – la sua “Urbanoia” con il racconto I figli del granturco, che darà vita a un’altra decina di film seriali, divertenti solo per noi fan accaniti e assetati di sangue fresco. La morale è più o meno sempre la stessa: «per quanto sia come noi, la gente di città non ci piace e, se viene qui a rompere le scatole, la facciamo a fette, ma se non arriva nessuno dalla città, facciamo a fette qualcuno di noi».
In Italia il Gotico Rurale non ha che un nome in libreria, quello di Eraldo Baldini che cristallizza con la terminologia di genere una sua mirabolante antologia personale, mentre al cinema Pupi Avati di identico alveo culturale ci regala La casa dalle finestre che ridono e Zeder. Ci sarebbe un sacco di altra roba su cui soffermarmi, dai miei amici Nicola Lombardi a Ivan Zuccon (scrittore l’uno e regista l’altro), ma perdonatemi, sono qui per parlare dei neogotici piemontesi, Gli Strän, e soprattutto di uno di loro, Fabrizio Borgio, di cui è disponibile da pochi giorni il fulminante La festa di leva che consiglio a tutti coloro che amano essere presi per la gola (dalle parole scritte…), quando meno te l’aspetti.
Piemontese nel DNA e nel profondo, il racconto evoca certo grandi modelli quali La lotteria o Midsommar, ma ci troviamo dentro al cuore marcio del filone e il filone è proprio questo, che ti pugnala alla schiena laddove sei andato a riporre la massima fiducia nei “Mani” per quel che riguarda la tua vita e il tuo futuro. Sbagliando, non ci piove. Ora sapete chi sono i “Mani”, vero? No? Beh, in ogni caso il racconto conferma anche il Gotico Rurale è spesso, soprattutto, uno scontro generazionale. Descritto così, è anche geniale.
Borgio è scrittore puro, lineare, che procede senza sbavature e tentennamenti alla destinazione shock della sua opera, apprezzabilissimo nel dosaggio climax e anticlimax nei lavori di più ampio respiro quali Masche e Il Settimino e inarrivabile nella secchezza della short story. Ma in più, fatemi sbracare di campanilismo, c’è quel Piemonte horror che solo chi ci vive può raccontare, paradosso apparente che scaturisce da feste di paese, balli a palchetto, sconcertanti comunità arroccate attorno a castelli maledetti… Insomma, ragazzi, la normalità della nostra regione. Come recita un sottotitolo azzeccato di un saggio americano che non nomino, “l’orrore del luogo isolato e il terrore della strana normalità.” Appunto, Strän, e si chiamano Cometto, Sartirana, Mana, Defilippi, Musolino, Marenzana, Pezzin, Astori (Cristiana), Priarone. E ovviamente, oggi al centro della scena, Fabrizio Borgio.
Non dimenticatelo se vi invitano – tra un po’ quando cadranno le restrizioni per il COVID – a una “tradizionale” Festa della Leva…