Elogio di Conte [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

 

Devo confessare la mia abituale ritrosia all’elogio.

Mi imbarazza.

Mi imbarazzo addirittura quando gli elogi (spontanei e sentiti oppure forzati e di circostanza) sono rivolti a me. E dunque è forse per questa ragione che preferisco pensarlo, l’elogio, piuttosto che renderlo pubblico.

In questo frangente desidero però vuotare il sacco.

Una volta almeno voglio essere franco oltreché flessibile.

Vi prego, non me ne vogliate e accettate le considerazioni come atto di libertà e liberazione.

Le prime volte che vidi Conte mi rimase impresso il suo sorriso a metà, quasi mai portato all’eccesso.

Segno di prudenza, uno che non si lascia andare ai facili entusiasmi, pensavo.

Gli occhi vivaci e acuti evidenziavano una curiosità innata ma anche un rispetto profondo dell’interlocutore, giornalista o avversario che fosse.

La sua gestualità parca, magari non sempre misurata ma comunque spontanea, raccontava di un percorso di vita costruito con pazienza.

La credibilità guadagnata in Italia e all’estero ne premia il piglio e il cipiglio.

“È un duro – dicono i suoi – è un maniaco del lavoro ma i risultati si vedono”.

I quotidiani dediti anche agli aspetti di colore ne ritraggono le caratteristiche più piccanti.

Il Giornale di Alessandro Sallusti per esempio ha titolato: “Conte: così ai miei spiego come fare sesso” e a seguire nell’occhiello: “In periodo di competizione il rapporto non deve durare a lungo, bisogna fare il minor sforzo possibile quindi restando sotto la partner”.

Per questo ne canto l’elogio. Mi piace perché è uomo attento e oculato.

Conte, pugliese doc.

Conte, quanto lo apprezzo e quanto l’ho apprezzato.

Erano gli anni novanta: la maglia bianconera della Juve lo consacra a idolo dei tifosi, prima in sordina poi trascinatore e capitano vero in un periodo di successi.

Arriva la maglia azzurra a suggellarne la forza e il carattere: è uno che sa mettersi a disposizione, si dice.

Anche da allenatore ha saputo farsi amare. E rispettare.

Ben venga uno come lui.

Ce l’ho fatta!

Scusate ma avevo bisogno di liberarmi.