La prevenzione del coronavirus con l’idrossiclorochina? I primi risultati degli studi pubblicati dalla Oxford University. Intanto la terapia iniziale in casa è fondamentale [Centosessantacaratteri]

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di Enrico Sozzetti

 

 

Cosa stia accadendo oggi negli ospedali lo racconta la cronaca quotidiana. Che la situazione sia pesante, se non pesantissima, in quasi tutte le strutture è sotto gli occhi di tutti. E una delle cause è il fatto che sono sempre troppi i pazienti contagiati dal coronavirus che arrivano in Pronto soccorso quando il quadro clinico è già grave. Non è possibile gestirli prima, in casa, quando si presentano i sintomi iniziali? Sì, da poco tempo si può fare utilizzando il Plaquenil (idrossiclorochina), però è fondamentale agire con rapidità perché se passa troppo tempo, il rischio che il covid-19 scateni la polmonite è altissimo.

Al momento è impossibile ipotizzare una profilassi preventiva, in attesa di un vaccino che, benché possa essere pronto in laboratorio fra qualche mese, avrà bisogno di un anno per arrivare sul mercato? No, in realtà un piccolo spiraglio si potrebbe aprire, almeno scorrendo lo studio intitolata “In Vitro Antiviral Activity and Projection of Optimized Dosing Design of Hydroxychloroquine for the Treatment of Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2”, disponibile sul sito della Oxford University Press (Oup) e pubblicato per l’Infectious Diseases Society of America.

In sostanza gli autori, tutti medici specialisti di Pechino, affermano che dalle prime prove effettuate «è possibile che un trattamento precoce possa aiutare a prevenire la progressione della malattia in uno stato critico e potenzialmente letale». Lo studio ha attirato l’interesse internazionale e ha confermato come questo farmaco, nato per la profilassi e il trattamento della malaria e poi per l’artrite reumatoide, si stia dimostrando particolarmente efficace per gestire la fase iniziale della malattia. L’idrossiclorochina conserva per molto tempo una elevata concentrazione a livello cellulare e la presenza nel tessuto umano dura per almeno una settimana, se non addirittura maggiore. Una dose di 200 miriagrammi ha una emivita (il tempo richiesto per ridurre del 50 per cento la concentrazione plasmatica di un farmaco) di una ventina di giorni. La concentrazione nei polmoni risulta quindi alta per molti giorni di seguito. In base ai modelli elaborati dallo studio dei medici di Pechino risulterebbe che «un trattamento settimanale dovrebbe essere sufficiente per prevenire danni alle basse vie respiratorie».

Ci sarebbero le condizioni per aprire la strada a un uso della idrossiclorochina per una profilassi di massa? Una risposta oggi non esiste ancora. Ci sono però studi e risultati sui pazienti che lascerebbero pensare che questo possa avvenire. L’idrossiclorochina ha svolto questo compito, in fase preventiva e di cura, per la malaria. Potrebbe farlo per il covid-19?

Chi fra i primi, come Pietro Luigi Garavelli, alessandrino, infettivologo, responsabile del Reparto di Malattie Infettive dell’ospedale “Maggiore” di Novara, ha parlato pubblicamente dell’uso di questi farmaci per trattare il coronavirus, è prudente. Però non nasconde come il ricorso al Plaquenil abbia permesso di bloccare sul nascere gli sviluppi infausti della malattia nel giro di pochi giorni. «Ora stiamo entrando nella fase degli studi clinici che dovranno fornire le risposte su vasta scala» aggiunge Garavelli. Intanto proprio la struttura delle Malattie Infettive di Novara è stata protagonista, con la dottoressa Ambra Barco, di una intervista, via internet, della rete americana Nbc, durante la quale è stata focalizzata l’attività di ricerca, oltre che di cura.

Intanto ad Alessandria, capoluogo della provincia piemontese più colpita dal coronavirus in rapporto al numero di abitanti, l’azienda ospedaliera, come anticipato in un precedente articolo, sta somministrando «il farmaco Tocilizumab in modalità off-label (utilizzo di farmaci in situazioni che non sono previste dalla scheda tecnica del prodotto) in pazienti affetti da covid-19. È un anticorpo monoclonale finora utilizzato per il trattamento dell’artrite reumatoide, in grado di bloccare l’infiammazione che causa le insufficienze respiratorie. La clorochina associata alla azitromicina – si legge su una nota – è utilizzata in alcuni pazienti nelle fasi iniziali della patologia». L’azienda ospedaliera inoltre sta sperimentando «altre tipologie di farmaci per le varie fasi della patologia come il Baricitinib utilizzato off-label secondo un protocollo condiviso, ed è in corso la stesura di protocolli operativi che vedono l’utilizzo delle eparine».

Rispetto alla necessità di intervenire il prima possibile, per anticipare la diagnosi e le terapie a casa, riducendo l’aggravarsi ed evitando ricovero, il direttore delle Malattie infettive di Alessandria, Guido Chichino, lo ha ripetuto più volte: «Bisogna anticipare diagnosi e terapia, che può essere gestita in ambito domestico». Come funziona? Questa la risposta di Mauro Cappelletti, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della provincia di Alessandria: «Il medico che ha fortemente il sospetto che il paziente sia infetto lo inserisce in Adi (Assistenza domiciliare integrata), compila una relazione tecnica dettagliata e solo allora prescrive il Plaquenil, unicamente per quel soggetto e il farmaco è consegnato a domicilio dall’Asl». Il fattore decisivo resta quello della velocità dell’intervento e che il Plaquenil quindi sia assunto per tempo.