Davanti agli occhi di Juan Quintero Herrera [ALlibri]

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La sinistra alessandrina strumentalizza Umberto Eco...e intanto dimentica Delmo Maestri CorriereAl 1A cura di Angelo Marenzana

 

 

L’ospite di oggi di ALlibri è Juan Quintero Herrera, regista e giornalista colombiano, nato a Barranquilla ma al momento residente a San Paolo del Brasile. Con le Edizioni della Goccia (e grazie all’accurata traduzione di Laura Mongiardo) ha dato alle stampe Davanti agli occhi, una selezione di sette racconti di cui in lettura agli amici di ALlibri viene proposto Alla ricerca del tempo perduto. Un fiore all’occhiello per l’editore casalese Davide Indalezio pronto a cogliere al volo l’opportunità di pubblicare un autore d’oltreoceano capace di una narrazione perfettamente in linea con i canoni surreali e con gli spazi metaforici e onirici che contraddistinguono la letteratura sudamericana. Quintero Herrera, come sottolinea il critico Abilio Estévez, si presenta a pieno diritto come “un autore audace, innovativo e classico, vigoroso e commovente, con un talento speciale nel creare mistero, imponendosi come un solido rappresentante della nuovissima letteratura colombiana.”

Buona lettura.

 

Alla ricerca del tempo perduto

di Juan Quintero Herrera

Non leggerlo più di una volta, mi raccomando. Sai che non si tratta soltanto di un capriccio mio, ma di un pericolo per entrambi. Sicuramente staranno già rastrellando i nostri dati e passando sotto la lente di ingrandimento tutti questi argomenti. Se vuoi leggerlo fino alla fine, ottimo! Ma tieni presente che mentre leggi, io cancello. Ricorda il patto, è solo un’invenzione, una licenza letteraria. Se ti beccano con il testo, di’ che consisteva in questo, niente di più, e mandali da me.

 

Dicembre era sempre un mese di buone notizie. In generale, le persone dimenticavano le pene di tutto l’anno e prendevano una boccata di ossigeno. Le vie principali della città erano adornate con luminarie che sembravano un luccichio stellare, un’oasi in mezzo alla realtà opprimente. Anche le facciate delle case venivano addobbate, e gli alberelli decorativi e le luci delle ghirlande si accendevano e spegnevano al ritmo del cembalo dell’Avvento di Gesù. Per celebrare l’arrivo di Dio, i ricchi compravano bottiglie di champagne e i poveri quelle di aguardiente della Sierra. Ma al di là delle differenti possibilità economiche, l’atteggiamento di quasi tutti era allegro e speranzoso.

Ma quell’anno, neanche dicembre riuscì a infondere il suddetto spirito, e non perché avesse smesso di essere il tempo programmato dal sistema per lasciarsi alle spalle i tormenti, ma perché persino questo mese scorreva talmente implacabile che, neanche il tempo di accorgersene, era già la vigilia dell’anno nuovo.

Anni prima, dicembre era considerato un mese lungo, ma lo scorrere smodato degli ultimi tempi non consentiva di definirlo ancora tale. Quell’anno alcuni cittadini cominciarono a considerare se valesse la pena mettere in piedi tutto quell’armamentario e tutti quei preparativi per un mese che volava via in un attimo. Fu la prima avvisaglia per una società assopita che, influenzata senz’altro dal fatto che dicembre fosse un mese di compere, di illusioni e di nostalgie, sperava si mostrasse clemente con il passare dei suoi trentun giorni. Agli altri non badavano, essendo mesi vessati dal logorio del quotidiano. Io sì che mi ero accorto di quanto tutto passasse rapidamente, non soltanto quel mese.

Fui colpito da un segnale che notai nelle notizie. Dopo una pena interminabile, un uomo condannato a quarant’anni di reclusione usciva finalmente di carcere. Era vecchio ed emaciato, ma ciononostante sorrideva come se quel periodo non lo avesse trasformato. I mass media, come da prassi quando si parla di anziani, lo trattavano come un agnellino, dimenticandosi che aveva scontato una condanna per stupro e omicidio premeditato. Ma al di là della risonanza mediatica, la maggiore sorpresa fu la sua confessione davanti ai microfoni avidi: «Il bello di questi tempi precipitosi è che persino gli anni di prigionia volano» confessò e si mise a sghignazzare con i denti marci e una risata macabra e stridula.

La rivelazione di quel criminale confinato fra quattro mura per quarant’anni mi fece credere alla veridicità del detto che recita: “Non c’è male che duri in eterno, né corpo in grado di sopportarlo”. L’avevo sempre considerata una stupida consolazione per lenire castighi in cui il tempo costituiva un’aggravante della pena.

Prima, la portata delle condanne si misurava in base al tempo da scontare: un mese senza permessi, un anno senza fidanzato, tre anni senza lavorare, dieci anni di carcere, che era come dire cent’anni. Ma, da un momento all’altro, il castigo della lentezza del tempo aveva cessato di costituire una minaccia.

C’è gente che è arrivata a dire che il suo spropositato scorrere non consenta di avere ricordi.

Per esempio, lo scorso dicembre qualcuno si era ricordato di avere trovato una banconota di cinquanta pesos come portafortuna per quell’anno bisestile. Ma costui si era poi reso conto che non si trattava dello scorso dicembre, ma di quello precedente e, in preda all’angoscia, era fuggito in lacrime perché aveva perso un anno di vita senza alcun tipo di ricordo.

Ormai passava tutto talmente in fretta che qualcuno iniziò a mettere i decori di Natale già dal primo di novembre con la ferma intenzione di allungare i festeggiamenti, ma gli sforzi erano effimeri e banali, poiché in un battibaleno arrivava l’Epifania, obbligando a ritirare tutto, ad arrotolare le catene di luci, a mettere via l’alberello e riporre nelle rispettive scatole i Melchiorre, i Gaspare e i Baldassarre di gesso.

Neppure gennaio – che, in qualità di primo mese dell’anno, doveva essere il più indebitato (a causa delle spese contratte per la baldoria di dicembre) e il più ozioso (per le vacanze accademiche) – fu immune allo sfrenato passare del tempo. Anni prima, la gente di città andava in provincia per le corride di questo mese, ma da un lustro o due avevano spesso di farlo per il solito motivo ricorrente della “mancanza di tempo”.

Erano in pochi ad avere riferimenti precisi di quando se ne fosse persa la nozione. Solo qualche anziano ricordava la distanza temporale con un certo criterio. Un signore aveva detto in un’intervista: «Una volta un anno era una anno, un mese era un mese, un giorno un giorno e un’ora un’ora. Ma questo era prima, ormai il tempo non ha alcun valore concreto e un giorno vale l’altro. Viviamo completamente allo sbando».

Per quanto mi riguarda, le avvisaglie di questi primi vaneggiamenti cominciai a scorgerle tra i miei cari, che credevano che alcuni fatti fossero accaduti da poco, quando invece non era così.

Anche un’amica al parco confuse l’età di suo figlio quando gliela chiesi. «Il bambino ha quattro anni». Invece ne aveva sei.

E ricordo che una zia nostalgica parlava della festa per i quindici anni di sua figlia come di un evento dell’ultimo triennio, ma doveva già essere passata una decina d’anni.

Poi mi resi conto che si potevano ravvisare segnali in tutte le persone, persino tra i personaggi famosi, i quali credevano che il tempo delle loro glorie passate si fosse fermato a proprio vantaggio. Nelle interviste li sentivi dire che un determinato album o un certo film era stato recentemente in auge quando in realtà non superava la prova del tempo imposta dal pubblico.

All’improvviso, anche gli idoli infantili e giovanili diventarono vecchi e cominciammo a vederli rimpiazzati dalle nuove leve secondo la cultura del “togliti di mezzo, ché tocca a me”.

Neppure febbraio e marzo si salvarono; mesi tanto attesi perché c’era il carnevale, passavano ormai così rapidamente da ridursi a quattro effimeri giorni carnevaleschi che un tempo annoiavano e si concludevano finalmente con un interminabile Mercoledì delle Ceneri. Ricchi e poveri cominciarono a lagnarsi del fatto che non faceva in tempo ad arrivare il sabato di carnevale, primo giorno di festa, che i festeggiamenti erano già finiti al suono di fandanghi, cumbias e porros[1], rimanendo ironicamente l’unico evento ben organizzato in questa terra di vigliacchi. Qualcuno stufo della festa disse, e restò nella memoria di qualche saggio: «Se si seguisse l’ordine del carnevale per fare tutte le cose in città, quest’ultima smetterebbe di essere l’eterno carnevale che è».

Ma agli abitanti in generale interessava che in quei quattro giorni la città fosse pronta a brillare; e il resto dell’anno, chi se ne importava. In questo modo, i poveri cominciarono a giustificare le proprie miserie nei confronti dei ricchi: «Ehi, voi, presuntuosi che non siete altro, questi giorni volano in un attimo e poi si torna alla normalità», e quel messaggio fu così chiaro che quegli uomini con le loro bottiglie di whisky invecchiato di diciotto anni e quelle donne con i tacchi alti fermarono i festeggiamenti e si misero a riflettere all’unisono su quell’affermazione.

Durante la Settimana Santa accadeva la stessa cosa. La Quaresima passava in un soffio e non bastava a ripulire i cuori “contriti” di chi si era abbandonato a piccoli e grandi eccessi. Era davvero triste non riuscire più a fare nulla, pur avendo le possibilità economiche. In un quotidiano di portata nazionale un dirigente di alto livello rivelava la propria preoccupazione. Il manager aveva atteso dall’anno precedente l’arrivo del Giovedì Santo per andarsene a Clermont Ferrand fino alla domenica, a trascorrere qualche giorno di svago con la moglie e i due figli. Ma non si aspettava che le sue brevi vacanze si riducessero a dodici ore di volo, a un ingorgo di un giorno intero su una strada francese e agli imprevisti dell’hotel dove alloggiava, che non aveva registrato la sua prenotazione. Dovette ributtarsi in un nuovo anno lavorativo senza infamia e senza gloria. «La mia unica speranza è che un anno passa in fretta, però la prossima volta non vado in Francia, ma qui vicino, a Santa Marta o a Cartagena» disse il previdente manager per evitare di perdere tempo.

Persino i diversivi avevano tempi prestabiliti, e gli esperti lo confermavano: «Non si può attendere a lungo per il pranzo al ristorante, o perdere tempo a vestirsi per un evento, o a viaggiare, mangiare, dormire», aveva detto un tempologo in un telegiornale.

Per quello le persone correvano sempre dall’aeroporto all’hotel: perché per il tragitto non fai in…, da casa al teatro siamo a corto di…, un pranzo rapido per risparmiare… Ed erano tutti impegnati nello stesso tentativo di vincere la gara contro l’innominabile, contro di lui.

Fu così che arrivò l’epoca dei licenziamenti di massa, perché gli impiegati non riuscivano ad arrivare in…

L’effetto si propagò negli aeroporti, nelle stazioni, negli ospedali. A poco a poco la gente, per non correre il rischio, si abituò a “fare tutto in anticipo”. Qual è stato il momento in cui tutto si è fatto più breve per potere riuscire a sfruttare il tempo? Ormai nessuno lo ricorda, nessuno ci pensa, non c’è tempo per ricordare, non basterebbe nemmeno per farlo. È importante goderci quello che ci resta.

Il fenomeno raggiunse persino il cinema. Sì, il cinema. Si smise di produrre lungometraggi. Era uno sproposito non tanto per quanto ci si metteva a farli, ma per il tempo necessario per vederli. Un maggio, che per la rapidità con cui tutto passa non si sa quale fosse, entrò in vigore nelle sale cinematografiche la proiezione esclusiva di cortometraggi. Alcune persone dell’ambiente provarono a opporsi, ma il messaggio era chiaro: chi non si fosse adeguato, sarebbe ironicamente rimasto “fuori dal tempo”. E così persino nei migliori festival, in Francia e in Italia, gli organizzatori diedero il loro benestare, perché evidentemente era una “questione di tempo”.

Poi fu la volta della letteratura, o forse accadde prima, non ricordo. Le case editrici rivitalizzarono un genere disprezzato, il racconto. I romanzi, che fino ad allora dominavano il mercato in quanto a diffusione, dovettero adattarsi, perché altrimenti sarebbero scomparsi. Se talvolta gli editori avevano risposto agli scrittori che presentavano i propri racconti che non era possibile pubblicarli perché non si vendevano, ora non potevano più farlo poiché i racconti erano diventati di moda, proprio per il fatto di essere brevi e più consoni al tempo di chi li leggeva. Il romanzo, per quanto si fosse adeguato, rimase via via relegato nel baule dei ricordi, come un genere letterario esteso, pesante e d’altri tempi, tanto antico quanto lo era stata una volta l’epopea.

I coraggiosi che continuarono a scriverli ricevevano la riciclata risposta “non si vendono”, e “inoltre i nostri editori non hanno tempo di leggerli”.

«Ma non è da adesso, era già nell’aria la moda della narrativa breve», disse una volta un rinomato editore durante un festival, «guardate anche il successo dei microracconti: più brevi sono, meglio è…». «E cosa ne pensate della rete di informazione da centoquaranta caratteri?» domandò ai presenti, e tutti si misero a riflettere su qualcosa di evidente. «Ha permeato tutto. Quello che un tempo era in formato ridotto solo come diversivo, con la rivoluzione del… è diventato strettamente obbligatorio». E con questa frase mise un punto conclusivo alla sua esposizione.

Queste sono le mie impressioni sul tema per ora. Spero ti servano per l’arduo lavoro in cui ti sei imbarcato.

                              Il tuo amico…

La farsa del tempo?

Di…

Giorno… Mese… Anno corrente

 

Qualcuno ritiene che questi cambiamenti sociali e culturali siano avvenuti da molto, ma non è così. Lo sanno in pochi e solo alcuni ricercatori (forse gli unici temerari disposti a sprecare il tempo!) hanno concluso – per i pochi fortunati che hanno potuto ascoltarli e vederli – che il fenomeno è recente. Forse di un anno o due, quando in tutte le questioni di mercato si è formulata l’idea dell’istantaneità per guadagnare tempo. Le loro ricerche, che naturalmente hanno richiesto un tempo considerevole, vanno dalle Scienze Sociali alla Medicina. I risultati esposti, riguardanti i primi studi, sono schiaccianti. L’ultima parte della ricerca, per citare le loro parole, «è ferma per mancanza di fondi e di… necessari a portare a termine un progetto che ironicamente richiede molto denaro e…».

Neanche loro pronunciano il nome, lo evitano al massimo. A quanto pare non è una paranoia l’eventualità di essere rintracciati e puniti.

Sono in pochi – per non dire nessuno – ad appoggiarli, e i ricercatori sono sempre meno.

La maggior parte reputa che il nocciolo della questione non sia il tempo. Adducono la giustificazione che ci sia un’altra ragnatela dello stesso ragno che nessuno ha interesse a mostrare.

Quasi tutti i conferenzieri dell’ultimo “Congresso Clandestino sul Tempo” sostengono con prove alla mano la seguente tesi: «Per i padroni del mondo l’affare consiste nell’indurre al materialismo e al mercantilismo in formato ridotto. In un pianeta sovrasfruttato e con meno risorse, la cosa più redditizia è intascare gli stessi soldi con meno contenuti, e con la scusa perfetta di guadagnarne in tempo: se si vende, allo stesso prezzo, un libro di dieci pagine che prima ne conteneva duecento, oppure un quotidiano di poche pagine, o meglio ancora se si pubblica in rete quello che prima doveva essere stampato in grandi quantità, l’affare è lampante. Risparmiare sui costi non è mai stato tanto vantaggioso. Consumiamo meno alimenti e neanche ce ne accorgiamo. Le prove fondate rivelano la farsa di un tempo fugace. Nel processo di ricerca sono state impiegate ore e ore di riprese ad animali, ma anche a fannulloni e chiacchieroni sponsorizzati per avere il coraggio di perdere tempo. I risultati hanno chiarito che quando non c’è una paranoia sul tempo il suo corso può essere del tutto normale».

 

Le mie conclusioni

Partecipare a uno di questi eventi è un’esperienza rivelatrice, ma allo stesso tempo confusa. Ho sentito questa confusione anche mentre si stava svolgendo. Sebbene la maggior parte negasse la presunta rapidità del tempo, erano sempre ossessionati dal suo scorrere.

Personalmente, ho trovato ripetitivi i temi dell’evento, ma in linea generale, interessanti.

Il primo dibattito si intitolava: “La prova degli alimenti”. «Ci vendono salute e rapidità» aveva detto uno dei ricercatori, e aveva proseguito: «Ma quanti di noi si sono resi conto che la rapidità è associata a una minore quantità del prodotto che ci viene venduto? Andate a controllare le confezioni, i caffè istantanei, i maccheroni da cucinare in cinque minuti, i cibi da microonde, le lattine pronte per il consumo e scoprirete il fatidico risultato. Inoltre, se fate ancora più attenzione, constaterete che tutta la faccenda della rapidità è inversamente proporzionale alla salute. Non siamo mai stati tanto intossicati come ora. E per ultimo, essere magri, in linea e perdere peso non è mai stato tanto di moda. Be’, semplice, “diamo loro meno e ci pagheranno di più”, e ci avviamo tutti come bestiame al macello, credendo di farlo per la salute.»

Alcune delle sue idee mi sono apparse così veritiere. La minore quantità di alimenti non può dipendere dal tempo, sebbene la scusa continui a essere la medesima. “Fagioli in cinque minuti e maccheroni in soli due”. “Non perdete tempo a fare il caffè, bevetevi questo, è istantaneo”. Ma sotto la voce dell’immediatezza si cela la realtà della minore quantità. Ho controllato il latte ed è vero: un litro non è più un litro, e il chilo che ci viene venduto in molti prodotti è meno. Poi ho guardato le bevande energetiche, i frullati delle imprese piramidali, che vendono ai loro soci il business della vita, offrendo intrugli magici, che nella tabella nutrizionale non sono altro che piante ed essenze quasi sconosciute. E di nuovo il valore aggiunto nei loro slogan: “Più sano di un pasto tradizionale e in minor tempo!”. Saranno questi i segnali? Può darsi.

Quasi tutti gli altri conferenzieri hanno esposto repliche delle ricerche del primo studio sugli alimenti. Adducevano prove piuttosto credibili, che non toccavano altri argomenti eccetto quelli già dimostrati. Solo a fine giornata, quando sembrava che tutto si sarebbe concluso come lo slogan ripetitivo di un discorso politico, uno di loro, il ricercatore trasgressore, ha introdotto un tema con le pinze.

Parlava della risonanza della Terra (risonanza Schumann). Diceva che per migliaia di anni si è aggirata sui 7,8 Hz al secondo, ma che per motivi ancora da verificare dal 1980 è aumentata fino ai 12 Hz. La sua rapida conclusione è stata che le 1sedici ore attuali equivalgono a quello che crediamo sia un giorno di ventiquattr’ore. «Il tempo sta accelerando?» ha domandato e stava per dare la risposta quando uno degli organizzatori dell’evento lo ha fatto scendere perché era “paradossalmente” finito il suo tempo. I suoi colleghi sembravano seccati dalla sua presenza. C’era qualcosa che non si voleva dire? Dopo l’evento, io e un altro giornalista, gli unici partecipanti, abbiamo provato ad avvicinarlo, ma abbiamo ottenuto solo risposte evasive e nessuno ci ha dato ragione.

Sono tornato a casa pieno di domande, più di quante ne avessi prima di quell’evento clandestino. Mi avevano convinto i ricercatori che sostenevano la farsa di un tempo che procede più rapidamente. Ma alla fine propendevo per l’idea della risonanza della Terra. Quella tesi era ben elaborata quanto le altre; non si basava su sensazioni né ipotesi sociali, commerciali o occulte di qualche macabro nuovo ordine sociale. Da quel momento, mi sono riproposto di indagare sul tema. Ho consultato fino alla nausea centinai di fonti; ho domandato a astronomi, geografi, geologi e altri esperti del tema per trovare risposte.

Era complesso perché bisognava saperne di geofisica, campi magnetici, circuiti elettrici, formule ed equazioni, e altri rompicapi logico-matematici che mettevano in discussione la mia capacità di comprensione. A tutto ciò si sommava il rifiuto dei ricercatori di sprecare il loro tempo per parlarmi di uno studio incerto sul tempo.

Pertanto, questo è quanto sono riuscito a dedurre finora: due teorie, due possibilità… Semplici ipotesi? Paranoia o verità? Traete voi le vostre conclusioni.

Amico… Grazie per il tuo inestimabile apporto. Man mano che leggevo, cancellavo. Ritengo che alcune delle tue impressioni siano plausibili… molto plausibili. Sai, da bambino mi era rimasta impressa nella memoria la frase di un filosofo francese che leggeva mio papà. A lui piaceva quell’esistenzialista dagli occhi strabici, dalle idee brillanti e sempre in compagnia di una pipa. Tu sai chi è, io so chi è, tutti (o quasi tutti) sappiamo chi è, non serve dire il nome, ma ricordo che recitava più o meno così: «Godiamoci il nostro tempo, forse ce ne sono stati di migliori, ma questo è il nostro». Oggi, qui e ora, mi rendo conto di quanto prezioso sia.

 

[1] Musiche e danze tradizionali colombiane (n.d.t).