Lo scenario umano e sociale prima e dopo la battaglia di Marengo [Alessandria in Pista]

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di Mauro Remotti

 

Non sono passati neppure sei mesi dalla battaglia di Novi del 15 agosto 1799, conclusasi con la sconfitta delle truppe francesi ad opera dell’esercito austro-russo guidato dal generale Aleksandr Suvorov, che già si intravedono le prime avvisaglie di un nuovo conflitto. Il generale austriaco Michael Friedrich Benedikt von Melas si insedia infatti ad Alessandria irrobustendo il contingente militare.

Le conseguenze per la popolazione locale non tardano ad arrivare. Vengono requisiti i  palazzi più eleganti (Aulari, nella contrada di Santa Maria, Baglioni, Cassine, Castellani e Rorà) per alloggiare gli ufficiali e l’amministrazione comunale deve fronteggiare continue richieste di viveri. Gli abitanti sono impiegati in lavori di interesse militare, principalmente per il riassetto dei ponti sulla Bormida e la sistemazione delle difese. Gli austriaci pretendono anche denaro: il comandante Skal chiede alla municipalità un prestito di 30.000 fiorini (pari a circa 70.000 lire piemontesi) da versare entro le ore 12 dell’11 giugno, minacciando, in caso di rifiuto, il saccheggio della città.

Gli scontri tra francesi e austriaci iniziano pochi giorni dopo, nella mattinata del 14 giugno del 1800. Nel pomeriggio, quando sembra ormai certa la vittoria di Melas, gli alessandrini simpatizzanti asburgici cominciano a esultare; la loro gioia viene però smorzata dall’arrivo della divisione francese guidata dal generale Louis Desaix che capovolge la situazione sbaragliando il nemico. In serata sono quindi i bonapartisti a fare festa. Tuttavia la preoccupazione che accomuna tutti i residenti riguarda la possibilità che Melas voglia asserragliarsi in città sottoponendola a un logorante assedio. Per fortuna il generale austriaco decide di chiedere l’armistizio e Alessandria viene prontamente occupata da soldati di Napoleone che si lasciano andare ai consueti soprusi ai danni della popolazione.

 

A seguito della cruenta lotta i campi della Fraschetta sono disseminati di cadaveri. Così scrive il capitano Jean-Roche Coignet: “Davanti a noi il campo di battaglia brulicava di soldati austriaci e francesi che raccoglievano i morti e li accatastavano, trascinandoli con la cinghia del moschetto. Uomini e cavalli giacevano alla rinfusa, nel medesimo cumulo, e venivano dati alle fiamme per preservarci da un’epidemia. Sui cadaveri sparsi invece solo un po’ di terra, giusto per coprirli.[1]

La raccolta delle salme avviene in modo frettoloso e sommario (il corpo di Desaix viene riconosciuto soltanto dalla folta capigliatura) e molte giacciono per diverso tempo nei fossi, nei vigneti e in mezzo al grano; situazione che va aggravandosi per la calura estiva. Il comando francese e la municipalità alessandrina si rimpallano le responsabilità: la prima sostiene che tale compito ricada sulle autorità civili, mentre le seconde chiedono ai contadini di provvedere a seppellire i resti rimasti sui loro campi. Il risultato è che a metà luglio i terreni sono ancora sparsi di morti in decomposizione. Il generale Amedeo Gardanne è quindi costretto a minacciare pesanti sanzioni penali nei confronti dei trasgressori e Giovanni Berta, nella sua Cronistoria alessandrina, rileva che “…le vigne schiantate, le messi calpestate, le case manomesse, le acque infette o sanguinate per cui molti infermavano, e poco dappoi sviluppavasi il tifo petecchiale, di cui a Marengo e Spinetta morirono più di seicento persone…”.

Ma a chi spetta, secondo l’usanza, ripulire i campi dopo la battaglia?[2] Di solito il vincitore destina una quota del bottino per pagare la sepoltura in una fossa comune. Se lo scontro avviene nelle vicinanze di un villaggio, sono gli abitanti a cominciare la spoliazione dei corpi al fine di recuperare qualche oggetto di valore; subentrano poi i saccheggiatori che si accaniscono senza riguardo sui cadaveri, in particolare estraendo i denti, non soltanto quelli d’oro (che si potevano permettere soltanto gli ufficiali), ma anche quelli normali, molto ricercati per fabbricare le dentiere[3].

Gravissimo era pure il problema dei feriti (circa 9.000) che peregrinano in città riempiendo ogni locale disponibile, chiedendo assistenza, oltre a medicinali, materassi, guanciali e coperte.

In mezzo a tanta devastazione si registrano tuttavia lieti eventi. Un giorno prima della battaglia di Marengo nasce a Castelceriolo un bambino, Paolo Vittorio Carlo Antonio (che diverrà un valente medico chirurgo), figlio di Pietro Ignazio Montanari e Gerolama Silvani, il quale, come ricorda Antonino Ronco[4], nonostante l’alta mortalità infantile dell’epoca, viene battezzato nella parrocchia di San Giorgio soltanto il 27 luglio a causa dello  stravolgimento delle abitudini della popolazione.

Anche Marie Tète de Bois, detta Maria Testa di Legno[5], una cantiniera al seguito delle truppe napoleoniche, moglie di un soldato (tamburo maggiore della 62^mezza brigata), partorisce un maschietto proprio nel corso dei combattimenti. Purtroppo avrà un destino diverso rispetto al suo coetaneo fraschetano: verrà infatti ucciso nel corso della difesa di Parigi del 1814.

 

 

[1] Jean-Roch Coignet, The Note-Books of Captain Coignet, Soldier of the Empire, a cura di Jean Fortescue (New York, 1929), p. 81

[2] Vedi sito internet www.historialudens.it

[3] E’ noto che dopo la battaglia di Waterloo il mercato delle dentiere conosce un momento prospero poiché l’alto numero di vittime fornisce materiale in abbondanza e di notevole qualità anche in considerazione della giovane età dei soldati uccisi. Infatti le protesi di quell’epoca cominciano a essere chiamate “I denti di Waterloo”, sottolineandone appunto la garanzia di ottima qualità

[4] Antonino Ronco, Marengo vittoria di Bonaparte, Sagep Editrice, 1980

[5] Secondo alcune fonti si tratterebbe di Caterina Rohmer, figlia di vivandiere, nata a Colmar nel 1783. La madre muore quando lei ha appena 11 anni e il reggimento diventa la sua famiglia. Partecipa a non meno di 17 campagne dell’Impero e segue Napoleone sino alla fine, morendo a Waterloo nel Carrè des braves della Guardia Imperiale.