Rati Opizzoni: cosa non si fa per aggiungere le Insegne papali al proprio stemma nobiliare [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

 

Papa Pio XI (1), si legge su Wikipedia, nato Ambrogio Damiano Achille Ratti, in Desio il 31 maggio 1857, è stato il 259º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1922 fino alla sua morte avvenuta in Città del Vaticano il 10 febbraio 1939. Dal 7 giugno 1929 fu il 1º sovrano del nuovo Stato della Città del Vaticano. Avviato alla carriera ecclesiastica dall’esempio dello zio don Damiano Ratti.
Fatta questa premessa ammettiamo che fu la curiosità a spingerci nel pubblicare la storia di uno stemma conteso da due nobili famiglie del secolo scorso. Nulla di particolare se non si trattasse del fatto che, alla fine dell’Ottocento, il cardinale Achille Ratti, poi papa Pio XI, chiese, data l’omonimia, ai Rati Opizzoni di poter usare il loro stemma, il quale divenne così lo stemma di papa Ratti. Fu in virtù di questo che il papa concesse alla famiglia Rati Opizzoni il titolo di Duca.
Questo sarebbe quanto leggiamo su Wikipedia riguardo la nobile casata dei Rati Opizzoni, ma l’articolo che ci ha tramandato al riguardo il cronista Piero Angiolini in data 27 giugno 1953, porrebbe il fatto sotto un’altra luce. Infatti, leggendo il suo articolo sotto pubblicato in grassetto, si potrebbe dedurre che non fu la casata dei Ratti, e quindi Papa Pio XI, a chiedere ai Rati Opizzoni di poter usare lo stemma (2), quanto piuttosto la querelle relativa al fatto che, causa quella “t” mancante ai Rati, impediva loro di fregiarsi delle insegne papali.
Fu così che l’ultimo discendente dei Rati, don Luigi, forte dei suoi diritti araldici, si rivolse alla Curia Romana per dirimere la controversia. Infatti, leggendo quanto scrisse Piero Angiolini nel ’53, emergerebbe il fatto che Pio XI, pur di farla finita con la querelle fra le due casate che durava da troppo tempo, alla fin fine concesse ai Rati Opizzoni il titolo di Duca e di conseguenza il permesso di fregiarsi delle insegne papali. In breve se, come si dice, Martin perse la cappa, i Rati fecero il diavolo a quattro per aggiungersi quella benedetta “t” che avrebbe permesso loro di aggiungere allo stemma araldico le tanto agognate insegne papali.
Restaurato dagli attuali proprietari – come si legge su Wikipedia – il castello data dall’undicesimo secolo ed è ricordato per la prima volta in un documento del 1413 relativamente a lavori di ampliamento effettuati per conto di Filippo Maria Visconti signore di Milano.
Il castello (3), sito a Borghetto di Barbera in provincia di Alessandria, evidenzia lo stemma posto sulla sommità della torre più alta. Sorge in un parco sul greto del torrente Borbera ed è stato per secoli feudo della famiglia tortonese dei Rati Opizzoni e si collega all’adiacente borgo attraverso l’antica chiesa abbaziale di san Bernardo. Attualmente non risulterebbero eredi di questa nobile famiglia.
1 – Pio XI sulla sedia gestatoria
2 – Stemma di Pio XI
3 – Stemma sulla torre del castello Ratti Opizzone a Borghetto Borbera
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Lo stemma conteso
di Piero Angiolini
E’ il racconto, poco noto, di una vertenza di circa trent’anni fa, tra due nobili Casate, per il possesso di uno stemma comune. Poichè una di queste famiglie in origine era alessandrina, riteniamo che la curiosa vicenda possa interessare l’intera città.
 
A Roma, in S. Pietro, una statua dello scultore Canonica ricorda ai posteri Pio XI Ratti. Sul monumento in alto figura vistosamente lo stemma portato dal Papa stesso ed è appunto questo stemma che ha dato motivo alla questione araldica. Si ritenne infatti che l’arma dei Ratti fosse comune con quella di altra famiglia nobiliare e precisamente dei Rati-Opizzoni.
 
Ecco quanto di questa casata da poco scomparsa, scrive il nostro Guasco nel suo Dizionario feudale degli antichi Stati sardi e della Lombardia. I Ratti o Rati sono con gli Opizzoni, un ramo dei Bussetti, discendenti da altre Famiglie dei Signori di Rovereto, l’antico castello fondamentale di Alessandria. I Rati in data 24 maggio 1413 furono infeudati dal Duca di Milano, Filippo Maria, della terra di Castel Ratti o Torre Ratti in Val Borbera, sicchè la Casata fu poi considerata tortonese.
 
Un Bartolomeo Rati fu governatore di Savona nel 1467. Inscritti nel 1616 nel Libro d’oro di Genova, molti Rati vestirono l’abito di Cavaliere Gerosolimitano. Il ramo primogenito di detta famiglia si è estinto qualche anno fa con il Duca Luigi Rati Opizzoni di cui diremo per spiegare anche il nuovo titolo di Duca mai prima posseduto.
 
 
Papa Achille Ratti era invece nativo di Desio in quel di Milano; insigne bibliotecario fu Nunzio Apostolico in Polonia nel 1919 ed elevato alla Porpora Cardinalizia due anni dopo. E’ precisamente in questa occasione che appare per la prima volta lo stemma dei Ratti e se in allora l’arma passò quasi inosservata, di colpo divenne notissima quando il Cardinal Ratti fu eletto Papa.
 
Fu così che l’ultimo discendente dei Rati, don Luigi, rilevò la identità del suo stemma con quello dei Ratti e forte dei suoi diritti araldici, mosse eccezione alla Curia Romana. La strana vertenza durò a lungo ed infine a pacifico componimento il Papa valendosi delle sue facoltà e prerogative, assegnò al nostro Rati-Opizzoni il titolo di Duca. Col nuovo importante riconoscimento lo stemma conteso venne ad ornarsi anche dell’ambita insegna Papale, come vediamo in San Pietro.