I rivali perfetti: Ovett e Coe [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

 

La foto più importante che li ritrae assieme non è scattata durante una gara. Di quelle peraltro ce ne sono poche, perché i due raramente si sfidarono l’uno contro l’altro.
Non è neanche quella di una vittoria o di una premiazione, ma è quella di una cocente sconfitta, appena dopo la finale degli 800 alle Olimpiadi di Los Angeles.

Una foto che, in qualche modo, può ricordare quella celeberrima del passaggio di borraccia tra Bartali e Coppi. E quell’abbraccio tra i due grandi campioni, il cui duello (com’è per Coppi e Bartali) sta nella leggenda delle rivalità epocali dello sport, quando Coe si è già tolto le scarpette sembrando per una volta meno perfettino, e Ovett usa le poche energie residue per provare disperatamente a respirare, restituisce tutto il senso di anni di duelli leali.

Aggiunge solo fascino il fatto che, quando la foto fu scattata, la loro rivalità eOvett 1  le loro carriere erano prossime alla fine. Ovett collasserà dopo quella gara, incredibilmente corsa nonostante una grave occlusione ai bronchi, e proprio Coe lo soccorrerà per primo; l’elegante Seb vincerà per l’ultima volta una medaglia olimpica pochi giorni dopo, nei 1500 cui Steve volle a tutti i costi partecipare, firmando per le dimissioni volontarie contro il parere dei medici che non volevano rischiasse la vita, dopo due ricoveri in meno di una settimana.

Quattro anni prima.
Quel che ricordiamo noi italiani delle Olimpiadi di Mosca è la fantastica vittoria di Pietro Mennea, capace di conquistare l’oro dei 200 metri con una rimonta prodigiosa sul rettilineo finale. Meno ci ricordiamo la cocente delusione di pochi giorni prima, col nostro sprinter che sembrava avere le scarpette incollate ai blocchi di partenza, sempre in ritardo rispetto agli avversari, tanto da venire eliminato nei 100 addirittura in semifinale.
Quello stesso rettilineo dello stadio Lenin che ha visto prima Steve Ovett vincere gli 800 metri annientando Sebastian Coe, primatista mondiale e favorito, poi Coe capace di un prodigioso recupero (prima ancora mentale che fisico) per battere nei 1500 Ovett, che veniva da una incredibile (e tuttora ineguagliata) serie di 45(!) consecutive vittorie sulla misura o sul suo affascinante contraltare anglosassone del miglio.

Ovett 2 libroI rivali perfetti di Maurizio Ruggeri è davvero un bel libro. Il sottotitolo recita “Steve Ovett e Sebastian Coe: se amavi l’uno, odiavi l’altro” (io, lo dico subito, proprio come l’autore del libro edito da Absolutely Free amavo Ovett).

Ruggeri racconta molto bene cosa rappresentavano:

Erano divisi come il bianco e il nero, il giorno e la notte, l’amore e l’odio, la ricchezza e la povertà, la felicità è la tristezza, la gioia e il dolore, il nord e il sud. Erano come la vita, con i suoi giorni indimenticabili e i suoi giorni da dimenticare…
Il ribelle, esuberante, marpione, a volte smargiasso, con i suoi show sul rettilineo finale – come salutare, o allargarsi fino alla corsia esterna lasciandosi dietro il manipolo di battuti – e il devoto, serio, il timorato del padre Peter, suo mentore e coach…
Le inglesi si sarebbero portate a letto Ovett, ma alla fine avrebbero scelto di sposare Coe…
Uno non aveva avuto il dono dell’istruzione, venendo da una famiglia semplice… l’altro con un background più elevato, discendente da benessere di una famiglia agiata…
Ma, alla fine, cosa che ho sempre pensato, o ti piaceva di più la faccia di Steve Ovett, o ti piaceva di più la faccia di Sebastian Coe.
A me piaceva di più la faccia di Steve Ovett, mi piaceva il suo scrivere ILY con le dita, dopo la vittoria, per una fidanzata segreta, con grande fastidio della madre che lo aveva avuto quindicenne e lo seguiva passo a passo, mi piaceva la sua pazzia che un giorno lo portò a correre a vincere una mezza maratona cui aveva accompagnato un amico, lui che non doveva partecipare perché pochi giorni dopo c’erano i mondiali. Mi piaceva da impazzire quel suo vincere con indosso la maglia rossa con la falce e martello dell’URSS, negli anni di guerra fredda, in cui nessuno avrebbe mai osato fare qualcosa di simile. Perché nessuno era Steve Ovett, semplicemente.

Trent’anni dopo.
Pensandoci ora, senza la parzialità del tifoso, anche Coe fu eccezionale. MagariOvett 3 con meno talento dell’altro (ma come si può sottovalutare il talento di uno che correva gli ultimi cento metri – di una gara di mezzofondo! – in meno di 12 secondi, o che unico vinse due volte di fila alle Olimpiadi i 1500, manco la sua specialità), certo alla fine più presente negli albi d’oro, anche perché dopo quel maledetto giorno dell’81 in cui si squarciò il muscolo di una coscia su una cancellata, Ovett perse in parte lo spunto che fino ad allora lo aveva reso imbattibile (e comunque è normale sia subentrato il logorio per un ragazzo che quattordicenne già vinceva tutte le gare di corsa dell’Inghilterra, dai 200 alle campestri).

Il libro di Ruggeri è ben scritto, molto ben documentato, val la pena di leggere il racconto dei più grandi rivali del mezzofondo, forse di tutta l’atletica leggera, tra l’altro gli ultimi bianchi a dominare le corse, ora regno indiscusso dei corridori degli altipiani o dei bellissimi africani caraibici.
Racconta un aneddoto che spiega bene chi erano quei due, con che determinazione (e rispetto) gareggiassero:

Il giorno di Natale del ’79 Coe, dopo il pranzo nella splendida dimora familiare andò in crisi, pensando: I bet Ovett’s out there doing his second training session of the day. Scommetto che lui è là fuori per il secondo allenamento di oggi.
Così uscì a correre, nella neve e nel ghiaccio.
Pochi anni fa, quando i due si incontrarono lo raccontò e Steve scoppiò in una liberatoria risata: Seb, did you only go out twice that day? Ti sei allenato solo due volte quel giorno?