Questa casa non è un albergo 2 [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

Eravamo rimasti che mio nonno diceva dove andremo a finire?

Mai come in questo periodo il futuro ci appare legato a fili invisibili.

Il quadrivio legato alla comunicazione sul corona virus è sostanzialmente il seguente:

Opzione 1 ci stanno dicendo tutto.

Opzione 2 ci stanno dicendo solo ciò che si può dire.

Opzione 3 ci stanno dicendo ciò che fa comodo ai talk show.

Opzione 4 vogliono incentivare Netflix.

Qualsiasi sia la risposta, sembra che il primo luogo deputato a realizzare assembramenti pericolosi possa essere la scuola.

In effetti sono abituali scene di bambini e ragazzi che arrivano al mattino alle otto carichi di tosse e starnutendo come ossessi. Perfino alcuni insegnanti vengono a scuola indefessamente con la febbre alta aspergendo dall’alto della cattedra morbi vari o comunque semplici schifezze.

Ricordo ancora oggi con fastidio un episodio: una collega di lettere che – parlo del secolo scorso – si presentava puntuale come la morte in sala insegnanti esordendo fiera “stabattida bi sodo alzata cod tredtotto e bezzo”. Brutta stronza, lo pensavamo tutti ma nessuno glielo ha mai detto perché era anziana e sindacalista.

Lo faccio adesso, a distanza e sapendo che probabilmente non leggerà queste poche simpatiche righe (oggi sarebbe sulle prime pagine delle cronache nazionali).

Torno al presente: la scuola chiude per precauzione.

Le lamentele più diffuse tra le famiglie vertono su e ora dove li metto i miei figli?

Questa scuola non è un parcheggio, mi verrebbe da dire.

Eggià, perché salvo qualche fortunato che lavora, la gran parte dei genitori dovrebbe rinunciare ad un pezzo di libertà. A che titolo? Per le paturnie di qualche virologo frustrato?

Ma le cose si complicano quando il problema degli insegnanti è di finire il programma e preparare gli esami, abituati come sono a fare ogni anno gli stessi argomenti con la stessa cadenza tanto i ragazzi cambiano; ma non ti salta in mente che magari cambi anche tu? Probabilmente no.

Queste teste non sono camere vuote da arredare, concetto didattico che dovrebbe essere integrato da decenni.

I bambini e i ragazzi serenamente accettano il loro fannulleggiare (avremo mica l’illusione che le lezioni a distanza possano avere senso e seguito?) e auspicano – con la crudele onestà utilitaristica tipica dei giovani – un incremento dei casi di contagio per poter prolungare lo stop.

Questo tempo non ve lo ritorna nessuno, lo scoprirete fra un po’ di anni.

Desidero in conclusione tranquillizzare tutti.

Chiuderemo ancora per altre giornate: a breve ci sarà il referendum, con l’arrivo della primavera astronomica non ci faremo mancare un paio di allerta meteo, quindi Pasqua 25 aprile primo maggio 2 giugno e poi se avremo fortuna prima dell’estate ci saranno le elezioni politiche.

Questa scuola non è una scuola.

E se fosse un albergo?