Pietruzzo [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

Il 4 febbraio del 1968 la Juventus gioca a Varese. Finisce addirittura 5-0 per i padroni di casa.

Il giovane centravanti Anastasi segna addirittura una tripletta.

Si chiama Pietro, deve compiere vent’anni. Ha carnagione scura, capelli neri, occhi nerissimi e un sorriso franco un po’ alla Celentano.

Quel giorno è decisivo per la sua carriera sportiva.

Il Varese è una squadra forte, intendiamoci, costruita attorno a Picchi, il capitano (e allenatore in campo) della grande Inter, scaricato nell’estate non troppo cerimoniosamente da H.H.

Ci gioca in difesa il giovane alessandrino Ricky Sogliano, tra l’altro.

Pietruzzo, cresciuto nella Massimiana della natale “raggiante Catania”, segna in stagione 11 gol, capocannoniere è Pierino Prati con 15, e si guadagna la convocazione per la fase finale dell’Europeo 1968.

Gioca le due partite di finale contro la Jugoslavia con un inedito numero 2 sulla maglia, abbiamo infatti assegnato i numeri rispettando l’ordine alfabetico, capitan Facchetti quando esce dagli spogliatoi per annunciare al pubblico di Napoli che abbiamo vinto alla monetina la semifinale con l’URSS ha ancora indosso la maglia col 10.

Nella ripetizione della finale il gol della sicurezza che accompagna il primo di Riva lo segna proprio Anastasi con un tiro da fuori area straordinario.

Ha vent’anni, è campione d’Europa, deve andare a una grande squadra e in realtà ha già giocato una amichevole con la maglia nerazzurra.

I materiali che la Fiat può fornire al commendator Borghi, il grande patron dello sport varesino, sono però più preziosi dei fazzoletti dell’Ivanhoe Fraizzoli nuovo presidente dell’Inter, così Anastasi va a Torino.

La Juventus negli anni sessanta ha vinto poco niente, occorre ricostruirla e la scelta è di puntare sui giovani. Inoltre il clima sociale della città-fabbrica non è certo piacevole, si sceglie di puntare anche su alcuni giocatori meridionali, come Causio, Furino, come appunto Pietruzzo.

La decisione è vincente almeno dal punto di vista calcistico, e Anastasi ne è per un primo periodo protagonista: otto campionati, quasi ottanta gol, tre scudetti.

In mezzo la beffarda vicenda di Mexico ‘70. È tra i convocati ma di colpo si deve operare. I giornali scrivono (con pudore) di appendicite, in realtà è ai testicoli a causa di un colpo fortuito. Lo sostituisce Boninsegna e gioca un mondiale straordinario.

Non è l’ultimo loro incrocio. Quando l’astuto Boniperti si rende conto che il suo centravanti, come scrive Leo Turrini, “ha ormai finito la benzina” lo manda a indossare con quasi dieci anni di ritardo il nerazzurro, avendone in cambio Bonimba che è invece ancora un fior di giocatore.

La carriera di Anastasi è comunque, di fatto, ormai terminata.

Da quel che leggo il sabato 18 gennaio 2020 della sua morte, Pietro Anastasi è un altro dei troppi calciatori ucciso dalla maledetta Sla. Come avrebbe scritto Brera: che la terra ti sia lieve, Pietruzzo.