Horror post-industriale, il diavolo probabilmente [Il Superstite 444]

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ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

Con una temeraria e suggestiva fusion tra più generi letterari dal titolo altrettanto affascinante (Il volo delle aquile di cristallo), l’anno scorso Angelo Marenzana poneva, inconsapevolmente, una domanda altrettanto ardita: esiste in Italia l’horror post-industriale?

Se non risulta chiaro l’ambito di riferimento, i fan del genere possono andare a rileggersi Il compressore di Stephen King e i frequentatori di sale cinematografiche (se ne esistono ancora…) rivedere, o vedere per la prima volta, The Mangler- La macchina infernale  di Tobe Hooper  (1995), che qualche difetto magari ce l’aveva, ma che vantava l’indubbia qualità grafica di concretizzare sullo schermo l’inferno dei vivi, operaie e operai al lavoro in una megalavanderia industriale.

Se poi fosse necessario un altro rimando al cinema horror degli ultimi quarant’anni, ripensate alla location preferita dall’Uomo Nero di Elm Street, la fabbrica abbandonata in cui Krueger, dopo averci ucciso chissà quanti bambini, veniva bruciato vivo dagli adirati abitanti di Springwood. O magari riandare con la memoria al leggendario I vampiri dello spazio di Val Guest (1957), dove il dottor Quatermass deve vedersela con la più sinistra fabbrica di cibo sintetico della storia. Da lì proviene il fotogramma che commenta la rubrica di oggi.

Insomma, in una parola, la fabbrica, dismessa o meno, come metafora ma anche contenitore “infestato”, al pari di case misteriose e castelli diroccati. Avendo letto forse troppo in vita mia, la memoria non mi aiuta a reperire tracce scritte di un filone che forse non esiste. Però, confesso di ignorare di come stiano le cose nel mondo editoriale anglosassone. Almeno tre precedenti però in Italia, dove non manca la materia prima – soprattutto le fabbriche abbandonate, ce li abbiamo.

Il primo s’intitola Cromo, edito da La Ponga, scritto dal geniale Andrea Biscaro, che ha costruito un signor “eco-horror”, ambientato a Cogoleto in Liguria, nel cuore avvelenato della cittadina, dentro le rovine della  esistente sul serio fabbrica Stoppani. Messaggio forte e chiaro: la fabbrica è il mostro – il Male – che non vuole morire e di notte zombie e solidi fantasmi si aggirano (per lavorare!, eccelsa trovata…) tra le macerie dello stabilimento.

Quindi il geniale Turno di notte del mai troppo lodato Maurizio Cometto, autore di punta del nostro Piemonte. Pubblicato nell’antologia di Morellini I signori della notte, il racconto si serve del vampirismo come metafora sociale. Abbiamo quindi un’importante realtà industriale che si ritrova in emergenza produttiva, necessitando quanto prima di aumentare la produzione disponendo di un vituperato (dalle maestranze) turno di notte. A gestire l’operazione ecco che viene ingaggiato un misterioso e inquietante direttore del personale che vanta origini balcaniche, per non dire transilvaniche. Se poi il tipo è pallidissimo e allampanato… A suo modo divertente e scritto come sempre con stile eccelso.

A concludere l’ottima terna il giovane e talentuoso Christian Sartirana con l’angosciante La memoria della polvere, contenuto nella raccolta personale Ipnagogica (Acheron): una giovane coppia, Filippo e Serena, va a vivere in una casa di campagna dalle parti di Casale Monferrato. All’apparenza un paradiso in terra, ma presto i due ragazzi devono confrontarsi con la trascorsa esistenza di una fabbrica, dislocata vicino al loro nido d’amore, che quarant’anni prima ha causato tante morti tra abitanti ed operai. Un’eredità terribile che si trasforma nella più realistica delle storie di fantasmi.

Però, dopo Biscaro, Cometto e Sartirana non mi pare che qualcun altro in Italia abbia più raccolto il testimone. Peccato perché, tra l’amianto di Casale Monferrato e altri innumerevoli “loca infesta” nonché le mostruosità della Terra dei Fuochi (dove le metastasi tumorali potrebbero andare a braccetto con i mutanti di Lovecraft), il materiale narrativo non manca. Ma forse l’horror, nella collettiva  e romantica visione, è ancora un’escrescenza del fantastico, solo un tantino manipolata, e diventa difficile sporcarsi le mani con i drammi del reale.

Però Angelo Marenzana nel 2018 con Il volo delle aquile di cristallo faceva piazza pulita di ogni dubbio d’autore. Tra i dannati della terra, i lavoratori, e lo spietato padrone di un’infernale fonderia la cui descrizione colpiva e faceva male come mai, si faceva strada una mostruosità sulla quale il recensore ancora dovrebbe tacere e che nasceva dalle distorsioni e dalle lordure di un lavoro concepito come schiavitù e macchina di morte.

Già più volte l’ho scritto e mi ripeto. Sono convinto che i generi popolari (fantascienza, horror, thriller) debbano ormai farsi carico “morale” di denunciare senza filtri o paraventi, quegli orrori “lavorativi” e ambientali, partoriti anche da un’orrida politica, che mietono vittime innocenti. Lo avevo già proposto, forse un po’ più timidamente, nove  anni fa recensendo l’ottimo cortometraggio 32 di Michele Pastrello, film civilissimo e crudele che si serviva del thriller per protestare contro l’ennesima coltellata subita dall’italico territorio, nel caso in questione in Veneto: l’uso della fiction per parlare alla più vasta platea possibile dei mortali paradossi di una società industriale che prima distrugge e poi lascia a morire le vittime di tale distruzione (vedi, ancora, Casale Monferrato).

Forse il rischio, oggi come allora, è che uno scrittore possa  facilmente essere scambiato per un pazzoide profeta che abbaia alla luna. Però c’è una piccola lista di scrittori, tre dei quali piemontesi – con  Biscaro, nativo di Ferrara,  che si muove in perfetto ambito gotico padano -, che si fanno garanti di una certezza ancora tutta da sviluppare: in Italia l’horror post-industriale, esiste. E fa paura.