Il Piemonte arranca: come uscirne? [Piemonte Economy]

di Cristina Bargero

 

È oramai da anni che tra l’altalenarsi di segni più e meno il Piemonte arranca. Ce lo indicano i numeri, impietosi nella loro freddezza, che ci collocano come fanalino di coda tra le Regioni del Nord, che seppur tra i mille problemi che attanagliano il nostro paese, corrono ai ritmi dell’Ile de France, del Baden Württemberg.

IL PIL pro/capite del Piemonte (dato ISTAT 2017) pari a 30.300 euro è il più basso di tutte le Regioni del Nord, ma anche di Lazio e Toscana, mentre il tasso di disoccupazione, secondo le rilevazioni più recenti del secondo trimestre 2019,raggiunge il 7,2%. La media del Nord è del 5,2% e peggio di noi sta solo la Liguria.

Anche a un osservatore poco avvezzo ai dati la situazione della nostra regione di delinea nelle sue tinte non certo rosee: è sufficiente percorrere il primo tratto della Torino-Milano in uscita dal capoluogo o farsi un giro per le aree industriali delle città, negli anni ‘70 centri di riferimento di alcuni distretti industriali, o meglio ancora appostarsi ai cancelli di Mirafiori durante i cambi turno per rendersi conto di una manifattura che in alcune di quelle che erano le sue specializzazioni tradizionali arranca.

E’ mutata profondamente la geografia industriale di un territorio che, a partire dall’epoca giolittiana, ha segnato la storia economica del nostro Paese. Infatti, nasce proprio in questa fascia di territori, compresi tra Piemonte Liguria e Lombardia, il “triangolo industriale”, da cui è partita la prima forma di industrializzazione su larga scala in Italia.

La “scomparsa dell’Italia industriale” soprattutto in Piemonte vede le sue radici profonde nelle caratteristiche del manifatturiero piemontese, particolarmente legato (in particolare nel’area di Torino, la più grande e popolosa del Piemonte) all’automobile, che ha avuto maggiori difficoltà ed ha perso più valore aggiunto e occupazione rispetto alle altre grandi regioni caratterizzate invece da un tessuto produttivo più variegato.

La deindustrializzazione si associa al progresso tecnologico, che provoca uno spostamento della frontiera di produzione, all’assorbimento di forza lavoro da parte dei servizi e alla delocalizzazione, dovuta a un cambiamento a livello internazionale del vantaggio comparato e può anche essere letta come una fase dello sviluppo delle società avanzate. Entrano allora in giorno fattori quali il capitale umano, le competenze, il possesso e il trasferimento delle informazioni, e in tale contesto le città devono sapere reinventarsi un ruolo di catalizzatori di servizi e di tecnologia.

Oggi, tranne qualche eccezione, connesse alla gravitazione sulla Lombardia o all’essere localizzate in territori coesi economicamente e socialmente, le città piemontesi arrancano, a partire proprio dal capoluogo.