Piazza Santa Maria di Castello [Un tuffo nel passato]

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frisina_caldi Tony Frisina

 

Un giorno di qualche tempo fa una persona dotata di spirito critico e impregnata di tanta saggezza popolare, vedendomi leggere l’ennesimo romanzo, mi disse: Chi troppo studia matto diventa! (E chi non studia porta la brenta, continuava l’antico adagio popolare. In quei frangenti però avevo ascoltato soltanto la prima parte dell’antico detto).

Avevo poi dato retta a questa persona e quindi avevo cercato di studiare poco, fermandomi al Diploma di Geometra.

È certamente per questo motivo che non sono poi diventato matto e che – per fortuna – non ho mai portato la brenta, se non per puro divertimento e mai per necessità di lavoro.

Pensavo proprio a questo proverbio – ed alla persona che lo aveva pronunciato – un giorno della scorsa settimana, passando casualmente per piazza Santa Maria di Castello.

Se la persona dell’antica saggezza popolare potesse transitare oggi per questa remota calle penserebbe certamente a quanto debbano avere studiato tutti quei luminari che, in diverse epoche, si sono occupati delle modifiche architettonico-urbanistiche relative alla zona medesima.

In questa critica accomuno tanta gente, a cominciare dalle menti illuminate che avevano osato distruggere il sacrario della gioventù alessandrina[1] che si trovava proprio di fronte alla facciata di Santa Maria di Castello, alle menti fini che ancor prima avevano distrutto le semplici costruzioni esistenti presso l’abside del Monumento religioso per erigere mostruosi bunker in cemento armato, per arrivare alle altre teste enciclopediche che hanno pensato, ridisegnato ed attuato il cosiddetto arredo urbano di tutta la (sfortunata) zona.

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Possibile che chi ha a che fare con questa città abbia studiato così tanto? Se si fosse fermato al diploma di muratore certamente i danni sarebbero stati decisamente più contenuti, per non dire assenti.

Ecco cosa avrebbe pensato la persona dotata di spirito critico e imbevuta di saggezza popolare. Non voglio anch’io pensare che chi troppo studia matto diventi ma mi faccio tante domande di continuo su tutto ciò che vedo.

Io non posso fare altro che proporre le due realtà a confronto: quella antica, testimoniata dalla cartolina d’epoca e le fotografie che mi sono preso il gusto di scattare appositamente in giorni passati.

Per ora stendo un velo pietoso sul nuovo arredo urbano.

Le cartoline che oggi osserviamo sono molto interessanti sotto il profilo urbanistico. Servono più che altro per rinfrescare la memoria ai testimoni dell’epoca e per far conoscere il preesistente a chi, essendo troppo giovane, non ha potuto assistere allo scempio.

La cartolina numero 1, della Cartoleria Tasso, appartiene al secondo dopoguerra. La numero 2, di proprietà riservata della Parrocchia, possiamo collocarla alle porte degli anni ’50 e la numero 3, edita dalla Ditta Marconi di Genova è coetanea dello scrivente, essendo stata stampata nel 1952.

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Foto 1
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Foto 2
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Foto 3

Ogni commento, a questo punto, diventa inutile e forse anche superfluo. Le immagini sanno parlare e sanno raccontare più di quel che non sappiano fare mille parole.

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[1] In realtà era una semplice e graziosa casetta di un solo piano, in cui diverse cortesi signore praticavano il meretricio. Al grido di “Avanti un altro!” una di queste opulente madame congedava un cliente per occuparsi di quello successivo. Esistono ampie e documentate dissertazioni sul tema ad opera del mio amico, il mitico Antonio Silvani, che ci ha lasciati prematuramente.