Questa volta San Rocco dovrà impegnarsi molto per proteggere Alessandria… ma siamo certi che ci riuscirà! [Lisòndria tra Tani e Burmia]

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di Piero Archenti
Speriamo che S. Rocco, protettore della peste, si impegni a fondo per salvare Alessandria…e non solo Alessandria, dal Coronavirus, la subdola epidemia che si è presentata a noi due o tre mesi orsono . Oddio, la medicina odierna non è più quella del 1630 per cui siamo certi che, in abbinamento con S. Rocco (non si sa mai!), non passerà molto tempo e i migliaia di camici bianchi attualmente impegnati in questa lotta siamo certi che troveranno il modo di debellare anche quest’ultima pericolosa epidemia!
E’ vero che di epidemie che hanno falcidiato intere popolazioni, è piena la nostra storia passata, come, ad esempio, quella del 1630, che ispirò Manzoni nei “Promessi sposi”. Quella stessa epidemia di peste che anche in Alessandria causò la morte di un terzo dei suoi residenti, come ci ricorda il cronista Piero Angiolini con la sua pubblicazione sotto riportata del 1954.
In proposito, un saggio storico di Alessandro Manzoni pubblicato nel 1840, narra la storia del processo intentato a Milano, durante la terribile peste del 1630, contro due presunti untori, Gian Giacomo Mora (barbiere) e Guglielmo Piazza, ritenuti responsabili del contagio pestilenziale tramite misteriose sostanze, in seguito ad un’accusa – infondata – da parte di una “donnicciola” del popolo, Caterina Rosa.
Il processo, svoltosi storicamente nell’estate del 1630, decretò la condanna capitale di due innocenti, giustiziati con il supplizio della ruota (3-4), oltre alla distruzione della casa-bottega (1) del Mora. Come monito venne eretta sulle macerie dell’abitazione del Mora, la “colonna infame” che dà il nome alla vicenda. Solo nel 1778 (148 anni dopo) la Colonna Infame (2), ormai divenuta una testimonianza d’infamia non più a carico dei condannati, ma dei giudici che avevano commesso un’enorme ingiustizia, fu abbattuta.
Tornando ai giorni nostri e alla nostra (speriamo ancora per poco) Coronavirus, pubblichiamo alcuni stralci di una bella lettera del preside del Liceo Volta di Milano, Domenico Squillace, indirizzata ai suoi studenti il 25 febbraio scorso:
“Cari ragazzi, niente di nuovo sotto il sole, mi verrebbe da dire, eppure la scuola chiusa mi impone di parlare. La nostra è una di quelle istituzioni che con i suoi ritmi ed i suoi riti segna lo scorrere del tempo e l’ordinato svolgersi del vivere civile, non a caso la chiusura forzata delle scuole è qualcosa cui le autorità ricorrono in casi rari e veramente eccezionali . Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro, non c’è alcun motivo – se state bene – di restare chiusi in casa. Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto i supermercati e le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono solo a loro . La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo è figlia del nostro tempo, Uno dei rischi più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore . Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero.
Vi aspetto presto a scuola.
Domenico Squillace
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  1. casa bottega del Mora mentre viene abbattuta
  2. area su cui sorgeva la ex casa bottega del Mora su cui sorse la “Colonna Infame”
  3. il supplizio di Mora e Piazza
  4. il supplizio di Mora e Piazza (2)
  5. lapide custodita nel Castello Sforzesco su cui furono elencati i supplizi inferti a Mora e Piazza
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San Rocco e la peste
Consenta l’amico Basile venga ripreso l’argomento della Chiesa di S. Rocco, per alcune precisazioni necessarie. Il culto popolare per S.Rocco, elevato a protettore della peste, si inizia nel Rinascimento e ovunque, nella Città e nelle campagne, sorsero in suo onore, edicole e cappelle, dove S. Rocco è raffigurato in abito da pellegrino con il bordone e il fido cane. Tanta devozione è dovuta alla straordinaria frequenza in allora del grave morbo, che certo non risparmiò Alessandria se nello spazio di cinque secoli, tra il 1200 e il 1700,conobbe ben trenta volte la terribile malattia con vittime numerosissime.
Nel 1314, anno che scende in Italia S. Rocco, la mortalità alessandrina fù si grande che il prezzo del grano, per mancanza di compratori, discese a 10 soldi lo staio! Nel 1478 si vedon per la prima volta alcuni ex voto e di quell’anno è forse la edicola di via Guasco oggi nota come la Chiesetta dell’Assunta. Durante la terribile epidemia del 1630 il Comune in seguito a voto popolare, decide la costruzione di una chiesa vera e propria di S. Rocco, di cui diffusamente ha parlato il Sindaco Basile.
Per la verità già prima, nel 1185 erano sorte le Compagnie di S. Rocco, i cui membri detti “disciplinati o flagellanti” si incaricarono del trasporto degli appestati. Pietosa usanza durata a lungo e in Alessandria continuata, per tutti i morti in genere, con i cosidetti “batù”, derivazione certa dei flagellanti di un tempo. I “batù” erano divisi per Parrocchia, portavano cappe diversamente colorate e cessarono si può dire quando il servizio trasporto venne municipalizzato. Nel 1630 la prima vittima della peste cade il 23 giugno e grande e giustificato fu lo spavento; in meno di quattro mesi moriva infatti un terzo della popolazione alessandrina; divennero lazzaretto anche i locali della Fiera!
Auspice il Comune sorge allora la chiesa di S. Rocco costruita sul Largo oggi Vicenza e in allora detto di S. Rocco; nessuna meraviglia quindi se, presa dal terrore del momento, la nostra gente si raccomandò a S. Rocco! Pur tuttavia la costruzione durò a lungo se la chiesa fu aperta al culto soltanto nel 1636; era addossata all’Ospedale di S. Antonio (di via Treviso) e recava in alto una statua del Santo tutta in rame. Dapprima aveva un pesce che faceva da banderuola al vento; nel movimento emetteva un sibilo tanto forte da impressionare gli abitanti della contrada, sicchè fu tolto. Sappiamo che nel 1642 la chiesa era tenuta dai Barnabiti e da allora il nome di S. Rocco si accompagnò a quello di S. Barnaba.
Chiusa temporaneamente nel 1705 venne militarmente occupata dai francesi nel 1796, finchè nel 1807 Napoleone ne decideva la distruzione! Ben diversa è la storia della chiesa attuale di S. Rocco, come già è stato da taluno rilevato, ottimo segno di interesse per le cose cittadine. Nel 1189 era la bellissima Chiesa dei Frati Umiliati col titolo di S. Giovanni del Cappuccio. Serviva per Frati e Suore del faoso Ordine laniero, ed aveva un “matroneo” per dividere uomini dalle donne. Cadde poi in rovina e solo rimase il bel campanile che oggi vediamo. Nel 1745 servì come Ospedale per le truppe gallo-ispane e qualche tempo dopo, nel 1776, fu ocupata dai P.P. Minimi di San Francesco da Paola e poveramente rifatta.
Abbandonata nuovamente nel 1830 fu data provvisoriamente alla Confraternita di SanRocco allora aggregata alla Chiesa di Betlemme (Santa Croce) di via Guasco. Il provvisorio divenne definitivo e il titolo di S. Rocco è rimasto alla chiesa ora Parrocchia della città e dal 1911 Monumento Nazionale. Ultimo ricordo del tempo passato sono oggi i tre altari della chiesa dedicati a S. Rocco, S. Barnaba e S. Francesco da Paola.
Piero Angiolini – 29-05-1954