Il lancio che uccise [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

Cifra tonda. Capitolo 3

Il treno notturno da Cleveland arrivò alle dieci del mattino. Quando Kathleen scese sul marciapiede fu accolta dal reverendo Connors.

Il reverendo Connors disse poche parole mentre l’accompagnava dalla stazione all’Hotel Ansonia.

Quando Kathleen entrò nella stanza e vide gli uomini imbarazzati in piedi, rivolse il suo sguardo a Speaker, speranzosa. Speaker contraccambiò lo sguardo senza riuscire a parlare.

«È morto, non è vero?» disse lei.

Quando Speaker annuì Kathleen svenne.

L’America è un paese giovane, Bufalo Bill è morto tre anni prima, Geronimo da una diecina. 

La scritta “Hollywoodland” verrà posta solo tre anni dopo sulle colline di quello che è all’epoca un sobborgo che inizia a popolarsi dei pionieri di una nuova arte.

Il più grande elemento comune della popolazione, la sua storia e il suo passatempo è rappresentato dal gioco del baseball. Milioni di persone, sparse per i posti più remoti del paese, ascoltano le radiocronache degli incontri. Nelle città decine di migliaia di persone si ritrovano in Times Square o in luoghi simili a guardare sui tabelloni lo sviluppo del punteggio delle partite.

All’inizio del 1920 un’ombra nerissima offusca il presente e il futuro dello sport più amato. Sono sempre di più i sospetti che le finali dell’anno prima siano state vendute dai giocatori della squadra dei White Sox di Chicago. Si parlerà infatti di scandalo dei “black sox”.

I proprietari delle squadre, che grazie al baseball guadagnano tantissimi soldi, sono enormemente preoccupati.

Individuano due soluzioni: una giustizia feroce contro chi ha osato portare la corruzione nel sacro diamante, e ci penserà il prescelto giudice Landis.

E un campione dall’immagine immacolata per convincere le folle che, a parte pochi corrotti, il gioco è di sani e robusti principi.

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Chappie

Jack Graney non aveva mai visto Ray e Kathleen più felici.

«Cosa ne farai di tutte queste stanze?» chiese Graney.

Chapman rispose con un ampio sorriso. «Le riempiremo.»

Graney scosse la testa e rise. Solo di recente, Ray gli aveva detto che Kathleen era incinta. Non era un segreto che Ray volesse una grande famiglia.

Ray Chapman è un giovane uomo brillante, di successo, amato da tutti, un campione dello sport e un gentleman, oltretutto all’ultimo anno di carriera, prossimo alla nascita del primo figlio, coronamento della splendida storia d’amore con una donna straordinariamente bella e altrettanto ricca.

Gli manca solo la vittoria nel campionato e la stagione 1920 sembra quella perfetta per farcela. Ai suoi Indians di Cleveland tengono testa solo i White Sox, distratti dall’indagine sempre più incalzante del Giudice Landis, e gli Yankees di New York. Proprio la serie di partite della seconda metà di agosto quando Cleveland andrà a giocare a New York potrebbe rivelarsi decisiva.

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Il sottomarino

Il mattino del 28 settembre 1914 due giovani giocatori arrivarono in treno alla stazione Back Bay di Boston. Prima di andarsene, entrambi lasceranno il proprio marchio sul “national pastime”. Ruth diventerà il giocatore più popolare di sempre, rivoluzionando lo sport con i suoi favolosi fuoricampo. Mays lascerà memorie ben più tragiche.

Carl Mays è un uomo introverso, solo, cinico. Lo detestano gli avversari, Ty Cobb (un altro celebre cattivo) ha cercato di fargli male durante una partita. Lo detestano gli stessi compagni di squadra. Mentre era via di casa per la stagione gli hanno bruciato la fattoria, in Oklahoma. Però vince molte partite, gli Yankees lo hanno acquistato da Boston pochi mesi prima della storica transazione in cui hanno preso Babe Ruth.

Alla fine degli anni dieci del ‘900 è ancora consentita la cosiddetta “spitball”, i lanciatori masticano tabacco e lo sputano sulla palla per appesantirla, renderne irregolari le traiettorie e scurirla così che sia meno visibile, oppure usano la cartavetrata, la vaselina e altre sostanze per alterarla. Oltre a scurire la palla, che è piena e quindi alla grande velocità dei lanci è una specie di proiettile, Mays ha un movimento di lancio anomalo che viene definito sottomarino. Il braccio ha un angolo molto diverso rispetto ai canonici lanci che partono dall’alto, la palla viene via all’altezza del suo fianco. Anche per questo è così sospetto che tanti suoi lanci siano diretti alla testa del battitore.

Tutti i “pitcher” cercano di intimidire il battitore, intendiamoci, per impedirgli troppa sicurezza, ma Mays lo fa con una bastardaggine inaudita.

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Il lancio che uccise

Mays sentì il rumore, poi vide la palla che rimbalzava verso di lui. Pensando che avesse colpito l’impugnatura della mazza, la afferrò e la lanciò in prima base. Osservò Wally Pipp ricevere e ruotare per far girare la pallina attorno all’infield. Era una routine che Mays aveva osservato migliaia di volte. Ma all’improvviso Pipp si immobilizzò, il suo braccio ancora caricato dietro alla testa. Mays si chiese cosa stava succedendo, poi notò Pipp che osservava casabase con uno sguardo stranito. Solo allora il lanciatore capì che qualcosa non andava.

Non esistono riprese né fotografie, quelle che si trovano sul web sono una ricostruzione. Il sangue usciva dall’orecchio sinistro di Ray Chapman, il capitano degli Indians di Cleveland, il fantastico campione innamoratissimo della sua Kathleen.

Chappie cercava di parlare senza riuscirci. Dopo molti minuti si rialzò ma fatti pochi passi le ginocchia gli cedettero.

La partita proseguì e la riserva di Chapman completò il gioco difensivo della vittoria. Il capitano era all’ospedale, lo operarono nella notte. Lo shock dell’urto aveva danneggiato il cervello non solo sul lato sinistro della testa, quello colpito dalla pallina, ma anche su quello destro. Uscito dalla sala operatoria sembrò riprendersi, sussurrando chiese con insistenza a un compagno di squadra di ridargli l’anello nuziale che gli aveva affidato prima dell’incontro. Glielo misero al dito e morì.

Avrebbe compiuto 30 anni nel gennaio successivo, il suo primo figlio doveva nascere a febbraio del 1921.

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In aprile

Dall’altra parte della città il campanello di casa Mays suonò poco dopo le dieci di mattina. Mays aveva appena finito di fare colazione. Freddie era in cucina che lavava i piatti. Il bambino dormiva nell’altra stanza.

«Rispondo io,» disse Mays alla moglie.

Quando aprì la porta vide un uomo che stava nervosamente davanti all’uscio con il cappello in mano.

Mark Roth, uno degli impiegati della squadra, nemmeno si presentò.

«Carl, ho una cattiva notizia per te. Ray Chapman è morto stamattina alle cinque.»

Le parole colpirono Mays come una mazzata. Restò lì stupefatto, e poi lentamente chiuse la porta in faccia a Roth.

Gli Indians vinsero quel campionato. L’ultimo gioco difensivo delle finali lo fece il giovane Joe Sewell che aveva sostituito Chapman nel ruolo di interbase.

Rae Marie Chapman nacque il 27 febbraio 1921, una domenica.

Kathleen faticò a riprendersi, nonostante un trasferimento lontano, in California. Un sabato di aprile del 1928 la trovarono morta. Sua madre sosterrà sempre che avesse preso la bottiglia sbagliata, avvelenandosi accidentalmente. La loro bambina l’anno dopo si ammalò di morbillo e morì, anche lei in aprile. Aveva otto anni.

Molti anni dopo, nel 1971 sempre in aprile, il mese in cui tradizionalmente inizia una nuova stagione del baseball, Carl Mays fu ricoverato in ospedale a San Diego. Aveva quasi ottant’anni. Nell’annunciare la sua morte l’Associated Press iniziò così il resoconto: “Carl Mays, il lanciatore dei New York Yankees che lanciò la palla veloce che colpì e uccise Ray Chapman nel 1920, è morto ieri.”

Il lancio che uccise aveva segnato anche il suo destino.

(Le citazioni sono tratte da ‘The Pitch That Killed’ di Mike Sowell, professore di giornalismo, come Mays nativo dell’Oklahoma. Spero di averle tradotte correttamente.)

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Le storie di ‘Cifra tonda’:

I duellanti https://mag.corriereal.info/wordpress/2020/01/06/i-duellanti-lettera-32/

La partita del secolo https://mag.corriereal.info/wordpress/2020/01/13/la-partita-del-secolo-lettera-32/