Una fotografia della distrutta Caserma Gambarina [Un tuffo nel passato]

frisina_caldi Tony Frisina

 

 

Oggi mi piace parlare della Gambarina – la caserma demolita il 15 luglio 1988 – e di quel che rimane della vecchia struttura militare.

Ai lettori forse non interesserà tanto la storia e la genesi della caserma (che comunque ora non voglio fare) quanto gli sviluppi che in un attimo – quel maledetto 15 luglio – hanno cambiato la geografia e soprattutto l’anima di un luogo caratteristico della città, quale era via Brescia.

Oggi sappiamo tutti che in quel poco (ma anche molto interessante) che rimane della vecchia costruzione militare è ospitato il bellissimo e utile museo etnografico della Gambarina che – come ben noto – è molto di più di un semplice luogo espositivo.

La caserma, risalente al 1700 detta Gambarina Vecchia era di proprietà del Comune (e l’attuale parte che ne resta la è ancora. Occupava l’attuale piazza ricavata appunto dalla demolizione del manufatto.

A chi mi conosce bene non occorre molto acume per capire che personalmente ero contrario all’abbattimento (anche) di questo antico fabbricato.

Inoltre, tenuto conto della penuria di locali per uso abitativo e per uffici pubblici, si sarebbe potuta conservare questa gradevole struttura. Dall’eventuale operazione di ristrutturazione conservativa sarebbero scaturite due cose positive: la prima – che ho già citato – e la conservazione dell’anima di un angolo caratteristico di questa maltrattata Alessandria.

La città, come spesso mi piace ricordare, non è fatta soltanto dai cittadini che la abitano e dal nome scritto su cartelli metallici posti sulle strade d’ingresso. La città è anche e soprattutto la storia che la vede protagonista negli anni; quindi i luoghi sono la testimonianza più tangibile di tutto questo passato.

Naturalmente non ci stupisce ricordare che all’epoca della demolizione furono commesse leggerezze e probabili abusi, come due articoli apparsi sul numero de La Stampa del 24 febbraio 1991 – a firma di Piero Bottino e di Franco Marchiaro – pongono in evidenza.

Poi, come sempre accade (non soltanto in questa città), tutto finisce a tarallucci e vino, e la cosa muore lì.

A torto o a ragione la Gambarina non esiste più ed al suo posto abbiamo – seppure sia utile – una piazza con l’ennesimo parcheggio.

Per essere più chiaro su quanto esposto poco sopra, lascio parlare i servizi giornalistici sopra citati, riportandoli testualmente.

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La Stampa edizione di Alessandria. Domenica 24 febbraio 1991.Ingiunzione della sovrintendenza al comune: domani il problema in commissione

Gambarina, il muro va rifatto

Quando nell’area della caserma si ricavò un parcheggio, la struttura, del ‘700, crollò mentre doveva essere conservata. Ora si deve «ricostruirla com’era», altrimenti addio piano di recupero edilizio

Ripristino segnato dal destino

A forza di viverci in questa città, dove facciate liberty e settecentesche sembrano abbattersi al suolo per volontà divina lasciando libero il campo a nuovi trionfi della moderna architettura, si rischia di perdere il senso delle cose. Ha ragione Tony Frisina a scrivere, con sgomento, che a volte gli alessandrini sembrano più curiosi di quel che verrà costruito, invece che indignati per ciò che viene demolito (o lasciato crollare).

Il caso della Gambarina Vecchia e della sfortunata battaglia condotta a suo tempo per evitarne la demolizione è emblematico. «Era soltanto un rudere senza valore» hanno sempre sostenuto i fautori dell’abbattimento. Ma, pur ammettendolo, caratteristica dei ruderi è l’abbandono; quando questa condizione cessa e qualcuno decide di interessarsi a loro riprendono vita e tornano utili alla comunità (per la Gambarina c’era anche un progetto di trasformazione in piazzetta porticata).

Ora la Sovrintendenza, che sta a Torino e non sembra soffrire delle sindromi alessandrine, pone la sua condizione: «Rifate quel muro com’era». Certo, sarà un falso storico, ma pensiamo che anche chi ha formulato l’aut aut se ne renda conto. Il suo scopo è un altro. Visto che ormai non si può più salvare la Gambarina, che almeno i mandrogni reggitori delle pubbliche cose traggano, pagando pedaggio, la giusta morale della vicenda: i beni architettonici e culturali sono proprietà della Nazione, non di un’amministrazione comunale.

Piero Bottino

E questo è l’altro interessante scritto:

“Alessandria

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Dal nostro corrispondente

La Sovrintendenza alle Belle Arti di Torino vuole che sia ricostruita la facciata su via Mazzini delle caserma Gambarina vecchia, demolita quasi interamente nel 1988 per trasformare l’area in parcheggio. Il problema sarà domani all’esame della commissione consiliare Urbanistica, che deve giudicare il piano di recupero dell’area attorno alla caserma predisposto dall’ufficio tecnico. Quando il Comune decise l’abbattimento, la Sovrintendenza pose due precisi limiti: salvare la parte che ospitava le scuderie e il tratto di muro esterno su via Mazzini. Le scuderie non sono abbattute, ma nemmeno ristrutturate. Sono in stato di abbandono, delimitate da una staccionata in legno usata per gli slogan pro Lega Nord e contro l’inceneritore a San Michele. Ben diversa è la sorte toccata alla facciata. «Durante i lavori per la demolizione delle caserma il tratto di muro, venuto a mancare l’appoggio, è crollato», dice l’attuale assessore all’urbanistica, architetto Gianfranco Calorio. Non va però dimenticato che in città sono troppe le testimonianze del passato scomparse «casualmente» durante lavori di ristrutturazione, ultimo esempio è la facciata liberty dell’edificio di via Trotti all’angolo con vicolo dell’Erba. La Gambarina vecchia (così chiamata per distinguerla da quella «nuova», cioè la caserma Valfrè) fu eretta agli inizi del 1700 per trasferirvi un reparto di cavalleria di stanza a Borgoglio, quartiere quasi interamente spianato per far posto alla Cittadella. La costruzione fu ristrutturata da Domenico Caselli. Da «piccapietre» a capomastro, a geometra ed infine architetto con «regie patenti», Domenico Caselli fa parte di una famiglia che ricoprì una parte importante nella storia edilizia alessandrina. Alla Gambarina Vecchia Domenico lasciò testimonianza della tipologia architettonica settecentesca. Di qui la preoccupazione della Sovrintendenza di salvare almeno una parte dell’antico edificio.

«Ora – dice l’assessore Calorio – vogliono che il muro sia rifatto esattamente com’era. A parte il “falso storico”, si creerebbero problemi di accesso per gli automobilisti che utilizzano il parcheggio». Alla Sovrintendenza non vogliono però sentire ragioni. Per questo è bloccato il piano di recupero redatto dall’ufficio tecnico e che prevede la sistemazione dell’area tra le vie Mazzini, Brescia, Canefri e dei Guasco. «Si tratta – dice Calorio – di liberare alcuni cortili da ripostigli, laboratori artigianali e autorimesse, edificare al posto dell’attuale edificio di via Canefri una nuova casa arretrata sul filo della via, per eliminare la strozzatura, sistemare spazi verdi». L’area potrebbe essere appetibile per imprenditori privati, disposti magari ad affrontare il ricupero delle scuderie.

Ma il piano, nato nel 1986, è già stato «congelato» una volta in Regione per le condizioni poste dalla Sovrintendenza. E oggi è nuovamente in discussione, ma il «sì» regionale verrà solo a condizione che ci sia l’approvazione della Sovrintendenza, che insiste nella sua richiesta: «Rifare il nuovo esattamente com’era».

Franco Marchiaro”

Come si vede, il destino di questa città è sempre ed è sempre stato nelle mani di pochi che, per incapacità, incompetenza, poca lungimiranza o altro motivo che penso e che non voglio pronunciare, ha sempre fatto quel che ha voluto fare.

La città famosa per la sindrome dell’avvocato Tronconi, quello che ha distrutto la casa per vendere i mattoni. (Qua da noi si dice L’à tracc zü la cà pèr vendi i mon).

Oggi – e già da tanti anni ormai – l’area espositiva del Museo, quindi la parte salvata dalle ruspe, si articola su due piani e misura circa 1600 metri quadrati.

Al piano terra, sfruttando l’architettura a campate delle ex scuderie, è stato ricavato un suggestivo percorso composto da ambientazioni che riproducono i principali momenti della vita pubblica e privata nella società contadina a cavallo fra Ottocento e Novecento.

Come i miei lettori possono comprendere anche ad Alessandria ci sono cose belle che se non sorvegliate attentamente farebbero la fine che pochi burocrati in camicia e cravatta decidono per tutti noi. Occorre tenere l’attenzione sempre a livelli di guardia (come il fiume Tanaro in questi giorni) per non lasciare che poi la facciano da padroni alle spalle della nostra città che amiamo.

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Immagine a suo tempo inserita in La Sghiarola, poesie in dialetto alessandrino di Sandro Locardi, a commento della poesia “Radiografia ‘d ‘na sità”. (Anno 1989)

Nella fotografia che propongo oggi è visibile uno scorcio di via Brescia, dove fanno sfoggio della loro trascuratezza le vecchie mura della Caserma Gambarina. A distanza di pochi mesi da questo scatto il fabbricato verrà abbattuto.

Voglio ancora far notare l’unica presenza in zona. Il bimbo, che suo malgrado è presente sulla scena del delitto, è mio figlio.

Da sempre innamorato della mia città e della fotografia, quando era possibile sfruttavo l’occasione di ritrarre in qualche modo anche il mio adorato pargolo. Il povero cristo, non sempre volentieri, era costretto a soggiacere ai miei soprusi fotografici e (Goliardicamente parlando) seppur gli girassero vorticosamente le piccole sacre sfere – non potendosi ribellare – faceva buon viso a cattivo gioco.
Ritengo che i miei soprusi nei confronti del piccolo Ivano siano poca cosa, rispetto alla totale irriverenza di chi maltratta, offende e distrugge la nostra città.