L’infettivologo Guido Chichino: “L’emergenza sanitaria non è finita: attenti a non abbassare la guardia…”. Ecco perché il Covid-19 fa più paura dell’Aids

print

di Ettore Grassano

 

 

“Stiamo affrontando un’emergenza sanitaria pesantissima, una vera guerra in trincea, e quando leggo date certe sulla fine dei contagi, addirittura regione per regione, mi viene da sorridere. Ma nonostante tutto, forse per età o esperienza, questa non è la situazione professionale più drammatica che sto affrontando: ai tempi dell’Aids, al Sert di Rozzano-Milano Sud dove come giovane medico facevo assistenza domiciliare, ho visto cose che voi umani…..”. Il Dottor Guido Chichino, Direttore del reparto di Infettivologia dell’ospedale “Santi Antonio Biagio e Cesare Arrigo” di Alessandria, ricorre ad una dotta citazione cinematografica, forse un po’ anche per esorcizzare la tensione di queste settimane: “del resto, chi per tutta la vita si confronta con virus e infezioni, in un momento come questo non può che mantenere la calma, e soprattutto basarsi sull’evidenza dei dati. Non siamo futurologici: dobbiamo affrontare il nemico con gli strumenti che abbiamo, e con la forza dell’esperienza”.

La provincia di Alessandria, percentualmente la più colpita del Piemonte dal Covid sia in termini di contagiati ufficiali che di morti, è stata definita ‘il fronte occidentale’ della pandemia in Italia, e se è vero che qualche spiraglio di luce si comincia a intravedere, il Dottor Chichino invita alla cautela: “la battaglia con il virus sarà lunga, e non vedo un vaccino alle porte: anche se sarei lieto di essere smentito domattina, ovviamente”.

Proviamo allora a capire qual è lo stato dell’arte, a casa nostra. Facendoci raccontare da uno dei protagonisti di questa emergenza come la sanità alessandrina sta fronteggiando lo tzunami che l’ha investita a partire dalla prima metà di marzo. Si poteva fare di più, e meglio? Medici e personale paramedico stanno pagando un conto personale molto elevato: sono stati lasciati soli, in prima linea? E che previsioni possiamo fare per i prossimi mesi: dovremo abituarci a convivere con il virus, e con quali conseguenze comportamentali per tutti noi?

 

Partiamo dall’oggi Dottor Chichino: a che punto siamo?
La curva dei contagi si sta abbassando, e i nostri ospedali non rischiano più di non poter ricoverare pazienti, come qualche settimana fa. Questo, in realtà, è stato il maggior risultato ottenuto dal ‘tutti a casa’, con lo stop di molte attività. Ma guai a illudersi: il virus è ancora qui, e lo dobbiamo affrontare giorno per giorno….

Un banale Coronavirus, una variante del raffreddore, si diceva all’inizio….
Un infettivologo sa che di banale non c’è mai nulla, soprattutto quando ci si trova di fronte a virus nuovi e sconosciuti. Non tocca a me naturalmente, e non è questa la sede, per occuparci dell’origine del Covid-19: anche se si tratta di un tema tutt’altro che scontato o banale. A me però come medico interessano gli effetti, tragici, sulla salute dei pazienti, e come cercare di sconfiggerlo.

Cura e vaccino arriveranno?
Eh, avessi queste risposte saremmo quasi a posto. Sul vaccino ho più di qualche perplessità, soprattutto per la rapidità con cui il virus sta mutando: oggi ci confrontiamo con un Covid già diverso rispetto a quello di due mesi fa. Poi magari domattina il vaccino arriva, e sarò il primo a felicitarmene: ma non lo dò per scontato. Le cure: se ne stanno sperimentando diverse, dagli antimalarici agli antinfiammatori, agli antitumorali. Diversi di questi medicinali in vitro danno ottimi risultati. In vivo, ossia nel corpo umano, la situazione si complica. Ossia: anche là dove la cura sembra funzionare, mancano dati: manca essenzialmente il fattore tempo, d’altra parte sono solo pochi mesi che il virus circola. Gli organi colpiti, dai polmoni ai reni, si rimetteranno al 100%, oppure no? Ovviamente dipende anche dalle condizioni pregresse, di partenza, ma non solo: credo che solo nei prossimi mesi, forse anni, avremo tutte le risposte.

Molti si chiedono: chi si ammala di Covid-19 e guarisce è immune per sempre, oppure no?
Altro bel dilemma. Anche qui, la parola definitiva spetterà al tempo. Esistono virus che danno immunità: una volta guarito sei a posto perché hai sviluppato gli anticorpi. Ma non è per tutti così. Non scordiamoci che parliamo pur sempre di un coronavirus, cioè di un ceppo di virus che di solito causano il raffreddore: e il raffreddore ce lo possiamo prendere tutti gli anni, come noto. Così come circola un’altra ipotesi: il virus evolve, ed evolvendo si indebolisce. Anche qui, esiste una letteratura medico scientifica molto variegata. Non sempre evoluzione significa indebolimento, purtroppo.

Ma se alla fine il virus sparisse da solo, così come è arrivato?
E’ già successo in diverse occasioni: si pensi alla Mers, o alla Sars. Malattie causate da CoronaVirus con una mortalità decisamente elevata, soprattutto il primo. Per i quali cura e vaccino non sono stati trovati: semplicemente si sono come spenti, anche se qualche caso molto raro in giro per il mondo ogni tanto ancora affiora. Come evolverà il Covid-19 ancora nessuno può dirlo.

Qualcuno lo paragona all’Aids…..
L’Hiv ha fatto 25 milioni di morti nel mondo, come la Spagnola alla fine della Prima Guerra Mondiale. Con la differenza che l’Aids li ha fatti in 25 anni, la Spagnola in 25 settimane. Intendo dire che la ‘spaventosità’ di un virus è anche legato alla sua epidemiologia, a come si manifesta. Personalmente, da giovane medico, ho vissuto in trincea la lotta all’Aids, tra il Policlinico di Pavia e il Sert di Rozzano, Milano Sud. Ne ho ricordi devastanti, ho visto situazioni e realtà ancora più drammatiche di quelle di oggi. Ma c’è una differenza: per contrarre l’Aids dovevi pur sempre “fare” qualcosa, quindi a livello psicologico ti sentivi meno esposto. Basta non fare questo e quest’altro, insomma, e me la cavo. Per prendersi il Covid-19 in fondo basta respirare: è questo che lo rende così socialmente spaventoso.

Parliamo di casa nostra Dottor Chichino: esiste un ‘caso’ Alessandria?
Non esageriamo: sicuramente siamo una delle province più colpite del Piemonte, per numero di contagi emersi, e per la rapidità con cui si sono manifestati, tutti insieme, il nostro sistema sanitario è stato sottoposto ad uno stress notevole. Si poteva fare di più, e meglio? La mia impressione è che tutti gli addetti del mondo sanitario, dai medici di famiglia agli ospedalieri, al personale infermieristico e di supporto, abbia dato e stia dando il massimo. Certamente c’è stata, nella fase iniziale, ossia a febbraio (in Gazzetta Ufficiale si parla di pandemia in arrivo in data 31 gennaio, ndr), una grave sottovalutazione del fenomeno, a livello governativo. Le Regioni si sono trovate a doversi muovere in ordine sparso, con una gravissima carenza, sul mercato, di strumenti e materiali di protezione (mascherine, guanti, tute ecc), e scorte inadeguate. Dato questo grave elemento iniziale, mi pare che ci sia mossi poi con la massima determinazione, e spesso anche sacrificio personale.

Alessandria è stata anche una delle prime realtà a sperimentare la cura del Covid dal proprio domicilio. E sul fronte tamponi non sono mancate inefficienze, si legge…
La cura da casa è stata promossa in prima istanza dalla dottoressa Paola Varese, oncologa di Ovada che ha contratto il virus, e che forte della sua esperienza professionale sul fronte della rete oncologica, ha proposto e promosso questo modello. Ottimo, a mio avviso, perché ha consentito di non ‘stressare’ oltremodo le strutture ospedaliere. Sulle modalità di realizzazione, e più in generale sulla gestione di tutta la vicenda tamponi, certamente qualche rallentamento di troppo, e qualche sbavatura, sono emerse. Non sta però naturalmente a me attribuire responsabilità.

L’Ospedale di Tortona, da subito, è diventato Centro Covid, dedicato esclusivamente ai malati di Coronavirus. Al Santi Antonio e Biagio come siete riusciti a gestire l’emergenza, senza interrompere ovviamente l’erogazione di tutte le altre prestazioni essenziali?
L’organizzazione complessivamente ha funzionato, e funziona. Ovviamente dobbiamo considerare che il reparto di Infettivologia, che dirigo, poteva contare su 24 posti letto, mentre siamo arrivati ad avere 200 ricoverati Covid-19, e attualmente sono circa 150. Abbiamo dovuto stravolgere l’attività di altri reparti, e contare sull’impegno senza sosta e risparmio di tanti colleghi di altre specialità. Nel mio staff potevo contare, ad inizio febbraio, su 5 medici specializzati: oggi sono 8, grazie a nuove assunzioni con contratto annuale, più 2 specializzandi. Tutti davvero, stiamo dando il massimo: sperando che basti.

Rsa/case di riposo: sono state e sono luoghi in cui il virus è esploso con particolare virulenza. Poteva andare diversamente?
Non mi faccia parlare di responsabilità: toccherà ad altri valutarle. Certamente il fenomeno non è stato solo alessandrino, ma tipico di tutte le aree in cui il Covid-10 si è manifestato con maggiore intensità. Non poteva che essere così: luoghi chiusi, con ospiti tutti anziani, molti dei quali con un quadro clinico fragile, o complicato. Una mia rapida esperienza famigliare, lo scorso anno, mi ha anche fatto scoprire che esiste spesso, in quei luoghi, una grande intimità tra operatori e ricoverati: si tende a coccolare l’anziano, abbracciarlo, baciarlo. Il che certamente, in tempi normali, ha connotati socialmente positivi: la casa di riposo non è un ospedale, un luogo di cura, ma una residenza di vita. Le interazioni umane e sociali sono fondamentali. Purtroppo questi comportamenti possono però anche aver ulteriormente aiutato la diffusione della pandemia.

Perché il Covid-19 è esploso con particolare forza nelle regioni della pianura padana, e meno non solo al centro sud, ma anche ad esempio in Liguria? Oltre all’intensità della mobilità umana può contare l’effetto clima?
Sono tutte osservazioni che andranno sottoposte a verifica: si è detto pianura padana con clima abbastanza simile a Wuhan, l’area della Cina da cui tutto è partito. Ma ci sono anche studi, dei giorni scorsi, che azzardano correlazioni tra le aree ad agricoltura più intensiva e la diffusione del virus. Ma si potrebbe ribattere che il Covid-19 è esploso con grande intensità anche a New-York, dove zone agricole non ce ne sono: insomma, siamo nel campo delle ipotesi, e dei tentativi di interpretazione. L’essenziale ora è riuscire a uscire dalla fase acuta della pandemia sanitaria. Poi potremo dedicarci a tutto il resto.