La guerra dei mondi (3) – La Pellegrina [Il Superstite 464]

 

di Silvia Samorì

 

 

And I find it kinda funny, I find it kinda sad
The dreams in which I’m dying are the best I’ve ever had
(Mad World – Gary Jules)

 

Sto sperimentando una fatica che nella mia “vita precedente” non avrei mai ipotizzato di dover affrontare.

C’è un immenso paradosso in questo isolamento, che mi ha travolta in modo feroce: è la soverchiante onda di comunicazione virtuale che si è scatenata fin dai primi giorni del lockdown. Un coro dissonante e fortissimo di centinaia di voci che si accavallano una sopra l’altra, che cercano di ripristinare il contatto perduto parlando in continuazione, pubblicando contenuti a un ritmo incalzante. Si propone freneticamente, si piange, si ride, si cerca di attirare l’attenzione. Se si cade in questo vortice si viene risucchiati e uscirne diventa difficilissimo e molto faticoso.

Per sopravvivere a questa tempesta, nella mia bolla social sono giorni che metto in silenzio una quantità di persone, leggo il meno possibile, rispondo solo alle richieste davvero importanti, ma soprattutto cerco di concentrarmi su quello che raccontano di sé pochi e selezionati amici, menti lucide, acute e umane. Menti che soffrono e vivono in modo accorato questa esperienza collettiva, ma sanno raccontarla ancora bene.

Mi sono accorta di una cosa: tutti, in un modo o nell’altro, esplicitamente o in maniera più sottile, hanno iniziato a parlare dei loro sogni con una intensità e una partecipazione singolari. Sono sogni spesso molto lunghi, talvolta malinconici e rassicuranti, li trasportano in luoghi del passato, sono pieni di simboli potenti e spesso si prolungano per qualche istante oltre il momento del risveglio. Alcuni hanno anche iniziato a usare sempre più frequentemente la metafora del sogno per descrivere molta della loro quotidianità. È inevitabile, credo, che in un momento inverosimile come quello che stiamo affrontando la mente cerchi di proteggersi con tutte le armi a sua disposizione, l’attività onirica in prima linea. Ma nonostante questo, i sogni dei miei amici mi hanno fatto tornare in mente un episodio del mio passato.

Una persona alla quale volevo molto bene e che adesso non è più qui (e sa solo il cielo quanto mi piacerebbe averla vicina in questi giorni), una volta mi raccontò della Pellegrina.

Eravamo sedute sul suo divano nella penombra di un pomeriggio d’estate, ero così giovane, a pensarci, che mi sembrano passati mille anni. Parlavamo di sogni e le stavo raccontando di una cosa strana che mi capitava in quel periodo. Mi succedeva con una frequenza piuttosto sconcertante di svegliarmi durante un sogno particolarmente vivido, alzarmi da letto, iniziare le mie faccende e accorgermi, dopo un po’ di tempo, che c’era qualcosa che non andava. Per risvegliarmi subito dopo di nuovo nel mio letto, di nuovo fuori dal sogno, disorientata dalla sensazione di aver perso completamente le coordinate dello spazio e del tempo. Questi sogni concentrici a volte andavano avanti anche oltre i due “risvegli” e in quelle occasioni, fortunatamente rare, lo stordimento era sostituito da un panico agghiacciante.

Mi chiese se ero stanca.

Ero stanca, sì. Ma non di quella stanchezza buona di chi fa molto e arriva a sera soddisfatto della sua giornata. Ero malata di una stanchezza subdola e inquietante, che mi paralizzava e rendeva difficile fare qualsiasi cosa. Uno stress sicuramente molto lontano da quello che sperimentiamo in questi giorni di reclusione forzata e di paure ancestrali, ma simile in qualche modo, soprattutto per la mancanza di un punto di riferimento al quale aggrapparsi per poter dire “prima o poi finirà”.

La mia amica allora mi raccontò questa storia, che ancora oggi non so se fosse frutto della sua mente fertilissima e piena di immaginazione o avesse raccolto in qualche lettura o in qualche incontro strambo dei suoi.

Mi raccontò che la Morte ha delle aiutanti, degli spiriti pellegrini che manda in giro per il mondo a controllare le anime delle persone. Quando sentono che qualcuno sta per andarsene gli preparano la strada, iniziano a mostrargliela nel mondo dei sogni. Che sia un sentiero buono, o che sia un sentiero spaventoso, quello non importa. Quando la Morte arriva, quell’anima conosce già la strada da fare.

Ma la Pellegrina, una di queste vedette, era invidiosa della Morte. A loro toccava viaggiare per il mondo, guidare le anime, ma alla resa dei conti era la Morte a reclamarle. E loro restavano sole. Perciò si era ribellata e aveva iniziato a cercare le anime più fragili, quelle delle persone stanche, delle persone sensibili, delle persone che avevano bisogno di qualcosa. Per loro aveva imparato a costruire sentieri di sogno sempre più affascinanti, sempre più complicati, capaci di farle smarrire al punto da non riuscire più a tornare indietro, condannate a seguirla per sempre.

Mi disse solo di stare attenta. Di pensare a quante persone mi fosse capitato di conoscere che a un certo punto erano “svanite”. Svanite con la mente, partite per altre realtà. O svanite addirittura fisicamente, scomparse nel nulla. Mi mise all’erta, mi chiese di mettercela tutta, perché adesso che sapevo chi era la Pellegrina non mi facessi incantare dalle sue promesse di oblio.

Pochissimo tempo dopo feci un sogno che all’epoca chiuse quella strana parentesi onirica.

Camminavo in un bosco che conoscevo molto bene, sola ma con la sensazione di essere seguita.

Mano a mano che il sentiero si inoltrava nel bosco diminuiva l’orientamento e aumentava l’ansia di sentirmi la preda di qualcuno o di qualcosa che mi incalzava alle spalle.

Finché, arrivata ai bordi di uno stagno nerissimo e immoto in mezzo agli alberi alti e scuri, invece di fermarmi non continuavo a camminare e camminare, sempre più veloce fino a sparirci dentro.

Dopo, il nulla.

Una parentesi di nulla assoluto.

Incalcolabile nella sua durata. Indescrivibile in quanto Nulla.

Quella volta mi ricordo di aver pensato “Sono morta. Morire è così”.

Ma al risveglio ero io, nel mio letto, nel mio presente, saldamente ancorata alle mie poche certezze.

 

Mi capita, dunque, in questi giorni assurdi, leggendo dei sogni dei miei amici, di ripensare alla Pellegrina.

Di immaginare la sua fame di compagni di viaggio messa di fronte a un mondo intero di anime e di voci che cercano una via di fuga.

Qualche pomeriggio fa mi sono addormentata per pochi istanti, distesa su una panchina del mio giardino. Quando mi sono svegliata mi sono alzata pensando che avrei dovuto telefonare alla mia amica A. per chiederle com’era andata la sua vacanza in montagna e per invitarla a prendere un caffè insieme in quel bar dove andiamo sempre. Poi ho aperto gli occhi e mi sono svegliata di nuovo. Non era pomeriggio, non ero in giardino sulla panchina. Non esiste nessuna amica A. che è andata in vacanza e con la quale prendo il caffè in quel bar che non esiste.

Adesso che le strade sono state chiuse, forse si sono riaperti altri, più pericolosi sentieri.