Ma ora voltiamo pagina [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

 

I ritmi della televisione sono forsennati.

D’estate poi divengono talmente rapidi da superare l’immaginazione.

Le trasmissioni contenitore poi sono la fiera del cattivo gusto, dell’improvvisazione nel senso becero del termine.

Un pomeriggio di caldo afoso – di quelli che è meglio stare chiusi in casa perché si suda meno – mi sintonizzo su un programma di una rete generalista.

In uno studio due conduttori (un uomo e una donna), dallo sguardo vuoto come un autobus in deposito, effettuano un collegamento esterno; da un paesino siciliano un’inviata, degna dei conduttori in studio ma più giovane, si dimena tra alcuni ospiti di una casa di riposo, tutti ultra centenari.

Il più anziano tra loro (106 anni) si sta chiedendo – lo si capisce da come aggrotta le sopracciglia – cosa sta succedendo intorno a lui.

“Come è stata la guerra, signor Nino?” gli chiedono.

“La guerra…? Non so….io lavoravo in campagna….”

Una signora di 102 recita a memoria una poesia sulla mamma (che sia breve, si raccomanda la conduttrice); altri ospiti intonano un canto imbeccati da un medico geriatra che dallo studio centrale elargisce consigli su come si può arrivare ad essere longevi, alimentazione variegata, vita sana, poco stress.

“Purtroppo dobbiamo voltare pagina” la conduttrice liquida così quei poveri vecchietti, il geriatra e anche il sottoscritto: stavo cominciando ad entrare nel mood del programma.

Continuo a sudare davanti allo schermo.

Nei venti minuti che seguono si raccontano numerose vicende: la storia di una ragazza che scopre di essere stata adottata, trova la sua vera madre che oggi gestisce una pizzeria dopo un passato da prostituta, primo spot pubblicitario, la nuova storia d’amore di un tronista impegnato come testimonial di una linea di abbigliamento intimo e sul set di una fiction che andrà in onda a novembre, secondo spot pubblicitario, la giornata di un prete inviso al Vaticano ma amatissimo dai giovani parrocchiani per aver aperto un sito internet denominato “Quel diavolo di Dio”, terzo spot pubblicitario.

Spengo.

Sudo, stanco di non essere riuscito ad entrare dentro ad alcuna di quelle inutili storie e neppure ad averne capito il senso, la sequenza logica, la consecutio ammesso che ci fossero una logica e una consecutio.

Stanco soprattutto di aver voltato molte volte pagina prima ancora di averne concluso la lettura.

La domanda è: perché?

Risposta non c’è o forse – chi lo sa – perduta nel vento sarà.

Scusate, ho voltato pagina e sono passato a Bob Dylan.

Sono stato contagiato.

Nelle prossime settimane proverò a decontaminarmi.

Ma l’estate è ancora lunga.