Il rivale della maglia gialla [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

 

Colpisce che nelle foto recenti indossasse molto spesso una maglia gialla, quella che crudelmente in carriera non aveva vestito neanche per un giorno.

Raymond Poulidor, morto il 12 novembre quando il suo cuore si è infine accorto di tutta la fatica fatta, era un campione straordinariamente popolare nello sport all’epoca popolare per eccellenza.

La sua carriera ciclistica durò molti anni, prolungandosi fin oltre i quarant’anni, anche se iniziò tardi.

Era passato professionista ventiquattrenne nel 1960, l’anno della morte di Fausto Coppi, l’anno del drammatico incidente giù dal Col de Perjuret che mise fine alla carriera di Rivière (e ne rovinò la vita). Correva ancora Louison Bobet, che i giornali chiamavano maliziosamente “Louisette Bonbon” e che era stato il rivale di Bartali quando Gino vinse il Tour del 1948, quello passato alla storia.

In fondo, pur con un confronto di vittorie che non regge, Poulidor è stato per i tifosi francesi del ciclismo qualcosa di simile a quel che è stato per noi “il toscanaccio”.

Entrambi hanno frequentato assiduamente le gare una volta smesso di correre (Bartali pure per necessità economiche), sempre adorati dai tifosi che hanno continuato a circondarli di affetto genuino.

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Il ciclismo è lo sport individuale affollato (i partenti sono di solito più di cento) che, nonostante ciò, più ha costruito il proprio successo grazie alla creazione delle grandi rivalità tra due campioni: da noi niente è stato o sarà paragonabile a CoppieBartali, che tuttora lo diciamo come una parola sola.

Nei primi anni della carriera di Poulidor il rivale che si trovò si chiamava Jacques Anquetil, uno che campione era, popolare no, considerato altezzoso pur essendo in realtà di origini familiari più umili rispetto a “Poupou”, come lo chiamavano i transalpini.

Li racconta una foto famosissima, in cui Anquetil ha indosso la maglia gialla, quella che Poulidor non metterà mai. Scattata al Tour del 1964, l’anno del loro grande duello, durante la scalata del mitico Puy de Dôme. Sono davvero gomito a gomito, come se ci fosse strada disponibile per uno solo di loro due.

Prima del via un mago aveva predetto ad Anquetil che sarebbe stato ucciso sui Pirenei, cosa che lo terrorizzò.

Quell’anno il Tour inizió che non era ancora luglio (il mese tradizionale della “grand boucle”) e al via indossava la maglia iridata del campione del mondo un belga, Benoni Beheyt, tuttora ricordato per avere rubato la vittoria sulle strade di casa al suo caposquadra Rik Van Looy (che non glielo perdonerà mai). Beheyt, uomo evidentemente portato agli sgarbi, tra l’altro sarà il vincitore a Versailles della tappa del 14 luglio, giorno della festa nazionale in cui i corridori francesi aumentano ancora di più i loro sforzi.

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Il Tour de France del 1964 parte il 22 giugno. Dieci giorni prima un tribunale del Sud Africa ha condannato all’ergastolo Nelson Mandela. In Italia sta cadendo il primo governo Moro, il primo di centro-sinistra “organico” nella storia repubblicana che ha alla vice presidenza il socialista Pietro Nenni.

Quel lunedì su Stampa Sera un articolo di Giovanni Camagna (il padre di Emma, lei pure giornalista da moltissimi anni del quotidiano torinese) racconta del “primo convegno sul triangolo industriale” conclusosi ad Alessandria e leggiamo in particolare un passaggio che, ripensato oggi, assume un significato perfino affascinante, nella sua assurdità: “il PCI ha sostenuto la tesi che la creazione del comprensorio industriale nel Basso Alessandrino richiamerebbe una nuova popolazione di circa centomila abitanti, aggravando il fenomeno migratorio, e concentrerebbe ancora al Nord l’industrializzazione, a danno del Sud”.

Invece nello sport l’occhiello dell’articolo sull’inizio della corsa francese dice già tutto: “Anquetil favoritissimo è antipatico ai francesi: gli preferiscono Poulidor”.

Nella storia di quell’edizione ci sono alcune tappe fondamentali: per prima quella di Monaco dove all’arrivo sulla pista in cenere dello stadio Poulidor sprinta con un giro di anticipo e perciò perde, consegnando al rivale il minuto di abbuono che si rivelerà decisivo. Il giornalista che racconta quella giornata (si era partiti da Briançon) scrive che “ha dato ragione a quanti sostengono che questo Tour è un Tour sbagliato, un Tour dal tracciato bislacco, un Tour persin troppo difficile”.

Un Tour che registra pure il più grave incidente di sempre quando in un paesino della Dordogna nei pressi di uno stretto ponte, dove i corridori devono passare molto piano e quindi si sono ammassati gli spettatori, un camion che trasporta cherosene sbanda e ne uccide nove, tra cui tre bambini.

Come detto, è anche il Tour del duello sul Puy de Dôme raccontato tante volte, tra l’altro splendidamente da Nicola Roggero in ‘Caro nemico’ di cui abbiamo scritto qui.

È anche l’ultimo Tour vinto dal “metronomo” normanno, il quinto per lui.

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Da lì in avanti scopriamo che il rivale di Poupou non è il campione che sta terminando la carriera: è la maglia gialla la sua vera rivale.

Nel 1965 è favorito ma arriva dall’Italia un ragazzo esordiente. Vince dunque Gimondì, nessun francese indossa le “maillot jaune”, non succedeva da trent’anni.

Nel 1966 è favorito ma Anquetil, all’ultima partecipazione e ormai non più competitivo, gli organizza un trappolone nella tappa che partendo da Briançon, dove addirittura 28 erano finiti fuori tempo massimo, arriva a Torino nello stadio Comunale. Indossa la maglia il giovane Aimar, poi vincitore finale, definito da La Stampa: “un gregario di Anquetil”. I tifosi italiani sono distratti dal prossimo inizio del mondiale di calcio che si gioca in Inghilterra, per cui abbiamo grandi aspettative e tra l’altro un girone facile che comprende addirittura la Corea.

Nel 1967 si ritorna alla formula delle squadre nazionali, definitivamente abbandonata due anni dopo. È l’ultima edizione ad arrivare nel leggendario velodromo del Parc des Princes ma viene ricordata soprattutto per la tragedia di Tom Simpson morto sul Mont Ventoux. Poulidor è favorito invece cade all’ottava tappa e si presta a fare il gregario al connazionale Pingeon.

L’anno dopo il francese, di nuovo favorito, viene investito da un motociclista nella tappa che arriva a Saint-Étienne e diventa famosa un’altra sua fotografia, in sella con il volto coperto di sangue.

Poi inizia a vincere un certo Eddy Merckx. Il cannibale dopo quattro successi consecutivi non si iscrive nel 1973. Danno il pettorale numero 1 a Poulidor. Il prologo si corre il 30 giugno, lo stesso giorno in cui l’Alessandria vince la finale della Coppa Italia di serie C. Poulidor perde la breve tappa, una cronometro di sette chilometri per meno di un secondo, 80 centesimi. A 37 anni è arrivato una volta di più a un passo dalla sua grande rivale, ma lei lo ha una volta di più sbeffeggiato e non smetterà anche se Raymond Poulidor sarà di nuovo sul podio nel 1976, l’anno prima di ritirarsi più che quarantenne.