Il primo e l’ultimo titolo di Kobe [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

Cifra tonda. Capitolo 4

Negli anni ’80 guardavo le partite dei Lakers.

Le retine dei canestri erano diverse da quelle attuali.

Non so perché. Erano più lunghe e più strette.

Erano anche più rigide, così quando un giocatore tirava, ad esempio se la palla colpiva la parte posteriore del ferro…

pop, pop, e la palla entrava così (fa il gesto, con la mano, una specie di serpentina)

pop, pop, la rete prendeva la forma della palla.

Entrava e cadeva, e la retina restava così. Quando la palla passava nel canestro, si sentiva… whoo.

Sono i dettagli di questo tipo che mi fanno impazzire.

Queste piccole cose sono ciò che amo della pallacanestro.

– Kobe Bryant, intervistato da Ahmad Rashad

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In questi giorni in cui tutto il mondo vive il dolore collettivo per la morte, inattesa e choccante di Kobe Bryant (e della amatissima figlia Gianna Maria, insieme agli altri passeggeri del suo elicottero) mi sono accorto che la “cifra tonda” degli anni con lo zero ha molto a che fare con la vita del ragazzo cresciuto qui da noi. Oltre alla morte del 2020 altri due eventi sportivi importanti sono successi rispettivamente nel 2000, quando ha vinto per la prima volta il titolo della NBA e nel 2010, l’ultima vittoria.

Solo una nota prima del racconto: su Kobe si è scritto e detto così tanto (e così bene) che, davvero, sarei uno stupido se pensassi di aggiungere qualcosa di nuovo o particolare.

Quindi non lo farò, e nemmeno proporrò per l’ennesima volta la cronaca di quelle stagioni e di quelle finali (che si trova davvero dappertutto).

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Ancora mi chiedo se ‘Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta’ sia o meno un grande libro, come almeno una generazione ha di certo pensato.

So di esserci “caduto dentro mani e piedi” come si dice, quando lo lessi un’estate di tanti anni fa. Lavoravo da poco tempo, era giovane, lo comprai un lunedì di agosto, giorno di ripresa del lavoro dopo le ferie estive, ne fui così catturato da mettermi in malattia (ehm, spero ci sia la prescrizione) e chiudermi in casa diversi giorni consecutivi (appunto: ad agosto!) a non fare altro che leggere il libro.

Se ci ripenso adesso però, di quel libro non m’è rimasto niente. Lo cito siccome è, invece, uno dei libri di culto di quello che viene generalmente considerato il più grande allenatore di basket, Phil Jackson: è il libro che regalò a Michael Jordan, che con Phil come allenatore sarà protagonista dei sei titoli vinti dai Bulls. Se cercate su Twitter, troverete la risposta a chi gli chiede un consiglio, in cui lo definisce scrivendo: “It gives a summary of philosophy of Western Civilization”.

Jackson ha regalato libri a tutti i suoi giocatori e, come racconta in ‘Più di un gioco’: “Il libro di Kobe rappresentava un’idea differente. Il mandolino del capitano Corelli… Il libro descrive il sottile gioco di potere politico da parte dei greci, che cercavano di manovrare gli occupanti italiani, i quali a loro volta cercavano di controllare le loro vite. Quando Rick (Telander, un giornalista di Chicago – ndR) mi chiese perché avessi scelto quel libro, parlai del Kobe dell’anno precedente (quello appunto del titolo del 2000 – ndR) e della sua crescita come giocatore e della sua natura estremamente competitiva. Il libro parlava di come sia possibile vivere una vita senza restrizioni né controlli… io aggiunsi altro sulla smania competitiva di Kobe di vincere le partite, contro ogni possibilità.”

Phil Jackson è stato certamente uno dei più importanti fattori esterni della carriera straordinaria di Bryant (che di suo ha aggiunto così tanti fattori propri da essere irraggiungibile persino in uno sport dove molti giocatori hanno standard di dedizione e di preparazione molto elevati), e lo racconta bene parlando della stagione successiva a quella del primo titolo, quando iniziarono a manifestarsi le prime crepe (nonostante altri due campionati consecutivi vinti) che ne condizionarono la prima parte della carriera.

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Nessuno dei campioni che hanno uno status di celebrità mondiale cambia il numero. Per tradizione, per superstizione, per ovvie ragioni di marketing.

Kobe più o meno a metà della carriera ha invece lasciato la maglia 8 per indossare quella 24, e questo fatto ha simbolizzato qualcosa di molto importante: un nuovo giocatore e un nuovo uomo, cresciuti e migliori, in un nuovo periodo.

Kobe ha segnato praticamente lo stesso numero di punti in ognuna delle due sue maglie, e con il 24 è tornato a vincere quel titolo NBA che, dopo la serie iniziata nel 2000 gli sfuggiva, mentre la sua vita (e la relazione con molti personaggi importanti, a iniziare dalla moglie e da Shaq) sembravano prendere una brutta china.

I Lakers risalgono, tornano a vincere il titolo nel 2009, il “lungo” che completa il gioco di Kobe diventa il fantastico catalano Pau Gasol, a cui per inciso coach Jackson consiglia invece ‘2666’ di Roberto Bolano, un libro di quasi mille pagine, che parla molto di morte e di inutilità. Perché Gasol  “è un grande appassionato di letteratura” dice soave Jackson, che nella stessa intervista, con una certa perfidia rivela di avere regalato a Dennis Rodman “un libro illustrato sulle motociclette”.

Quell’anno 2010 si disputò “la serie finale dei dejà vu”, e ripercorriamo con gli articoli di allora, scritti da diverse firme di Repubblica, il “confronto che rimanda alle pagine più importanti della storia Nba, ai tempi di Bill Russell, ma anche e soprattutto a quelli di Magic Johnson e Larry Bird”: Lakers contro Celtics.

I precedenti erano, tra l’altro, sfavorevoli per i Lakers: avevano sempre perso la decisiva gara-7 le quattro volte che loro e i bostoniani ci si erano sfidati.

“In gara 7 le due squadre sono arrivate in un’ altalenante sequenza da brivido: vantaggio per i Lakers che partono in casa, clamorosa sconfitta sempre in casa e pareggio dei Celtics, altrettanto clamoroso vantaggio dei Lakers in casa dei bostoniani, poi i Verdi che sull’onda di altre due partite col fattore campo prima pareggiano e poi passano in vantaggio… Fino a cadere ancora una volta a Los Angeles. Pari. L’immancabile tifosissimo Jack Nicholson che esulta. E gara 7 da giocare ancora in California.”

Soprattutto interessante rileggere cosa a caldo, dopo una gara-7 emozionante e vinta dai Lakers in particolare per i meriti di “Gasol (19 punti, 18 rimbalzi e le giocate decisive) e Artest, straordinario in difesa e provvidenziale in attacco”, scrive Stefano Valenti, oggi il responsabile della comunicazione della Lega Nazionale Pallacanestro:

“Bryant ha alzato il suo secondo titolo di Mvp della finale, meritato nei primi sei capitoli della saga. Finché era a Los Angeles, Shaquille O’ Neal oscurava sempre Bryant, gli faceva vincere i titoli stando ai maligni. Quando la scorsa estate firmò per Cleveland, sembrava pronto per far vincere l’anello a LeBron James, un modo per sbarrare la strada a Kobe. Nulla da fare, è ora la mano di Kobe ad esser piena d’anelli, col quinto. «Uno più di Shaq» ha sibilato il Black Mamba, altri 23 milioni di dollari entrati in banca, cui se ne aggiungeranno 110 fino al 2014 quando, a 36 anni, potrebbe anche dire «ho dato», godendosi denari, Natalia Diamante e Gianna Maria Onore”

Già, quella adorata Gianna Maria che nelle fotografie è sempre addosso a suo papà, letteralmente, e che purtroppo era con Kobe anche nell’ultimo, tragico, volo.

Dopo la notizia di domenica 26 gennaio, devo dire, ho letto e guardato tantissimo su Kobe Bryant. Era un uomo stra-affascinante (e stra-complesso): la portata mondiale del lutto, di cui ricordo pochi equivalenti, è stupefacente e del tutto giustificata.

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Le storie di ‘Cifra tonda’:

I duellanti https://mag.corriereal.info/wordpress/2020/01/06/i-duellanti-lettera-32/

La partita del secolo https://mag.corriereal.info/wordpress/2020/01/13/la-partita-del-secolo-lettera-32/

Il lancio che uccise https://mag.corriereal.info/wordpress/2020/01/27/il-lancio-che-uccise-lettera-32/