Evasioni di gusto – la vera storia di Vincenzo Dabbuono di Patrizia Tuis [ALlibri]

A cura di Angelo Marenzana

 

 

 

 

Per il terzo appuntamento estivo con le Edizioni della Goccia di Davide Indalezio è stata scelta un’antologia di racconti dal titolo Evasioni di gusto a firma dell’avvocato tortonese Patrizia Tuis, autrice al suo esordio narrativo e che alterna l’impegno nel sociale e nella valorizzazione delle risorse del territorio alla propria attività professionale e, come in questo caso,  a momenti di evasione assolutamente di gusto.

Nell’antologia, come si rileva anche dal sottotitolo, si raccontano improbabili avventure investigative raccontate da un vero criminale, Vincenzo Dabbuono, il quale, facendo il verso a ‘colleghi’ più noti come il tenente Colombo, Jessica Fletcher o Hercule Poirot, riesce a giungere alla soluzione di casi capaci di stimolare la sua arguzia. La dote principale del nostro investigatore sui generis è nel possedere un intuito speciale, accompagnato da una pluriennale esperienza nel settore e da metodi non convenzionali. Non fa tutto questo per senso di giustizia (parola che detesta proprio), ma per  vocazione. Anche se alla fine qualcosa in tasca riesce a metterselo comunque.

 

 

Evasioni di gusto

di Patrizia Tuis

 

Fiori d’arancio amaro

La verità è raramente pura e quasi mai semplice, diceva Oscar Wilde.

Ecco, stamattina la penso proprio come il buon vecchio Oscar. Ho davanti a me una verità scomoda e molto complicata e tocca a me trovare un rimedio.

Ho appena finito di prendere un caffè con Fabio Betta, titolare del migliore bar di Pescara che con fare mesto, ma non senza una punta di compiacimento, mi ha rivelato di essere stato sposato due volte e di non aver divorziato nemmeno una: un bigamo seriale praticamente.

«Vincenzo, amico mio,» mi fa, «non sono io a cercare il matrimonio. Sono loro, le donne a costringermi, a volte quasi con la forza. Sono quel che si dice un uomo da sposare, e loro lo prendono alla lettera e mi trascinano ogni volta all’altare».

Ed è proprio così, perché avevo assistito di persona all’incantamento, alla vera e propria ipnosi seduttiva che quest’uomo, a dire la verità neppure particolarmente avvenente, esercitava sulle femmine.

Se Fabio siede a un tavolino del suo bar senza fare altro che sfogliare la Gazzetta dello Sport, senza neppure sollevare lo sguardo in cerca di un contatto visivo, lo stesso capita! Non passano più di dieci minuti senza che una femmina con le scuse più improbabili trovi il modo di agganciarlo e di sedersi al suo fianco.

Scherzando, una volta Fabio mi ha detto che questa la chiama la sua “malattia”, perché effettivamente è un dono più grande di lui, che il più delle volte non riesce a controllare e a gestire.

Tornando alla confidenza sul suo stato civile di plurimaritato, Fabio mi ha detto di essere preoccupato perché una delle sue mogli si trovava in una spiacevole situazione col precedente compagno. Questo stronzo, contrariamente a Fabio, le donne le trattava male, le usava, ne abusava e poi le scartava e gettava via come un giocattolo passato di moda.

Fabio aveva scoperto che la dolce Annalisa, quando era ancora la compagna di Ferdinando, aveva dovuto subire tradimenti, minacce e ogni tipo di sopruso. Alle sue rare e timide rimostranze il compagno reagiva con violenza, mollando sganassoni, manate e calci furiosi che la ricoprivano di lividi per giorni. Dopo aver sopportato per anni, come spesso fanno le donne che si trovano in queste situazioni, durante una notte particolarmente drammatica aveva trovato la forza ed era fuggita portandosi via i due figlioletti. Aveva sì fatto una denuncia, ma lui aveva ribattuto accusandola di essere instabile mentalmente, una visionaria e una sporca calcolatrice. Eh sì, perché Ferdinando era ricchissimo, con una famiglia importante schierata dalla sua parte. La mamma di Ferdinando, in particolare, aveva una vera e propria avversione per Annalisa, e aveva tramato contro di lei fin dal primo momento: il figlio l’aveva portata a casa (neanche fosse un cane preso al canile) e ci aveva fatto anche due figli, ma su imposizione di mammà non l’aveva sposata. Da quando era fuggita, Annalisa non aveva visto un centesimo per il mantenimento suo e dei figli. E Ferdinando, da perfetto testa di cazzo, da allora non aveva neppure più voluto occuparsi dei bambini.

A breve sarebbe iniziato il processo a carico del compagno violento e Fabio era molto in apprensione, sia per la debolezza della moglie che temeva non sarebbe stata creduta, sia per la condizione di bigamia in cui l’aveva cacciata. Se Ferdinando lo scopriva, ci andava a nozze (e si passi la battuta infelice!).

Aiutare un amico, in questi casi, è un imperativo morale a cui non mi sono mai sottratto.

Ecco dunque che scatta il piano di salvataggio per l’amico Fabio.

Il dieci giugno alle nove in punto ho varcato le porte del tribunale di Cosenza, non senza qualche titubanza: in fondo sto entrando nel covo dei miei nemici giurati, i giudici.

Ma questa volta il processo che mi interessa è a carico di un altro. Ferdinando Antinori è imputato del reato di cui agli articoli 570 e 572 del codice penale per aver aggredito in più occasioni, ingiuriato, minacciato e privato dei mezzi di sostentamento l’ex compagna Annalisa Derios e i due figli minori.

Mi siedo davanti alla porta dell’aula di udienza e lo aspetto.

Lo riconosco da lontano, pur non avendolo mai visto prima. Il tipo del maschio arrogante e violento è così convenzionale da risultare inconfondibile. Il “fenomeno” avanza con vanteria, parla ad alta voce incurante del luogo pubblico in cui si trova, è vestito con una ricercatezza studiata, da boss della mala nei film americani. Sfoggia, ovviamente, una carnagione bronzea per i tanti lettini solari, resa ancor più aggressiva da un sorriso a trentasei denti candidi, tutto tirato a lucido per l’evento. Mi viene in mente la posa tronfia ed esibita dei galletti prima di iniziare il combattimento. Patetico!

Io con uno così la risolverei in un minuto con un pugno piazzato sul naso, tanto questo dal chirurgo estetico ha di sicuro un conto aperto, e non faticherà a farsi riaggiustare i pezzi.

Ma no, devo stare buono e sistemarlo con altri metodi.

Ecco, userò il “Metodo Montaldo”, ossia fotterlo senza pietà approfittando delle sue debolezze.

Mi ci vuole una donna.

I tempi delle udienze, che ho sempre maledetto per la loro lunghezza oggi mi vengono proprio in aiuto.

Infatti l’udienza di Ferdinando è la quindicesima dell’elenco e prima della tarda mattinata di sicuro non verrà chiamata.

Faccio una telefonata alla persona giusta: «Irina, sono Vincenzo. Senti piccola, ci sarebbe un gentile signore a cui regalare un “Metodo Montaldo”. Che fai passi, di qui?»

«Dimmi dove, faccio un bidet e arrivo».

Montaldo era stato un cliente del giro di prostitute (ma perché non chiamarlo “club di prostitute”? “Giro” mi fa pensare al Giro d’Italia oppure a un che di turistico). Il signore in questione, comunque, era non solo un gran porco, ma anche un perfetto farabutto perché maltrattava le ragazze, e faceva di tutto per non pagare il prezzo pattuito. Così le donne, stufe di fare della beneficenza, idearono il c.d. “Metodo Montaldo” e il cretino non si fece mai più vedere in circolazione. Si dice addirittura che abbia cambiato lavoro e città.

Dopo nemmeno mezz’ora Irina fece la sua comparsa trionfale nel corridoio della sezione penale del Tribunale di Cosenza. L’effetto su chi era presente, per me che conoscevo il soggetto, era il solito: tutti sono ammutoliti, con gli occhi quasi increduli e una leggera bava che scendeva dal labbro inferiore. Pur essendo vestita in modo sobrio (abbastanza sobrio, diciamo) Irina era sfacciatamente bella e sensuale. Forme e dimensioni perfette, una chioma di capelli ramati che facevano venire voglia di rotolarcisi, labbra polpose e socchiuse e occhi languidi. Ma era la sua andatura che ipnotizzava gli uomini. Quando Omero ha descritto le sirene penso avesse in mente proprio Irina.

Le ho fatto un piccolo cenno, anche se non serviva.

Chi fosse Ferdinando era facile da capire: un tacchino impettito che all’apparizione della donna si era gonfiato ancora di più.

La mia sirena è entrata subito nella parte e con fare mesto, come fosse in cerca di consolazione, si è praticamente lasciata cadere a fianco di Ferdinando con un lungo sospiro: una donna debole e in cerca di protezione.

Ferdinando, abituato a donne deboli e in cerca di protezione, non ha perso tempo e ha sfoggiato il suo repertorio di seduttore di quarta categoria.

Di tempo ce n’era poco e per questo ho chiamato proprio Irina, che è una professionista: dopo quindici minuti erano già spariti per andarsi ad appartare per confidenze più intime, diciamo così!

Ma non ho spiegato in cosa consiste il “Metodo Montaldo”. Non siete curiosi?

Il signor Montaldo venne fotografato a sua insaputa durante un incontro intimo con una nuova arrivata, una fantastica ragazza che però ragazza non era. Nelle foto lo si vedeva bene, con gli attributi ben in vista durante i movimenti aerobici del seduttore/approfittatore. Preso dalla troppa foga il bigotto, perbenista, ipocrita Montaldo non si era accorto di essere stato con una trans. Se ne è accorto solo a cose fatte, quando le ragazze gli mostrarono il servizio fotografico – molto ben riuscito per la verità – pronto per essere spedito alla signora Montaldo. Il cliente, senza dire una parola, estrasse un blocchetto di assegni, ne firmò uno lasciando la cifra in bianco e lo consegnò alla bella seduttrice. Se ne andò con la busta delle fotografie sotto il braccio e non si fece mai più vedere.

Il “Metodo Montaldo” non è stato usato tante altre volte perché le prostitute ci tengono molto a garantire la riservatezza dei clienti, ma quando ci vuole ci vuole.

L’ideatrice del “Metodo Montaldo” e quella che per prima lo mise in pratica, che lo dico a fare, è stata proprio la bella Irina.

Dopo un’ora, durante la quale ho tenuto d’occhio l’andamento dell’udienza per evitare che Ferdinando arrivasse in ritardo alla sua udienza, sono ricomparsi tutti e due, Irina e Ferdinando. Un carabiniere (in realtà un amico mio travestito con una divisa che teniamo a disposizione per questo tipo di carnevali) ha chiamato ad alta voce: «Irina Olevanof, è attesa al piano superiore nella sala del procuratore capo».

La donna ha lanciato un gridolino, neanche le avessero comunicato che era stata condannata a morte, e ondeggiando sui suoi fianchi spettacolari se ne è sparita. Splendida uscita di scena, amico mio.

Ferdinando è rimasto sulla panca con lo sguardo estasiato di chi crede di avere la vita in pugno: una scopata sensazionale in tribunale, mentre aspettava il turno del processo per due schiaffi dati a quella donnicciola di Annalisa, ma a chi capita una roba del genere?

Era così assorto che l’ho dovuto prendere per il gomito per attirare la sua attenzione. Gli ho passato la busta del “Metodo Montaldo” e anch’io, pur senza ancheggiare come Irina, mi sono prudentemente allontanato.

Ferdinando, da perfetto coglione qual è, non ha avuto il minimo autocontrollo ed è crollato subito; mentre mi allontanavo ho sentito un grido che pareva il singhiozzo di un bambino a cui hanno strappato il ciuccio.

Non mi sono voltato, non ho visto quello che è successo all’udienza ma tutto è andato come previsto.

Ferdinando ha chiesto pubblicamente scusa alla sua ex compagna, ha offerto un risarcimento importante per gli episodi di violenza e ha firmato l’impegno a un assegno adeguato al mantenimento dei due figli. Le accuse contro di lui sono state ritirate.

Il biglietto che accompagnava le foto parlava chiaro, più nessuna mancanza di rispetto nei confronti di una donna, altrimenti la mamma bigotta che lo manteneva nella ricchezza avrebbe visto cosa faceva il suo lurido figlio e lo stesso avrebbero visto gli amici, i dipendenti della sua ditta e tutta la città.

Il lupo però perde il pelo, ma il vizio fa fatica a perderlo.

Passato un mese, Ferdinando si presenta al bar di Fabio, ancora un po’ mogio ma già in fase di ripresa. Il mio amico gli si avvicina, appoggiando sul tavolino una coppa di champagne offerto – gli dice – dalla bella signora seduta al bancone del bar e gli passa un foglietto piegato a metà.

Ferdinando si è illuminato, ha strizzato l’occhio a Fabio uscendosene fuori con una battuta volgarissima sulle doti dei suoi attributi intimi e fa un cenno d’intesa alla donna simile al richiamo rivolto al proprio cane per farlo entrare nella cuccia.

Apre il biglietto convinto di trovarci un numero di telefono.

I patti si mantengono, Ferdinando dei miei coglioni. Le donne le devi rispettare. Questo è l’ultimo avvertimento. Corri a casa perché ho spedito una foto “ricordo” alla tua mamma e magari arrivi in tempo a bloccarla. E lascia cento euro di mancia al barista, porco!”

Fabio è rimasto a bocca aperta a vedere Ferdinando scattare in piedi e scappare come una lepre. Sarà mica stata la coppa di champagne a fargli male? Avvicinandosi per controllare vide invece una banconota da cento euro sul vassoio: una mancia così mai in vita sua l’aveva avuta. I soldi però servono sempre, soprattutto ora che deve chiedere il “condono” alle sue finte mogli e sposare per davvero la dolce Annalisa.

E vissero tutti felici e contenti, ‘sti stronzi.