Vittoria degli alessandrini sul Marchese Guglielmo VII detto il Lungaspada [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

 

 

Palazzo Vecchio o Palatium Vetus, dopo la Chiesa di Santa Maria del Castello, è senz’altro il più antico Palazzo di Alessandria. In origine fu il Palazzo del Pretorio, aveva un grande porticato che in epoca medievale era noto come (1) “broletto”, sotto il quale venivano affisse al pubblico le ordinanze; aveva portici lungo la via Migliara oltreché sull’attuale Piazza della Libertà ed un ingresso carraio sulla Cuntrà Larga (attualmente il numero civico 9 di via dei Martiri) tutt’ora esistente e attualmente di proprietà della famiglia Pedemonte. Venne restaurato da Napoleone che soppresse ogni porticato nonchè una cappella interna dedicata a S. Paolo. Fu Palazzo dei Governatori di Alessandria, ultimo dei quali fu il tristemente famoso Gabriele Galateri, Conte di Genola.
    
Le origini di Alessandria – spiega Piero Angiolini in un “Compendio di Storia municipale” del 1956 – risalgono a tempi assai lontani, addirittura nell’antico Castello aleramico di Rovereto, sorto fra i molti boschi di rovere (da quì Rovereto) grazie ad Aleramo, importante personaggio dell’epoca feudale, Signore di quella Marea Aleramica che, separata dalle langhe montuose, divenne poi il Marchesato di Monferrato, incomodo vicino di Alessandria.
Sull’incomodo vicino di Alessandria, ossia il Gran Marchese Guglielmo VII, esistono più versioni che riguardano la sua fine ingloriosa grazie all’intervento delle milizie alessandrine capitanate da Alberto Guasco D’Alice, il quale lo attirò nel casalese e lo sconfisse nella battaglia che si svolse fra S. Salvatore e Castelletto Monferrato il 10 settembre 1290.
Tradotto in Alessandria, su di una carretta normalmente usata dai contadini per caricarvi il fieno, come si evincerebbe dal quadro del pittore Massimo D’Azeglio (1798 – 1866) nel quale si vede il Lungaspada (foto sotto) ormai senza armatura in balia dei vincitori, in procinto di essere tradotto in Alessandria e lì rinchiuso in una gabbia di ferro, quindi appeso ed esposto al pubblico ludibrio all’esterno di Palatium Vetus dove morì dopo una lunga agonia il 6 febbraio 1292.
Altri cronisti dell’epoca riferiscono particolari incredibili a proposito della fine di Guglielmo. Non ultimo che gli Alessandrini introdussero nel cadavere lardo e piombo liquefatto per assicurarsi che veramente egli non fosse più vivo. Ma tali particolari, oltre ad essere di una ferocia inaudita, sono certamente prodotti dalla fantasia dei contemporanei, ai quali fece molta impressione la fine infelice di un personaggio che, vivo, tanto aveva fatto parlare di sè. Da ultimo, Salvatore Tricelli, il cronista degli Annali Genovesi, narra che Guglielmo morì in carcere e che quindi il suo cadavere fu posto nella piazza pubblica su un letto e vi fu lasciato tutto il giorno affinchè ciascuno fosse certo della morte di lui.
Per quanto riguarda la prigionia di Guglielmo (cita Salvatore Tricerri nella “Rivista di Storia Arte Archeologia) i cronisti astigiani sostengono che gli Alessandrini riuscirono a imprigionare il solo Marchese, che poi condussero nel Castelvecchio di Alessandria. Quivi giunti, lo posero in un carcere del detto castello e ve lo lasciarono coi piedi legati da due catene di ferro. Al contrario i cronisti monferrini dicono che il marchese andò veramente con l’esercito intero per punire gli Alessandrini, i quali non vollero riceverlo (?) se non con la sola sua famiglia. In tal modo essi levatisi in armi nel giorno seguente, poterono far prigione Guglielmo, sprovvisto dì soldati, nello stésso suo palazzo. Tenuto quindi, come già dicemmo, per due giorni entro ad un carcere privato (forse perchè nel frattempo si avesse modo di fare o restaurare quello in cui lo misero), il terzo giorno lo condussero in un certo ergastolo di legno, e qui lo rinchiusero.
Un’altra versione sosterrebbe che, giusto per compensare la perdita di Milano, Guglielmo VII ottenne la signoria su Alba. La figlia Violante sposò l’imperatore Andronico II Paleologo e la situazione politica sembrò stabilizzarsi. Ma le nuove campagne di Guglielmo si impantanarono in un continuo alternarsi di vittorie e sconfitte tanto veloci quanto effimere. Dopo aver riconquistato e riperso Alessandria per l’ennesima volta, gli astigiani corruppero gli alessandrini con una forte somma (85.000 fiorini d’oro) convincendoli a sollevarsi contro il marchese. Compreso quanto stava accadendo ad Alessandria, Guglielmo si spinse in armi fino davanti alla città, ove si accampò. Gli alessandrini lo convinsero allora ad entrare dentro le mura per negoziare, protetto solo da una piccola scorta. Venne allora catturato e rinchiuso nelle segrete del Castello. Guglielmo morì dopo un anno, il 6 febbraio 1292 forse di fame.
Il suo corpo, restituito ai sudditi, fu tumulato nell’abbazia cistercense di Santa Maria di Lucedio dove era già sepolto il padre. Insomma la fantasia popolare dimostrò ancora una volta di non conoscere confini di sorta per cui, dopo oltre nove secoli ancora non esiste alcuna certezza sul come effettivamente si svolsero quegli eventi.
Le foto, dall’alto in basso:
1) Broletto
 
2 – 3) Ingresso su Cuntrà Larga ora Via Migliara
 
4 – 5) Totale e ingrandimento del dipinto di Massimo D’Azeglio che rappresenta la cattura di Guglielmo VII nel 1290.
6) Palazzo Vecchio, 1950
 
============================
Strade e Contrade
19 – Ed eccoci al ben noto “Palatium Vetus” la più antica costruzione esistente in Alessandria, dopo la nota Chiesa di S. Maria di Castello. Pur non avendo l’imponenza di altri nostri Palazzi sorti in appresso, è tuttavia da considerarsi per la sua anzianità, severo e caratteristico, tenuto conto che prima dell’800 si presentava con un ampio e basso porticato sia sulla Piazza come lungo la via Migliara. Il porticato stesso venne chiuso nel periodo napoleonico quando, a compimento della nuova Piazza, si volle dare un nuovo aspetto urbanistico alm centro cittadino.
“Palazzo Vecchio” come già era chiamato, si presenta a noi con ben otto secoli di storia alessandrina, lungo periodo ricco di alterne vicende e di tanti episodi vissuti dai nostri progenitori dalla fondazione della Città sin oltre il raggiungimento dell’unità italiana. Possiamo quindidire che se il Duomo antico, al centrodella piazza, costituì per sette secoli il perno della vita religiosa, Palazzo Vecchio che gli stava proprio di fronte, a sua volta lo uguaglia, anzi lo sorpassa nel tempo, per le vicende in campo civile e politico.
Storico Palazzo quindi che specie in passato non dovevamancare di notorietà, diviso com’era su ben tre fronti e precisamente la Piazza e via Migliara nonchè la via Larga ora via dei Martiri. Per quanto riguarda quest’ultimolatosappiamo che alcuni anni fa in occasione di talune opere murarie alla casa Pedemonte al civico 5, si trovò che questa casa, che tutt’ora presenta talune servitù rispetto a Palazzo Vecchio, costituiva corpo unico con il Palazzo stesso.
Vennero allora scoperti taluni interessanti elementi originari dell’antica costruzione e precisamente alcune colonne con foglie angolari e capitelli su cui poggiavano un tempo ampie volte a cociera, in tutto simili ad altri elementi interni del nostro Palazzo. Fatto importante e decisivo, uno di questi capitelli recava ben visibile lo Scudo Crociato (Croce rossa in campo bianco): il ben noto Stemma della Città di Alessandria, concesso da Papa Alessandro III al tempo dei Comuni.
A quanto pare l’attuale ingresso al N. 5 sopra detto era già porta carraia di Palazzo Vecchio che immetteva nei cortiliinterni, di cui diremo altra volta. Di conseguenza si può rilevare che nei tempi lontani il nostro Palazzo si stendeva alquanto, seppure in modo non uniforme, proprio davanti alla stessa Cattedrale il cui portale di centro si apriva di fronte alla Contrada Larga, la strada tanto cara ainostri nonni.
Come ricordo storico possiamo quindi immaginare la ressa di popolo alessandrino accorsa a questa porta carraia il giorno 10 settembre 1290 per vedervi entrare prigioniero delle nostre milizie vittoriose, capitanate da Alice Guasco, il famoso Marchese di Monferrato detto il Lungaspada, sconfitto in quello stesso giorno nella battaglia di Castelletto Monferrato. Episodio troppo noto per essere ancora ripetuto e che invano attende il riconoscimento di una semplice iscrizione proprio sul nostro Palazzo Vecchio.
Piero Angiolini anno 1956