Coronavirus: affidiamoci alla scienza, e le istituzioni facciano la loro parte [Piemonte Economy]

di Cristina Bargero

 

 

La diffusione del coronavirus in Italia e nel resto del mondo, a livelli tali che l’Oms ha alzato il livello di rischio da epidemia a pandemia, porta a una serie di riflessioni più ampie, non limitate agli aspetti sanitari e ai rischi per la salute, ma coinvolgenti aspetti sociali, economici e politici.

Ritorna, in primo luogo, preponderante la scienza. Se fino a un anno fa i no vax mettevano in discussione la validità dei vaccini e qualcuno si rifugiava nell’omeopatia, oggi, invece si interpellano virologi, immunologi e si spera che la ricerca trovi presto un vaccino. E la scienza, pur nei dubbi che derivano da un virus nuovo, sta fornendo linee guida e indicazioni.

Si stima che una persona infetta ne contagi più di due.

Se il nuovo coronavirus non è la peste, nemmeno lo si può derubricare a una semplice influenza, come sulle pagine di domenica de Il Corriere della Sera ha sottolineato il professor Galli “in quarantadue anni di professione non ho mai visto un’influenza capace di stravolgere l’attività dei reparti di malattie infettive. La situazione è francamente emergenziale dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria”.

Il 38% delle persone contagiate necessita di ricovero e il 10% di terapia intensiva. Inoltre il 10% dei contagiati appartiene al personale medico.

Se lo Spallanzani costituisce un‘eccellenza, in cui sono guariti tre pazienti, le altre strutture ospedaliere del paese non dispongono delle stesse attrezzature.

Ecco perché le misure draconiane messe in atto, finalizzate a scongiurare un picco della diffusione, vogliono evitare in primo luogo un collasso della sanità pubblica, in quanto in Italia sono solo 5.090 i posti letto dedicati alla terapia intensiva (8,42 per 100.000 abitanti).

Un altro punto riguarda la comunicazione istituzionale, che dovrebbe con sobrietà e autorevolezza mirare sempre e mantenere il difficile e delicato punto di equilibrio tra il drammatizzare e il minimizzare l’evento, cercando di far leva sulla razionalità dei comportamenti e sulla necessità di seguire regole condivise per tutti il periodo necessario.

Le istituzioni politiche di fronte al binomio salute/economia (concetti in realtà da non considerare in antitesi) dovrebbero trovare quella autorevolezza necessaria per imporre misure di sanità pubblica, e rassicurare le categorie produttive oggi penalizzate con interventi straordinari e con una maggior solidarietà economica anche europea, per evitare la crescita esponenziale dei danni alla salute e all’economia.

Già l’Europa, fino a ieri la grande assente, che non ha tenuto una politica comune nella prevenzione e pare ancora latitare, mentre non solo dovrebbe consentire di sforare il deficit ai paesi coinvolti, ma mettere a disposizione risorse del bilancio comunitario in questa emergenza.

E infine l’etica della responsabilità. Anche sotto questo profilo ci ritroviamo un paese spaccato tra chi parla di pericolo solo per gli anziani e le persone immunodepresse, come se le loro vite valessero meno delle altre, chi svaligia i supermercati, i virologi da bar e da tastiera e chi, invece, senza clamore e senza interviste, sta sopportando turni di lavoro estenuanti per curare e salvare i propri simili, chi sta prodigandosi per la sicurezza nazionale e chi rimane dignitosamente in quarantena nella zona rossa.

Questa etica della responsabilità, unita al rispetto della scienza, costituisce forse il miglior antidoto per salvaguardare noi stessi e chi ci sta vicino.

Seguiamo le parole di Hans Jonas “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza di un’autentica vita umana sulla terra”.