I concorsi enologici servono ancora? Riflessione a margine della Douja d’Or di Asti. Che deve fare meditare la provincia di Alessandria [Centosessantacaratteri]

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di Enrico Sozzetti

I concorsi enologici servono ancora? Rappresentano uno strumento autorevole di promozione del territorio? Ma, soprattutto, i produttori ci credono? Alcuni numeri farebbero rispondere di sì, ma le cose non sono proprio come sembrano. Anche perché i primi a non avere particolare fiducia in queste iniziative pare sia proprio chi produce vino.

La riflessione arriva a margine della presentazione dei risultati del 47° concorso enologico nazionale ‘Premio Douja d’Or’ di Asti. «I vini premiati saranno nostri ambasciatori in tutto il mondo, porteranno le eccellenze del made in Italy oltre i confini nazionali e permetteranno alle aziende di crescere e aprirsi all’internazionalizzazione. Asti conferma la sua attenzione e vocazione alle iniziative concrete per l’economia del territorio, grazie alla fattiva collaborazione tra i numerosi partner istituzionali, proponendosi come fulcro per i temi legati alla promozione dei prodotti, del turismo e della cultura all’interno del territorio Unesco». Parole di Erminio Renato Goria, presidente della Camera di commercio di Asti, pronunciate in apertura della presentazione dei vincitori.

Toni istituzionalmente soddisfatti, parole di apprezzamento da parte di tutti i protagonisti e una precisa sottolineatura di alcune novità dell’edizione 2019. La selezione del concorso è stata affidata all’Onav (Organizzazione nazionale assaggiatori di vino), all’Ais (Associazione italiana sommelier) di Asti e all’Aspi (Associazione della sommellerie professionale italiana). Ma per il giudizio finale per l’assegnazione degli Oscar «con l’obiettivo di offrire al pubblico prodotti sempre più fruibili (pensandoli in abbinamento anche ai piatti) e per valutazioni non solo basate su aspetti prettamente organolettici, quest’anno erano presenti anche tre giornalisti di settore: Paolo Massobrio, curatore della guida Il Golosario; Gabriele Rosso, collaboratore di Slow Wine e Alessio Turazza, collaboratore del Gambero Rosso. È poi stata coinvolta nelle degustazioni di quest’anno, grazie alla collaborazione con la sede Onav in Cina, anche Wang Lu, una delle prime assaggiatrici asiatiche della Douja d’Or. A lei e alla sua esperienza astigiana la Cctv 4 (canale internazionale in lingua cinese della rete televisiva cinese Cctv) ha dedicato un servizio volto alla valorizzazione del Premio e del vino, vero ambasciatore del made in Italy nel mondo» spiegano gli organizzatori del concorso.

Come è andata sul piano dei numeri? I vini presentati in concorso sono stati 786 per un totale di 288 aziende provenienti da tutte le regioni italiane. I vini premiati sono stati 268, rappresentativi di 164 aziende, 29 quelli che si sono aggiudicati l’oscar Douja d’Or. Ovviamente la pattuglia piemontese era la più numerosa con 363 vini presentati e 109 premiati. Segue la Sicilia con 18 vini premiati su 27 presentati e il Veneto con 17 vini premiati su 65 presentati. Sul podio delle province piemontesi, Asti con 52 etichette premiate, seguita da Cuneo con 40 e da Alessandria con 11, quindi Torino e Novara con 3 etichette premiate.

I riconoscimenti per l’Alessandrino sono andati a Banfi srl – Cantine in Strevi per “Alta Langa docg 2015 Cuvèe Aurora Rosé; Dolcetto d’Acqui 2018 L’Ardì; Moscato d’Asti docg 2018 Sciandor”; Binè società agricola di Novi Ligure con “Gavi docg 2018 ’11’”; Botto Marco di Sala Monferrato con “Monferrato Chiaretto 2018 La Botta”; Cantina Alice Bel Colle con “Barbera d’Asti docg 2016 Alix”; Cantina Tre Castelli di Montaldo Bormida con “Piemonte Chardonnay 2017 Vita”; Cantine Volpi di Tortona con “Colli Tortonesi Barbera Superiore 2017 Cascina La Zerba di Volpedo, Colli Tortonesi Timorasso 2017 Cascina La Zerba di Volpedo”; Colle Manora di Quargnento con “Barbera d’Asti Superiore docg 2016 Manora”; Tenuta La Tenaglia di Serralunga di Crea con “Barbera d’Asti docg 2016 Giorgio Tenaglia”.

Commenti piuttosto uniformati al termine della presentazione, con solo Paolo Massobrio che ha posto l’accento su alcune «parzialità» del concorso, tutte legate alla partecipazione: la prima è quella delle aziende italiane, la seconda delle aziende astigiane e la terza delle aziende piemontesi. Se i numeri astigiani possono apparire significativi, se confrontati con quelli del concorso Marengo Doc della Camera di Commercio di Alessandria che quest’anno ha visto esaminare 187 campioni di vino presentati da 68 aziende, in realtà non lo sono. La Douja d’Or è un concorso nazionale cui partecipa una percentuale marginale dei produttori di una regione come il Piemonte che nel 2018 ha registrato una produzione di 2,7 milioni di ettolitri di vino e un valore dell’esportazione che ha superato il miliardo di euro. «Questo concorso deve superare questo gap e tornare a essere attrattivo per le aziende, in particolare quelle giovani e strutturate che stanno nascendo sul territorio piemontese» ha aggiunto Massobrio.

La riflessione ha riguardato la Douja d’Or, ma in realtà vale per tutte le iniziative di promozione e valorizzazione. Da un lato è necessaria una maggiore autorevolezza dei concorsi, che viene anche dalla capacità di selezionare sul serio e assegnare pochi premi ma di valore, e dall’altro la capacità forte di promuovere su mercati nuovi (nazionali e internazionali), uscendo dalla comoda logica della autoreferenzialità che probabilmente consente di guadagnare qualche consenso sul piano locale, ma allontana i produttori capaci, validi, di qualità e innovativi che sull’esportazione stanno investendo sempre di più. Però lo fanno da soli e se sono sicuramente ambasciatori di se stessi, lo sono un po’ meno del territorio nel suo complesso di cui trasmettono il valore rappresentato dal prodotto di pregio, ma senza la cornice di coralità necessaria a fare identificare un nome con un’area vasta (gli esempi, scontati, di riferimento sono quelli dei vini della Borgogna e dell’Alsazia).