Effetto Bystander [Il Superstite 445]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

«La sera successiva al giorno in cui aveva dipinto le persiane del suo nuovo appartamento della 52° Strada Est, Beth vide uccidere una donna in maniera lenta e orrenda, a coltellate, nel cortile del palazzo. Beth era una delle ventisei persone che assistettero a quella scena mostruosa e, come tutti gli altri, non fece nulla per impedire che accadesse.»

Inizia così un racconto straordinario scritto da un autore quanto mai degno di riscoperta, Harlan Ellison. Titolo, Il guaito dei cani battuti. All’apparenza, con un pugno d’altri (da ricordare almeno Croatoan e 480 secondi), un testo ante litteram e profetico sulle contemporanee apocalissi metropolitane. In verità tutt’altro. Perché, per quanto trasfigurato (di poco) in chiave fantastica, Il guaito dei cani battuti è ancora oggi, a distanza di  oltre 50 anni, un allucinante spaccato di realtà, essendo dichiaratamente ispirato al turpe e rimosso omicidio di Kitty Genovese, avvenuto a New York in una notte di marzo del 1964. Costei, non ancora trentenne, venne stuprata e uccisa in un’allucinante sequenza a piiù assalti nei pressi della sua abitazione, nel quartiere di Kew Gardens, distretto del Queens. Si appurò che almeno una trentina di persone assistettero dall’alto delle loro finestre all’aggressione e all’agonia della donna, ma nessuno si assunse l’onere di una qualsiasi iniziativa. Come racconta Stephen King nella nota finale de La ragazza della porta accanto di Jack Ketchum (Gargoyle Books, 2009), la ragazza venne accoltellata (e violentata mentre rendeva l’anima a Dio) quindi lasciata lì ad agonizzare per alcune ore. «Urlò ripetutamente per chiedere aiuto e un sacco di gente vide cosa stava succedendo, eppure nessuno alzò un dito per soccorrerla. Non chiamarono nemmeno la polizia.»

Le scandalose circostanze di quest’episodio furono riportate due settimane dopo in un articolo pubblicato sul New York Times dal giornalista investigativo Martin Gansberg e avviarono un filone socio-psicologico d’indagine, più che mai d’attualità, che fu battezzato  in diversi modi: “effetto spettatore” (Bystander Effect), “complesso del cattivo samaritano” o “sindrome Genovese”. Primo soggetto di tale patologia collettiva: l’indifferenza, come meccanismo di difesa individuale o di  gruppo, che scatta quando si viene coinvolti “in prima linea” in accadimenti di grande violenza e di altrettanto coinvolgimento emotivo. Com’è stato giustamente scritto da più parti, la storia di Kitty Genovese è divenuta una parabola puntuale dell’insensibilità nei confronti degli altri (le vittime), dimostrata in quell’occasione da alcune persone di New York, ma per estensione significativa applicabile all’umanità tutta. Harlan Ellison che non se ne occupò solo nel racconto citato, ma pure nel libro Harlan Ellison’s Watching, affermò che un uomo alzò addirittura  il volume della radio in modo da non sentire le urla della Genovese e che i “bravi cittadini” coinvolti in quanto testimoni di un crimine dalla lunghissima durata (e quindi evitabile) erano ben più di ventisei.

Come riporta ancora King, il loro motto forse fu: “Non ditelo a nessuno”. Ignoranza di massa,  incapacità ad assumersi responsabilità, vigliaccheria: dal caso Genovese nacquero indagini di psicologia sociale sull’effetto “bystander”. Gli studiosi sociali Bibb Latané e John Darley iniziarono una serie di ricerche sui motivi per cui spesso le persone non intervengono di fronte alle emergenze. I risultati  dei loro studi, pubblicati nel libro The unresponsive bystander: Why doesn’t he help?, hanno aperto numerosi interrogativi, giungendo a sconfortanti risultati sul piano pratico. Il più diffuso nasce per imitazione, ovvero “non aiuto quella persona in difficoltà perché nessuna delle persone presenti lo fa.” Il fenomeno si chiama “ignoranza pluralistica”.

Considerazioni che si possono fare anche a ridosso di un libro terribile del compianto Jack Ketchum, La ragazza della porta accanto,  insostenibile e malato spaccato di provincia americana che ti costringe a guardare laddove ci si augura di non dovere mai posare gli occhi – e per questo aspetto si può quanto meno capire l’effetto “bystander”. Una quattordicenne viene segregata e orribilmente torturata sino alle più estreme conseguenze dalla più insospettabile e convenzionale famiglia americana: una madre e i suoi ragazzi. Poi il contagio della brutalità compartecipata si allarga: prima il figlio dodicenne dei vicini (che è l’io narrante di nome David) e poi altri ragazzi ancora. Ognuno che arriva a metterci del suo nell’escalation dell’orrore. Per certi versi il romanzo è assimilabile al film Martyrs di Pascal Laugier, opera notevole che ti costringe ad assumerti la tua responsabilità di spettatore senza il filtro ipocrita del moralismo o del grottesco. Sei dentro, sei bystander e compartecipe. Puoi rimandare al dopo-catarsi la necessaria scelta: da che parte stare? Lo puoi fare perché qui siamo dentro, comunque, all’opera d’arte. Ma non puoi avere dubbi su una possibile estraneità del tuo occhio.

La perla nera di Ketchum ci costringe a ragionare sulla realtà che ci circonda. E allora come non ravvisare sinistre analogie con decine di casi italiani, analoghi per indifferenza e cinismo di buon parte della collettività?

Come ha immaginato Ketchum (che in realtà si chiamava Dallas Mayr) o come ha riportato Ellison, esistono comunità, paesi, gruppi sociali (condominali?) “che sanno”. Che sanno e che tacciono perché così fanno tutti. La dodicenne Ottavia De Luise, scomparsa da Montemurro nel 1975, torturata nell’anima e nel corpo da più di un adulto. Cristina Golinucci scomparsa pure lei nei pressi di un luogo sacro nel 1992. Ma può divenire un elenco senza fine quello delle “ragazze” o “ragazzine”, nelle cui scomparse o morti sono implicate decine di persone che sanno e che tacciono: da Denise a Emanuela Orlandi, da Simonetta Cesaroni a certe intricatissime diramazioni del caso “mostro di Firenze”, c’è un tristissimo imbarazzo della scelta.

Quando l’arte illumina il reale… Purtroppo.