Dagli untori del 1630 all’attuale Coronavirus! Tutta la scienza impegnata per sconfiggerlo [Lisòndria tra Tani e Burmia]

print

di Piero Archenti
Intanto chiariamo il significato della parola “untore”. Ebbene, spiega lo Zingarelli, untore è chi durante la peste che infierì su Milano nel 1630, si credeva ungesse con sostenze infette le case per propagare il contagio. Vero o falso, tuttavia oggi la peste non pare sia più una malattia in grado di farci recitare il de profundis, grazie alla medicina moderna. Tuttavia oggi dobbiamo affrontare un altro pericolo attualmente pressoché ignoto, proveniente questa volta dalla Cina. Il Coronavirus, questo il nome del virus che il mondo intero si prepara ad affrontare nel XXI secolo, con mezzi per fortuna molto più moderni di quelli con cui si sono cimentati i nostri antenati per combattere la peste.
Ad oggi sono 16 le persone colpite in Italia: abbastanza perchè scatti l’allarme, e la necessità di una seria prevenzione.
 
Il timore che qualcuno con scarso intelletto possa imitare gli untori del 1630 ci auguriamo non esista, tuttavia sarà bene vigilare affinchè qualche azzeccagarbugli non approfitti della situazione facendo leva su sciocche credenze popolari pur di estorcere quattrini a qualche sprovveduto credulone. E’ noto invece, su vasta scala, che la “caccia” al Coronavirus è aperta in tutti i continenti e sono ormai migliaia i ricercatori di quello che appare essere il più importante impegno sanitario del XXI secolo.
I nostri antenati, nei secoli passati, hanno dovuto subire pestilenze di ogni tipo e, pur nel nostro piccolo, numerosi furono gli alessandrini che lasciarono la loro vita all’interno della cinta muraria di Alessandria e della Cittadella. Ma quelli erano tempi in cui, causa le scarse conoscenze mediche, le rare medicine oltre all’ancor più scarsa igiene, le malattie infettive trovavano facile esca all’interno delle stesse abitazioni o fra gli ancor più micidiali scarichi fognari a cielo aperto!
L’ Adnkronos pesca un libro-profezia sul coronavirus. Si tratta di The Eyes of Darkness, un romanzo thriller scritto nel 1981 dallo statunitense Dean Koontz. Quest’ultimo parla di un virus letale che colpisce l’uomo e che è stato creato in un laboratorio in Cina, più precisamente nella città di Wuhan. Che è esattamente l’epicentro dell’epidemia da Covid-19. Ovviamente dietro non c’è alcuna teoria complottista, ma solo tanta curiosità per una storia letteraria così vicina alla realtà di questi giorni. Nel testo si legge:
“Uno scienziato cinese di nome Li Chen fuggì negli Stati Uniti, portando una copia su dischetto dell’ arma biologica cinese più importante e pericolosa del decennio. La chiamano ’ Wuhan-400’ perché è stata sviluppata nei loro laboratori di RDNA vicino alla città di Wuhan ed era il quattrocentesimo ceppo vitale di microorganismi creato presso quel centro di ricerca”. ” Wuhan-400 è un’arma perfetta”, dice lo scrittore, perché “colpisce solo gli esseri umani”. Non è tutto, perché in un altro passaggio dello stesso romanzo Koontz scrive che ” intorno al 2020 una grave polmonite si diffonderà in tutto il mondo” e che questa è “in grado di resistere a tutte le cure conosciute”.
Attualmente sono migliaia i ricercatori di un antidoto al Coronavirus, e qualche sporadico successo pare sia già stato individuato. Per quanto riguarda l’Italia dobbiamo constatare il successo dei nostri medici in riferimento ai due anziani turisti cinesi ricoverati a Roma, allo Spallanzani, ma in lento e progressivo miglioramento. Stesso miglioramento per il ricercatore emiliano rimpatriato da Wuhan dove si era recato per festeggiare il Capodanno cinese dai perenti della famiglia che lo ospitava con il progetto Intercultura. Insomma, tutta la medicina è mobilitata per combattere quello che appare come il flagello del XXI secolo.
Alcune foto del Coronavirus ricavate al microscopio elettronico a scansione
==========================================
Untori del 1854
E’ nota la grande epidemicità e la elevata mortalità di talune pestilenze dei tempi lontani, e quanto questi flagelli fossero tutti temuti. I progressi della civiltà edella scienza hanno ormai allontanati quei pericoli ed il loro ricordo rimane soltanto nelle notissime pagine dei ” Promessi Sposi”. Chi avesse cura di scorrere le cronache di Alessandria dei secoli passati (la prima notizia di peste risale al 1190) rileva come frequenti erano nel contado e nella stessa città, i casi di epidemie gravi.
La gente si difendeva come poteva, e nel fervore religioso invocava la clemenza Divina, offrendo in voto ai Santi Sebastiano e Rocco, protettori della peste, edicole, cappellette ed immegini murarie, sparse in ogni Cantone.
Il Ghilini, nei suoi Annali, riporta fedelmente tutti i casi di peste (termine generico in allora di ogni epidemia) e molte sono le pagine che meritano rilievo. All’anno 1314 troviamo: “Era cosa veramente compassionevole e degna di lagrime, il vedere il padre fuggire il figliolo, il marito abbandonare la moglie, un fratello ritirarsi dall’altro! Talvolta si vedeva necessitato il padre condurre sopra di un carro il figliolo morto, e viceversa un figlio condurre il padre!…
Una nota del 1371 è impressionante: “Causò (la pestilenza) tanta mortalità che nella Piazza Grande e anche per le Contrade, sivedeva l’erba alta come nei prati!…
Ed ecco che nel 1630 la famosa peste di Milano, portata dagli Alemanni; il Ghilini precisa che in Alessandria il morbo scoppiò il 23 giugno, e che “essendosi quel contagioso male dilatato, fece infiniti danni e levò dal mondo in meno di quattro mesi quattromila persone incirca…
Si arriva al 700 e per fortuna le epidemie si fanno più rare; farà quindi meraviglia sentire che giusta cento anni fa, Alessandria, una volta ancora, abbia rivissuto tristi momenti, non molto dissimili da quelli manzoniani!
Il giorno 11 luglio 1854 si spargeva la notizia in città che due forestieri venuti da Genova, dove infieriva il colera, erano morti d’improvviso! Grande fu il panico per il dilagarsi del contagio nonostante le pronte misure d’eccezione prese dal Comune; divieto di riunione anche nelle Chiese; mobilitazione dei medici; spezierie (farmacie) aperte anche di notte; visite igieniche ai cortili; chiusura di molti pozzi; disinfezione alle case; larga distribuzione di acqua di calce.
Venne istituito un Lazzaretto e poiché si andava dicendo che i ricchi erano segretamente cuati in casa, mentre i poveri li portavano a morire all’Ospedale,si fece obbligo di denuncia dei casi anche sospetti, con immediato ricovero nel Lazzaretto.
Proprio in quei giorni furono allontanati dalle loro Sedi i Frati Domenicani ed i Serviti; i due Conventi vennero adibiti per il ricovero delle famiglie povere. Un manifesto del Sindaco non valse a calmare gli animi e neppure valse l’interessamento di appositi Comitati di tre persone note e stimate, costituiti presso ciascuna Parrocchia della città; si face anzi strada il sospetto di agenti dispensatori del male, i famosi untori del 1630. Fu in particolare la visita ai cortili e la chiusura dei pozzi a destare i più disparati commenti delle donnette, la diceria che questi pozzi erano avvelenati!
Un triste episodio di violenza accadde la sera del 22 settembre. Lungo il Canale Carlo Alberto che allora scorreva dove oggi vediamo il Corso Cento Cannoni, fu sorpreso un vecchio che spargeva polverine…Il malcapitato fu preso e tra urla e percosse dalla folla crescente, fu portato alla Guardia Nazionale.Buon per lui che la Caserma si trovava nei pressi del Canale (ex Convento delle Orsoline di via Lodi, ora Istituto Magistrale), ebbe così salva la vita! La pestilenza infierì per qualche mese e sappiamo che nella sola città i casi salirono a 440 con ben 252 decessi.
Piero Angiolini 19-09-1953