Eredità di carne [Il Superstite 454]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

 

Ho già scritto più volte dell’opera, eccelsa, di Gigi Musolino. Come ho già spaziato forse ancora di più nel territorio, in via di continua mutazione e definizione, degli Stran, gruppo scelto di  scrittori neogotici piemontesi all’interno del quale mi agito anch’io. Tento quindi di non ripetermi, anche se qualche inevitabile rimando me lo perdonerete.

Prima quindi di accennare a pochi elementi portanti del romanzo Eredità di carne, allora mi soffermerò su un paio di flash che forse meglio di tante disquisizioni ci indirizzano su un ottimo, e forse poco battuto, percorso interpretativo. Il primo proviene dalla quarta di copertina – ignoro se dobbiamo ringraziarne l’editore Marolla o lo stesso Gigi – e recita “romanzo Folk Horror… nelle profondità dei boschi piemontesi”. Il secondo: poche parole del sempre attento e sintetico Alessandro Girola, che citando un libro di Daniele Ramella, Il mistero del bosco maledetto (L’Età dell’Acquario, lavoro notevole di qualche anno per chi ama l’archaelogical thriller/horror), snocciola la seguente frase  riferendosi ovviamente al Piemonte: “ci dev’essere qualcosa di davvero strano, in quelle terre”,  www.lobodilattice.com.

Per ordine: intanto, “Folk Horror nei boschi piemontesi” da queste parti non sono parole scritte a caso. Soprattutto se in lingua anglosassone. Prendendo a prestito considerevoli note di Fabio Camilletti al proposito, quando leggiamo Folk Horror, il riferimento va a “quel miscuglio di isolamento rurale, (neo)paganesimo e paure ctonie catturato su pellicola da film come Witchfinder General di Michael Reeves, The Blood on Satan’s Claw di Piers Haggard e The Wicker Man di Robin Hardy e che sembra animare, come un filo segreto, la cultura britannica degli anni Settanta e le sue contaminazioni fra occultismo, psichedelia e incubi rurali. Ma il Folk Horror, anziché rimanere confinato a una produzione passata, si è fatto anche riflessione sull’identità britannica e sul rapporto tra la cultura britannica e il proprio passato:  perciò esso non definisce più solo una certa atmosfera degli anni Settanta, ma anche e soprattutto il rapporto che con quell’atmosfera intrattengono i contemporanei, cercando in essa un antidoto al vuoto di senso che sembra caratterizzare il presente.”

Se da un lato quindi le analogie con l’italico gotico rurale, così definito da Eraldo Baldini (altresì ribattezzato da Pupi Avati come “gotico maggiore”), sono quasi speculari, va da sé che tanto in Italia quanto in Gran Bretagna l’intersecarsi fra passato e presente, tra residui di “barbarica” antichità e invadenti grumi di arrogante modernità, sta donando vitalità a un’ibridazione letteraria soltanto in apparenza legata all’horror, laddove il centro – nel caso di Musolino, Torino – e il margine, Val Chisone e Pracatinat – sono all’apparenza mondi lontanissimi e discordanti, per quanto maschere antitetiche di un’unica Madre Paura.

Sin qui in sintesi le suggestioni derivanti dalla quarta. In qualche modo, dal mio non condivisibile punto di vista di “abitatore del margine”, più interessanti di qualsiasi risvolto accademico sono le poche parole di Alessandro. Sicuro, c’è – e come – qualcosa di strano, se non di spaventoso, nei nostri boschi, nelle nostre colline e, come dimostra Gigi, persino alle  alte quote. Difficile spiegarlo – e dimostrarlo – a chi non ci vive o a chi non è mai stato sfiorato dall’ala sinistra della “piemontesità”. Certo, risulta più agevole raccontarlo in veste di scrittori e, dati i temi da “orrore popolare italiano”, prediligere le forme care al genere – horror, gotico, mystery, possiamo sbizzarrirci. Ma tant’è, perché c’è una Realtà oltre il velo e la metafora. E laddove l’immaginazione dell’autore si arrende all’emersione del Mostruoso, sublimato nei sensi di colpa a  rimorchio di un passato (ancora quello bellico e divisorio che sembra vergognosamente dettare ancora oggi l’agenda della politica), i dark materials sono di sublime qualità. Perché riescono a raccontare e a descrivere mostri che sul serio esistono, per quanto formalmente appartenenti al pantheon degli incubi.

Ci sta questo di strano nei nostri boschi. Non si tratta di intangibili metafore. Non lo sono neppure i loca infesta di Gigi, che esistono sul serio. Lì, con il loro nome, non metamorfizzato onde non far irritare qualcuno.

Mi rendo conto, dopo due cartelle, che ancora non ho scritto nulla di Eredità di carne, a cominciare dal titolo, che meriterebbe lui da solo un piccolo exursus.

Ma l’articolo è venuto così. E tutto sommato è il tipo di approccio che prediligo, una sorta di “maieutica socratica” da cui trarre fuori il succo di un lavoro, lasciando andare la forma, per quanto pregevole. E nel caso di Gigi, oltre che preziosa, dotata della forza tagliente di una lama che affonda nel profondo.

Perché Musolino non fa sconti. Le orride apparizioni della Strega Cannibale Famenera sono di quelle che non si dimenticano – soprattutto se come me leggete di notte -, perché rimandano l’immagine dell’infinita cattiveria umana. Tempi ben lungi dall’essere finiti. E le streghe stanno tornando, cavoli vostri.

Eredità di carne è un prodotto Acheron Books, una delle pochissime autentiche case del fantastico italiano.