#iorestoacasa e guardo storie di sport [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

In questo periodo, oltre a scrivere storie di sport con la newsletter ‘5 cerchi quante storie’ guardo anche programmi televisivi (per usare un termine che sta rapidamente diventando obsoleto) su storie di sport.

Ecco qualche, personalissimo, consiglio di visione:

– Iverson potrebbe finire nella categoria “un’altra storia statunitense di emarginazione, talento, ingiustizia e riscatto tramite lo sport” – lo sport oltretutto è il basket visto in tantissimi film – ma si distingue, a mio parere.

L’emarginazione c’è, Iverson cresce in una periferia desolata praticamente senza famiglia, il talento è enorme, quello di un ragazzino che vince tutte le partite scolastiche, siano di basket o di football, e c’è anche il “buon samaritano” che si cura di lui. C’è l’ingiustizia, enorme, e davvero si ha conferma che niente è migliorato da quando Dylan cantava ‘Hurricane’, il riscatto tramite lo sport (e anche lo spreco del talento causato ovviamente dall’improvviso successo) non mancano. Distingue questo documentario da molti altri l’approfondimento sulla persona, senza giudizio ma anche senza glorificazione, e il finale aperto, non hollywoodiano.

(visto su Netflix)

– Nella mente di un killer: Aaron Hernandez vi piacerà anche se non ve ne frega niente di football americano, vi fermerà davanti allo schermo per tutte e tre le puntate come un ‘Law & Order’ anche se sapete già come andrà a finire. Intanto naturalmente c’è una storia di per sé perfetta per il racconto: il ragazzo che pure qui grazie allo sport emerge, portandosi però dietro un non detto di traumi e ambiguità gigantesco (se hai tempo guardatelo, CR7). Il giocatore che diventa decisivo, anche al di là delle aspettative, nella squadra che sta dominando il suo sport, e ottiene un contratto da favola ma contemporaneamente è colpevole di azioni che assolutamente nulla dovrebbero avere a che fare con la sua immagine pubblica (con l’aggiunta di nuovo dolorosa delle sofferenze che il suo sport sta causando a moltissimi giocatori). Alla fine, nonostante tutto, vi affezionerete ad Aaron Hernandez, credetemi.

(anche questo visto su Netflix)

– The John Akii-Bua Story: An African Tragedy racconta un’altra vicenda umana in cui il successo sportivo si è trasformato, come dice il titolo, (tutto sommato) in una “tragedia”. Con ogni probabilità la maggior parte di voi non ha provato niente al nome di Akii-Bua, se non sei un appassionato di atletica leggera, o se non hai vissuto l’Olimpiade di Monaco è così, immagino. Eppure all’epoca lui fu famosissimo e, come dice un intervistato nel documentario prodotto dalla BBC, negli anni settanta se tu dicevi di venire dall’Uganda ti citavano solo due persone: John Akii-Bua in positivo e Idi Amin in negativo. Come vedrete, la vita dell’atleta e del folle, sanguinario dittatore si incroceranno.

(è in inglese, io l’ho trovato su YouTube, i sottotitoli generati automaticamente pur con i tipici errori aiutano nella comprensione)

– Parigi 1999 – Vent’anni dopo è un documentario di Alessandro Mamoli e Simone Raso, forse la migliore cosa vista di recente nell’offerta sportiva di Sky Sport, e non me ne voglia Matteo Marani che sta facendo splendidi lavori, lì. Certo, la vicenda e i personaggi aiutano, intervistare Boscia Tanjevic vuol dire avere tre quarti del lavoro fatto, con l’aggiunta di quel magnifico accento slavo (non “spoilero” – come si dice – ma la frase finale del coach è una di quelle da annotare, nella sua poetica bellezza), Carlton Myers, Pozzecco si confermano personaggi notevoli, la scelta di vita di Gianluca Basile mi ha personalmente sorpreso, vedere coach Obradovic o ammirare la pallacanestro del fenomenale Sabonis è sempre un ulteriore spettacolo. Per gli appassionati locali di basket: sorriderete quando apparirà per la prima volta sul teleschermo coach Crespi (che ha fatto grandi cose a Casale, ricordo) e penserete: “uà che fanciutén”!

– Bonus: Sportellers è un canale YouTube curato da giovani di talento che raccontano storie sportive di solito misconosciute con un taglio brillante, senza andare al racconto lungo ma mischiando il parlato e rapide immagini con notevole capacità di trattenere lo spettatore, anche quando lo sport narrato non è propriamente tra le passioni. Mi è successo con l’ultimo video pubblicato, curato da Nicolò Vallone (pure uno degli autori di ‘5 cerchi quante storie’),

e vi invito a scoprire quel che successe una quarantina d’anni fa a Limerick, già, la città irlandese dei coltelli, che probabilmente ha dato il nome al tipico breve componimento umoristico e che certamente ha ospitato una delle sorprese più eclatanti del gioco del rugby.