La Casata dei Bianchi di Alessandria, fondamentali nel 1174 per la difesa dal Barbarossa [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

 

La nascita di Alessandria risale al 1167 con la fondazione della Lega Lombarda sorta per impedire a Federico Barbarossa, alleato del Marchese di Monferrato Guglielmo V detto il Vecchio, decisamente contrario alla libertà dei Comuni (Milano, Cremona, Mantova, Bergamo, Brescia, Treviso, Ferrara, Lodi, Piacenza, Parma, Modena, Bologna e successivamente Como, Pavia e Tortona). Fu così che i 15 Comuni decisero di coalizzarsi fra di loro e pur di tenere sotto controlllo le mosse del Marchese, decisero di costruire una fortezza il più possibile in prossimità delle sue terre.
Non solo, decisero anche di chiedere la protezione del Papa Alessandro III il quale accettò di buon grado per cui i 15 Comuni, di comune accordo, grazie a quella protezione decisero di chiamarla Alessandria. Come previsto infatti, il 29 ottobre 1174, ecco ritornare nuovamente Barbarossa deciso ad espugnare la nuova fortezza ma, fortunatamente, l’assedio non ebbe fortuna. Considerando il poco tempo a disposizione prima dell’arrivo del Barbarossa, infatti, le “mura” della nuova città furono realizzate soprattutto in legno, tanto più che l’area su cui avevano deciso di realizzare la nuova città era sostanzialmente paludoso. Questo fatto costrinse però il Barbarossa ad attendere che il terreno fosse più adatto alle sue macchine da guerra.
Le leggende (o verità?) sull’assedio di Alessandria furono raccontate da molti a partire da quella della famosa mucca di Gagliaudo che venne rimpinzata di grano e sacrificata, pur di far credere al Barbarossa che gli alessandrini avevano viveri in abbondanza. In proposito dell’assedio di Alessandria suggerisco la scrittura che ne fece Dario Fo peraltro riportata su La Stampa del 19 luglio 2013 su suggerimento della presidente del FAI di Alessandria Ileana Gatti Spriano. Si tratta di un racconto avvincente, condiviso anche dal figlio Jacopo, ma sarebbe un racconto monco se venisse condensato in poche righe.
 
Tuttavia, fatta qusta premessa, ne pubblico un brevissimo stralcio: “…I cavalieri erano entrati tutti nell’acquitrino, ancora non c’era stata alcuna reazione da parte dei difensori: la città appariva deserta. Poi, improvvisamente, con catapulte e con ogni mezzo, vennero gettate sugli assalitori grosse pietre bianche che cadendo sugli attaccanti si rivelarono innoque perché leggerissime. Gli incursori restarono per un attimo interdetti. Cosa stava succedendo? Dopo alcuni istanti l’acqua tutt’intorno, là dove le pietre bianche erano cadute, iniziò a bollire. Le pietre erano blocchi di calce viva, a contatto con l’acqua iniziarono a sciogliersi, producendo così una soluzione acida…”
Ritornando alla storia di questa nostra nuova città, venne eletto Console Ruffino Bianchi, uno dei più potenti Signori della Lega Lombarda che oppose una forte resistenza all’assedio che Barbarossa impose agli alessandrini nel 1175. Era talmente infuriato il Barbarossa che la chiamò con disprezzo Alessandria della Paglia, dal fatto che i tetti delle prime case costruite erano di paglia. Ma era prossimo l’inverno e in qualche modo dovevano coprire quelle “baracche”, stante il poco tempo a disposizione degli alessandrini prima che il Barbarossa si riorganizzasse e…
Tuttavia, l’Imperatore Federico non riuscì ad espugnare la città, anzi rischiò di essere assalito e circondato dall’esercito dei Comuni nel frattempo giunto in difesa di Alessandria.
Anche i Bianchi di Alessandria, come accadde a molte famiglie nobili, ebbero momenti di fulgore seguiti da altri di decadenza.
Già nel 1650 le cronache cittadine non danno più testimonianza del loro operato, tuttavia restano delle testimonianze a sottolineare il loro operato.
Proprio nel cuore della città si erigeva la torre che i Bianchi avevano innalzato al tempo delle fazioni cittadine, consisteva in un piccolo fortilizio all’epoca ritenuto inespugnabile. Nelle cronache del tempo si fanno vari accenni sia alla torre che alla piazza definita ” Nobilium de Blanchis “. Un’altra torre era stata costruita dai Bianchi fuori città, verso la Villa del Foro.
In data 30 gennaio del 1750 il comune di Alessandria rilasciò un “certificato di nobiltà” che dichiarava la famiglia Bianchi una famiglia decurionale (1) a Luigi Bianchi di Tommaso il quale, avendo sposato( nel 1731) Anna Espinosa de Los Montros, figlia del luogotenente del Governatore di Alessandria, formò un nuovo ramo aggiungendo al cognome Bianchi quello della moglie che venne registrato come Bianchi d’Espinosa.
La Torre dei Bianchi, o quel che ne rimane, è tuttavia ancora ben visibile in via Santa Maria del Castello angolo via Verona. Della torre rimangono rimangono soltanto i primi quattro piani fuori terra l’ultimo dei quali ripropone la torre quadrata …o quel che ne rimane. Infatti, originariamente doveva essere molto più alta e imponente. Originariamente la torre non era costretta come ora dai palazzi che la circondano ma si affacciava su una vasta piazza situata “con ogni probabilità” tutta attorno alla Chiesa di Santa Maria del Castello, essendo questo il punto più elevato della città.
– 1) decurionato costituiva l’insieme delle persone che si occupavano di ciò che attualmente chiameremmo amministrazione comunale.
A corredo dell’articolo:
– Le immagini degli stemmi, sia dei Bianchi prima versione, che dei Bianchi d’Espinosa nella versione definitiva, a bande orizzontali fasciato di rosso e argento, dopo il matrimonio con i Bianchi d’Espinosa,.
– Il palazzo dei Bianchi come appare oggi, con la torre decapitata, un tempo situata su una ben più vasta piazza.
– Alcune delle macchine da guerra usate in epoca medievale
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La torre dei Bianchi
In Rovereto intorno al 1100, prima ancora che di Alessandria si parlasse, vi era una Famiglia detta dei Bianchi, che si titiene provenisse da Genova. Nobile Casata che ebbe molta parte nelle vicende della nostra città e che in Rovereto aveva Palazzo proprio con Torre e annessa Piazza dove, secondo l’uso antico, si riunivano i membri della Famiglia per decidere intorno a interessi comuni o per altri motivi anche di divertimento. I Bianchi erano di parte guelfa e considerati Nobili del Comune, per diritto di anzianità. Avevano Torre propria anche nella vicina Forum (Villa del Foro).
Il Palazzo dei Bianchi pur dopo tanti e tanti anni, esiste tuttora nella nostra Sezione Rovereto e precisamente a pochi passi dalla antica Chiesa di S. Maria di Castello, proprio come mille anni fa; anche la Torre resite ancora sebbene non più così alta come in passato. Si tratta della casa meglio conosciuta col nome di Mina, situata nella via di S.Maria di Castello all’angolo di via Verona; La Torre, restaurata una cinquantina d’anni fa, venne ribattezzata dal Mina stesso, col nuovo titolo di Torre di Gagliaudo, a ricordo forse del popolare pastore di Rovereto che nel famoso assedio del Barbarossa del 1174, ingannò con la sua mucca il “Biondo Imperatore”. Sicuramente in quell’assedio, che diede tanta rinomanza agli alessandrini in tutta Europa, si distinsero i Famigliari dei Bianchi, avversi come guelfi, al Barbarossa.
Parrocchiani fedeli di S. Maria di Castello, i Bianchi concorsero ripetute volte alla necessità della loro antica Chiesa e in particolare in occasione della costruzione delle Cappelle interne. Furono tra gli oppositori al trasferimento della Madonna allora detta di Rovereto, da S. Maria alla Cttedrale dove prese il nome di Madonna di Alessandria, oggi della Salve. A prova della effettiva importanza in antico, di questa nostra Casata, che in epoche diverse diede alla Patria Capitani valorosi, dotti Giureconsulti e caritatevoli Religiosi, ricordiamo per tutti Ruffino Bianchi che fu Console di Alessandria nel 1170 e che nello stesso anno, insieme a Braggio Brasca, recò in Benevento a Papa Alessandro III il giuramento di fedeltà del popolo nostro e le chiavi dell’antica Cattedrale appena costruita nel bel mezzo della attuale Piazza delle Libertà.
Chi oggi entra nel Duomo da via Parma, può scorgere in alto, sul portale del Tempio dalla parte interna, un grande affresco che appunto ricorda il suddetto episodio di vita cittadina. Istituito in Alessandria nel 1584 il gioco detto dell’Acheronte (di cui diremo diffusamente in altra occasione) alla Famiglia dei Bianchi fu concessa Prefettura (oggi si direbbe Presidenza) del gioco stesso e relativa consegna del Gonfalone che veniva conservato nel Palazzo dei Bianchi presso Santa Maria di Castello.
Piero Angiolini – 8 gennaio 1955