La testa nel pallone [Piemonte Economy]

di Cristina Bargero

 

Uno dei ricordi più nitidi della mia infanzia è quello di mio nonno che batte i pugni sul tavolo al terzo goal di Pablito Rossi in Italia-Germania del 1982! Campioni del mondo! Del resto, quando gioca la Nazionale, è uno dei rari momenti in cui ci sentiamo un popolo unito e non esterofilo.

Ma da dove deriva questa capacità di unire? Perché così tanta gente si appassiona alle vicende calcistiche? “Perché il calcio non ha nessuna verità, nessuna legge”, per dirla come Michel Platini, l’indimenticato campione francese della Juventus (tra l’altro di origini piemontesi).

Così anche Nick Hornby, nell’incipit di quella che può essere considerata la Bibbia del calcio, Febbre a 90° “Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore e allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé”.  

Una passione, quindi, ma oggi anche qualcosa di più: una vera e propria industria che in Europa nel 2017 ha superato i 18 miliardi di euro (quasi una legge di bilancio italiana), soprattutto grazie ai fatturati delle top league europee: la Premier League inglese, la Bundesliga tedesca, la Liga spagnola, la Serie A italiana e la Ligue 1 francese. I maggiori ricavi derivano dai diritti TV, a seguire quelli commerciali e infine quelli da matchday.

L’impatto economico del calcio italiano supera i 3,01 miliardi di euro, con un impatto diretto di 742,1 milioni di euro, uno indiretto derivante dal risparmio di 1,2 miliardi di euro di spesa sanitaria grazie alla pratica calcistica e di un altro miliardo per i benefici derivanti a livello sociale. Gli atleti tesserati superano il milione e 300 mila. Gran parte del fatturato del calcio italiano è legato alla Serie A, dove si è passati dai 650 milioni di euro del 1997 ai 2.212 del 2017, grazie alla crescita dei ricavi per diritti radiotelevisivi (+ 8,9%annuo) e di altre attività commerciali (+13,4% annuo), con plusvalenze pari a 693 milioni di euro realizzate soprattutto dai club più blasonati.

La prima squadra italiana nel 2018 è piemontese: la Juventus, grazie a un fatturato di 504,7 milioni di euro. In flessione rispetto all’anno precedente a causa dei minori introiti dei diritti TV per l’eliminazione precoce in Champions League, mentre sono cresciuti gli introiti commerciali. I cugini granata se la passano un po’ meno bene con 93,8 milioni di euro. Grandezze di bilancio simili a quelle di aziende manifatturiere del Quarto Capitalismo, le più dinamiche e innovative.

Nessun club piemontese milita in Serie B, mentre sono ben 6 le formazioni (Alessandria, Cuneo, Gozzano, Juventus U23, Novara e Pro Vercelli) che militano nel Girone A della Serie C (già Lega Pro). E poi molte formazioni nella lega dilettantistica (il Casale ad esempio). Storici club dal passato glorioso che nel tempo sono retrocessi e si sono imbattuti in vicissitudini finanziarie.  E poi una miriade di formazioni nella lega dilettantistica. Un mondo con un indotto economico certamente minore rispetto alla Serie A, ma con un impatto economico a livello locale comunque significativo, e una forte valenza sociale. Non a caso il salvataggio dell’Alessandria calcio fu vissuto con partecipazione e sollievo da tutta la città.

E come dimostrano i mondiali appena conclusi, è emerso e si sta consolidando anche il calcio femminile. Da tifosi o da semplici simpatizzanti, ricordiamoci sempre le parole di mister Sacchi: “Il calcio è la cosa più importante delle cose non  importanti”.