Da molti anni ormai sono un osservatore lontano delle politiche per la salute che si realizzano in Piemonte. Mi ha particolarmente colpito, però, una recente dichiarazione dell’Assessore regionale tesa a ipotizzare una sperimentazione gestionale privata del pronto soccorso in provincia di Alessandria. Forse una ‘prova’ per saggiare le reazioni di soggetti politici, sindacali e sociali; certo in linea con i chiari intenti espressi subito dopo la vittoria elettorale dell’anno scorso e volti ad aumentare le risorse per il comparto privato.
Al netto di tali considerazioni, la proposta dell’Assessore va presa ed analizzata come un significativo elemento rivelatore di una certa idea di salute, calata in un contesto assai problematico. Naturalmente, manco a dirlo, la scelta privatistica dovrebbe servire a migliorare l’attuale servizio per i cittadini, di fronte alle ben note difficoltà derivanti accessi impropri, intasamenti, sofferenze sul versante del personale ecc.; ma sarebbe davvero così? Vediamo di che si tratta.
In prima battuta occorre ricordare che ormai da qualche anno il funzionamento del sistema sanitario è sottoposto a vincoli stringenti di vario tipo (assistenza ospedaliera, standard di posti letto, attività…) ed è un sistema che non cresce. Far di converso crescere il privato in queste condizioni, significa peggiorare l’equilibrio del pubblico per cui permangono i costi fissi. I meccanismi in atto dicono che, se bisogna operare tagli, questi andrebbero fatti esattamente nei confronti del privato a fronte di un pubblico che potrebbe invece produrre di più.
Tutto questo lo dovrebbe sapere molto bene l’Assessore che ha appena dichiarato l’emergenza per un disavanzo di più di 400 milioni di euro.
Ipotizzare nuovi pronto soccorso privati sul nostro territorio si scontra poi direttamente con la normativa vigente. Infatti la rete delle strutture esistenti si basa su dei precisi bacini d’utenza: se si apre un nuovo punto privato occorre chiuderne un altro pubblico già esistente. Sono impossibili, dunque, ‘logiche incrementali’ semplicemente perché in Piemonte non ci sono ‘buchi’.
A questo punto rimane un’altra possibilità, forse la più verosimile ed anche la più insidiosa. Il privato agirebbe con un ruolo a sostegno dell’emergenza, cioè a dire avrebbe garantita l’esternalizzazione specialistica delle guardie di cardiologia, oppure oculistica o ortopedia. La mossa è assai criticabile perché di fatto sancirebbe un ruolo pubblico caricato della parte più complessa, delicata e in perdita dell’attività di emergenza, mentre il privato coprirebbe solo la parte più sicura a prestazione, l’attività più redditizia, insomma la ‘polpa’.
Se il tema è il miglioramento dei servizi della medicina d’urgenza e non il foraggiamento privato, forse esistono altre strade da battere, sapendo che esse richiedono determinazione, capacità programmatorie e non solo ragionieristiche; scelte che non mi paiono all’ordine del giorno. Quali possono essere?
Senza pensare di produrre miracoli, andrebbe messa a tema una vera presa in carico della cronicità, con monitoraggi e azioni in grado di ridurre le complicazioni responsabili di accessi improvvisi e inopinati presso le strutture di Pronto Soccorso. Un piano per la cronicità, però, continua a non dare segno di sé.
Così come, a proposito di ‘filtri’ efficaci, pare al palo l’implementazione di case della salute h12, oppure la diffusione della medicina di gruppo con ambulatori aperti e, più in generale, delle cure territoriali.
Si potrebbe obiettare che simili azioni si scontrano quotidianamente con il tema della mancanza di risorse e con un personale medico, infermieristico e amministrativo sempre più stanco. Di più: andranno fatti i conti con moltissimi pensionamenti di medici. Qui si apre un altro duplice capitolo. Se è vero quel che dice l’Assessore competente e che cioè il disavanzo è fuori controllo, bisognerebbe metter mano da subito a scelte non più rinviabili come il completamento del riordino della rete ospedaliera (pur in sé criticabile). Se non si è in grado di far questo, le politiche congiunturali son dietro l’angolo con le solite simpatiche sorprese, blocco del turn-over in primis. In ultimo, ma non per importanza, va riaperta con forza una battaglia territoriale e nazionale intorno al falso mito della mancanza di risorse. Queste ultime ci sono eccome. Il nostro Paese ha un grande debito pubblico (basato su interessi alle banche), ma un grandissimo risparmio privato che si aggira intorno al doppio di quello esistente in Germania. Il nostro risparmio privato è per la maggior parte nelle mani del 10% della popolazione. Con ogni evidenza vi è una relazione diretta tra debito pubblico e risparmio privato.
Se non si scardina questo meccanismo in direzione di una reale redistribuzione delle risorse, la coperta per le politiche di salute, fondate su un’idea di diritto esigibile, sarà sempre più corta.
Alberto Deambrogio