Piazza Rattazzi, il mercato, la belecalda, i cantastorie e Lucia Lunati #15 [Un tuffo nel passato]

frisina_caldi Tony Frisina

 

Carissimi lettori, la miniera dei ricordi che Lucia Lunati ci ha tramandato con il suo prezioso libro La mia cara Alessandria è quasi esaurita. Con curiosità stiamo leggendo le ultime pagine con un misto di simpatia, di commozione e di rammarico. Tanti i ricordi ma troppo pochi per la nostra smania di scavare nel passato della nostra città e cogliere quanto più possibile resta annidato nelle pieghe della piccola storia, quella fatta dalla gente comune e che colorava la vita della città di un tempo.

Rileggendo le pagine della nostra amica scrittrice, per pubblicarle in questa rubrica, non ho potuto far a meno di andare con la memoria ad almeno tre “episodi” del mio vissuto.

Io, figlio dei primi anni Cinquanta ho ben in mente tutti i personaggi di Carosello[1] , in particolare quelli presentati dopo il 1962. Quindi come fare a non pensare subito a Tacabanda, (Andrea e Oracolo) i due personaggi disegnati da Gino Gavioli[2] per reclamizzare i prodotti Doria (Biscotti, Cracker, Salatini)?

Si trattava di un duo dove il personaggio baffuto, il capo – omone rubicondo e sempre sorridente – al grido di “Tacabanda” dava avvio al concertino che in ogni puntata sottolineava ed accompagnava una divertente e strampalata storia. Il fido aiutante Oracolo – amato da tutti i bambini – sempre ubriaco gli faceva da spalla.

Nel corso della lettura i ricordi sono scivolati senza incontrare difficoltà a qualche anno dopo e precisamente alla trasmissione L’altra domenica di Renzo Arbore, nel corso della quale venivano presentati un paio di strampalati musicisti, il duo Otto e Barnelli[3] che, come in Tacabanda, suonavano in maniera divertente molti strumenti musicali.

Il terzo episodio dei tre anticipati poc’anzi mi riguarda più da vicino.

Non ho potuto leggere le vicissitudini di Lucia e della sua amica Elena in Piazza Rattazzi senza pensare all’amico poeta dialettale Sandro Locardi. Proprio agli esordi del suo fiorire poetico Sandro aveva dedicato una composizione in rima, in endecasillabi, al mercato di Piazza Rattazzi. Aveva descritto il luogo e la gente, i venditori e certi imbroglioni da fiera. Aveva raccontato la piazza, durante il mercato, come fosse stata il palcoscenico di un teatro. El mercà l’era ‘n teater è il titolo dell’opera contenuta nella raccolta La Sghiarola, Maxmi Editore, del 1989.

I miei ricordi relativi a Sandro Locardi ed a questa composizione riguardano anche tutto l’iter dell’elaborazione della poesia citata e a tutte le fasi per arrivare alla pubblicazione dell’opera. (Quanto rimpiango quei momenti!).

Ed ora la parola a Lucia Lunati.

“Quando con la mia amica Elena potevamo sgusciare di casa con qualche pretesto, andavamo filate in piazza Rattazzi nei giorni di mercato o di festa ad ascoltare i racconti disegnati o dipinti su cartelloni a pannelli, accompagnati dalla chitarra o dalla fisarmonica del cantastorie. Quale gioia poter seguire quelle vicende di fattacci, processi celebri, rapine, ecc. che con cantilene venivano illustrate oltre che dalla chitarra o fisarmonica anche da una specie di batteria ridotta, tutta addosso all’attore, aiutato da un ragazzino che reggeva il cartellone e gli faceva da coro. Aveva il tamburo fissato alla schiena con sopra i coperchi, i campanelli legati alle caviglie, un berretto a sonagli e manovrando un po’ sapientemente mani, piedi e testa tutti questi strumenti si mettevano in moto venendo fuori quanto era necessario ad attirare l’attenzione di tutti, con nostra grande gioia e divertimento.

I soggetti per i cartelloni variavano ogni tanto a seconda della cronaca, ma dovevano aver sempre molta presa sul pubblico con le figure oltre che con le parolone del «cantastorie». Vi era allora l’affare «Dreyfus»[4] che ancora se ne sentiva parlare appassionatamente e lo si vedeva dal tribunale militare all’isola della Guiana ove era stato confinato ingiustamente. Anche l’anarchico Caserio lo si vedeva in Francia dal processo alla ghigliottina.

Il brigante Musolino, che dopo tante scorribande e delitti era stato catturato per la sua distrazione non avendo visto un filo di ferro che lo fece inciampare e cadere. Oggi neppure un reticolato può fermare un bandito, però, il soggetto che teneva più tesa l’attenzione era sempre il nostro Maìno della Spinetta[5], il bandito di buon cuore che rubava per soccorrere i poveri. Che cosa ci fosse di vero allora non lo sapevo, ma questo era il soggetto sempre preferito e che teneva il cartellone per tanto tempo senza stancare. Quanta era la gente che si fermava a naso in su per sentire queste storie che il più delle volte si ripetevano a non finire.

A completare questo spettacolo all’aperto, vi era sempre il venditore di farinata «bela cauda», un certo Capè, non so se questo era un soprannome oppure si chiamasse Cappello che in alessandrino era appunto Capè.[6] Costui aveva un negozio-forno in via Mazzini, proprio a pochi passi da casa nostra. Per solito lasciava la moglie, spilorcia, nello spaccio e lui, col suo carrettino a due ruote, che allora non erano di gomma, e cigolavano da sentirle da lontano, portava calda calda la sua merce in giro spingendosi sin dove poteva e da tutti atteso. Il carrettino era attrezzato con un braciere sopra il quale vi era la teglia della farinata fatta di farina di ceci cotta al forno nell’olio. Chi non conosceva la «bela cauda» di Capè? Al lunedì, giorno di mercato che si svolgeva sulla piazza Rattazzi, lui si aggirava tra la gente lanciando con un grido a tutto fiato la sua merce sempre con successo.

Era una figura un po’ buffa, piccolo, rotondetto, con le gambe che parevano più corte del normale per la sua statura, portava un berretto alla sghimbescia e un grembiule di colore tra il grigio e il bleu che avrebbe dovuto dare l’impressione di pulizia e ordine. Ma non era così perché le due grandi tasche che aveva sul davanti e che adoperava continuamente per il servizio erano sempre unte e bisunte. Era svelto, preciso, tagliava la farinata velocemente a pezzi semicircolari da un lato e dall’altro un po’ rientrante da sembrare il pezzo più grosso di quanto veramente fosse. Però alla fine del servizio vi aggiungeva sempre un piccolo pezzo come «giunta» tanto che era diventato proverbiale «la giunta di Capè» per significare un piccolo favore. Portava con sé una scatoletta bucherellata con dentro il pepe in polvere per chi voleva una spruzzatina della droga sulle fettine che serviva su certa carta gialla, quasi lo stesso colore della farinata, carta un po’ spugnosa che assorbiva facilmente l’unto abbondante della farinata. Allora la carta oleata costava troppo per usarla per involgere un cibo così povero.

Faceva affari d’oro, e quando il mercato o il giorno di festa erano finiti e la piazza era sgombra, la si poteva vedere seminata da tanti tanti pezzi di carta gialla unta, testimonianza delle vendite di Capè.

La «bela cauda» era veramente buona, ben fatta, costava un centesimo alla fetta e quando potevamo arraffare qualche centesimo Elena ed io ci concedevamo questo piacere di gustare con gioia questa leccornia all’insaputa di tutti.

Non so se la mia cara amica viva ancora e ove si trovi, ne ho perse le tracce, sarei curiosa di sapere se anche lei riandando col pensiero abbia rivissuto questi ricordi della nostra spensierata e serena fanciullezza e con la stessa nostalgia e piacere con cui io li ripenso.”

A corredo di quanto oggi proposto allego quattro immagini del mercato di Piazza Rattazzi. Fotografie di un anonimo cittadino i cui negativi sono giunti a me, ad arricchire la già nutrita collezione di documenti d’epoca.

Piazza Rattazzi, il mercato, la belecalda, i cantastorie e Lucia Lunati #15 [Un tuffo nel passato] CorriereAl

Piazza Rattazzi, il mercato, la belecalda, i cantastorie e Lucia Lunati #15 [Un tuffo nel passato] CorriereAl 1

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Piazza Rattazzi, il mercato, la belecalda, i cantastorie e Lucia Lunati #15 [Un tuffo nel passato] CorriereAl 3

Cari lettori, l’appuntamento è per la prossima settimana.
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[1] Carosello è stato un programma televisivo italiano andato in onda sul Programma Nazionale e poi sulla Rete 1 della Rai dal 3 febbraio 1957 al 1º gennaio 1977.

[2] Tacabanda era il Carosello dei biscotti Doria.
L’ideatore Gino Gavioli così ricorda la nascita del Tacabanda: “A volte i personaggi nascono nei modi più diversi. Come il Tacabanda. Ero ad Amburgo e vedo un uomo che aveva dietro tutti questi strumenti. Mi fece colpo. Naturalmente per animarlo non avrei potuto mettergli tutti gli strumenti che aveva. Erano troppi, doveva avere un disegno più semplice. Qualche tempo dopo quando ci chiedono un nuovo carosello per la Doria, tiro fuori Tacabanda. Gli mettiamo una spalla, Oracolo, che fa questi strani versi ed ecco che il personaggio è nato.”
I deliziosi valzer per fisarmonica sono stati scritti da Franco Godi che sarà anche l’autore delle musiche di SuperGulp e dei cartoni animati di Bruno Bozzetto.

[3] Hans Otto Richter, violinista, nasce a Hameln il 20 maggio 1948, mentre Bernd Witthuser, chitarrista, nasce a Winterberg il 29 febbraio del 1944; dopo alcune esperienze musicali a metà degli anni ’70 i due si incontrano e decidono di formare il duo Otto e Barnelli, suonando per le strade d’Europa e recandosi poi in Italia.
Oltre ai due strumenti principali, violino e chitarra, suonano campanelli fissati sul cappello e alle caviglie, percuotono con un batacchio attaccato al gomito la grancassa piazzata sulla schiena e suonano la tromba e il kazoo.
I due vengono scoperti da Renzo Arbore, che li vede durante un’esibizione a un festival ad Arcidosso e che li scrittura per presentare sketch comico-musicali nel suo programma della domenica pomeriggio L’altra domenica, in onda dal 1976 al 1979 su Rai 2. [fonte Wikipedia]

[4] L’affare Dreyfus fu il maggiore conflitto politico e sociale della Terza Repubblica, scoppiato in Francia sul finire del XIX secolo, che divise il Paese dal 1894 al 1906, a seguito dell’accusa di tradimento e intelligenza con la Germania mossa al capitano alsaziano di origine ebraica Alfred Dreyfus, il quale era innocente. Il vero responsabile era difatti il colonnello Ferdinand Walsin Esterhazy. [fonte Wikipedia]

[5] Per quanto riguarda i ricordi di Lucia Lunati a proposito del brigante della Fraschetta, voglio precisare che la stampa dell’epoca e diverse biografie romanzate su Mayno (questa è la grafia esatta del cognome) hanno tramandato fatti e vicende non sempre reali e – quindi – la gente dei tempi della scrittrice e ancora molti ai nostri giorni confondono la storia vera con la leggenda. Chi fosse curioso di conoscere di più sulla vicenda può consultare in Rivista di Storia Arte e Archeologia per la provincia di Alessandria la vita di Mayno e gli atti del processo alla banda superstite dopo la morte del capo.

[6] Nel testo della Lunati questo nome è scritto con accento acuto finale; preferisco tramandarlo in maniera corretta in quanto, in dialetto alessandrino, la parola capè termina con la vocale aperta e di conseguenza l’accento deve essere grave, quindi: “è”.