Un episodio epico quello del “Bastione delle Dame” [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti
Era l’estate del 1657 quando Alessandria dovette subire uno dei tanti assedi che contraddistinsero i suoi 850 anni di storia. Era l’eterna contesa tra i regni di Spagna e Francia che coinvolse anche la nostra città, all’epoca nell’orbita spagnola, che fu accerchiata da 15.500 soldati franco sabaudi al comando di del principe Conty e dal marchese Gianfranco Villa.
In quell’occasione si diffuse una leggenda popolare secondo la quale uno dei bastioni venne protetto da trecento donne guidate da Francesca Trotti, moglie del conte Galeazzo Trotti unitamente al Governatore spagnolo Garzia Ravanal. Ma, tornando all’episodio che vide la contessa Francesca Trotti sui bastioni della città di Alessandria mentre impugnava le armi al pari delle altre dame, dobbiamo senz’altro riconoscerle una buona dose di coraggio.
Infatti, la contessa resasi conto del momento di grave difficoltà, radunò un gruppo di trecento donne convincendole, grazie alle sue doti oratorie, a contribuire alla protezione delle mura della città. Indossato un abito corto, la nobildonna difese con la spada in pugno il bastione degli Orti, ossia, quello compreso fra Porta Sorella (a difesa del ponte di Borgo) e Porta Ravanale già Rezolia
(la Porta che si apriva sulla strada degli Orti).
Parrebbe che altre donne piemontesi abbiano dato prova di simile ardimento, ad esempio le cuneesi, con a capo la Marchesa di Ceva e la contessa di Lucerna, difesero coraggiosamente la loro città dall’assedio posto nel 1557 dalle truppe francesi del maresciallo Carlo Cossè duca di Brissac.
A proposito, riguardo il verbo “terrapianare” citato dall’autore, si legge sullo Zingarelli: porre una massa di terra addossandola ad altre opere per arginatura, riparo, difesa. Questa viene spianata al sommo, posta dietro le mura dell’opera fortificata per sostenerla, rinforzarla e per disporvi le artiglierie e gli uomini di difesa.
Questo era il sistema di difesa utilizzato dai nostri antenati per arginare gli attacchi provenienti dall’esterno delle mura fortificate di Alessandria nel 1657. Un lavoro ingrato riservato soprattutto alle donne e agli ortolani, questi ultimi più avvezzi all’uso del badile.
Provate per un attimo ad immergervi in quella realtà, raccogliere la terra sconvolta dalle palle di cannone e rotolata alla base dei bastioni, metterla nelle ceste (non esistevano ancora le ruspe), trascinarla il più possibile in cima al bastione, e lì batterla per rendere il terrapieno più compatto e adatto (per quanto possibile) a smorzare la violenza delle palle (di cannone e di moschetto) che nel frattempo continuavano ad infrangersi sul terrapieno appena realizzato!
Ebbene, a ben vedere, “terrapianare” non era affatto una condizione secondaria, oltre al rischio tutt’altro che remoto, di beccarsi una palla di schioppo che ti mandava al creatore, era una fatica bestiale che avrebbe sfiancato chiunque, figuriamoci una donna! Per cui ora, quando transitate nei pressi del Moccagatta, prerchè era lì che si ergeva il “Bastione delle Dame”, rivolgete loro, ma anche a tutte le donne che nei secoli, a rischio della loro stessa vita difesero i bastioni di Alessandria, almeno un pensiero di gratitudine.
A corredo le immagini del Conte Galeazzo Trotti e del Governatore spagnolo Garzia Ravanal.
Nessuna immagine invece è stata reperita della Contessa Francesca Trotti.
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Il Bastione delle dame.
Ecco un interessante episodio di storia nostra, al tempo dell’assedio del 1657 nella guerra che i giallo-subalpini mossero in terra nostra contro la Spagna. Era Governatore Ferdinando Garzia Ravanal che per la difesa della città, aveva mobilitato anche tutti i cittadini, qualunque fosse la loro età o condizione. Loro compito “terrapianare ” i bastioni, sovente sconvolti dagli assalti del nemico. Si racconta che anche le donne vollero condividere con i loro padri e mariti il comune pericolo.
Impresa ben più grande ed ardita fu compiuta da una donna alessandrina, la contessa Francesca Trotti, moglie del Mastro di Campo generale dell’esercito di Spagna, impegnato altrove in quella stessa campagna.
La nobildonna, divisa a cagione dell’assedio dal marito suo, volle sostituirlo nella difesa della città; troppo lieve ritenne il servizio di “terrapianare” i bastioni, e pensò fosse invece necessario emulare gli uomini nell’uso delle armi, alabarde e picche. Con animo virile la contessa entrò in ogni casa, fosse tugurio o palazzo o Convento, e con abile parole e con l’esempio, convinse molte nostre donne a prendere le armi per difendere al pari degli uomini, le mura della città.
In un Dizionario delle Donne celebri del Piemonte, pubblicato a Torino nel 1853 dal Novellis, si racconta che più di trecento furono le compagne della Contessa Trotti che al suo comando in perfetto assetto di guerra, attraversarono la città per prendere possesso del Bastione degli Orti, che il Ravanal aveva loro assegnato per il turno di difesa della città. Questo Bastione si trovava all’incirca dove oggi vediamo il Campo Sportivo , sul fianco della Chiesa di Santa Maria del Castello; da un lato poggiava sul Tanaro e forse poteva costituire una posizione relativamente calma; sappiamo che come ausiliari per terrapianare, aveva gli ortolani.
Il battesimo del fuoco non si fece attendere a lungo e le nostre donne guerriere validamente contennero l’impeto nemico, tanto che il Ravanal volle che quel bastione fosse chiamato il “Bastione delle Dame”. Questa denominazione durava ancora nell’assedio del 1745 e venne a cessare soltanto quando Napoleone diede diverso assetto alle fortificazioni anche da questa parte della città.
La Contessa Trotti e le sue valorose compagne ebbero un cantore nel poeta nostro Alessandro Cassola, giureconsulto e rimatore del seicento, che intitolò il suo poemetto sull’Assedio del 1657, “la Briglia del Furore”. Nel secondo e quinto Canto descrive precisamente la difesa del cosidetto Bastione delle Dame e vivo è l’elogio per le nostre Dame guerriere.
Piero Angiolini – 16-4-1955