Carlo Contese, gli altri & la musica [Il Superstite 435]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

Così a a pagina 274 del volume di Ugo Boccassi e Franco Rangone (Io) lui, gli altri & la musica (1967-1986), edito da I Grafismi di Boccassi nel 2003:

 

Il debutto di Carlo Contese (Piasentin) avviene nel 1980. È legato al genere melodico-sentimentale. Con le sue canzoni, oltre a calcare le scene italiane, compie alcune tournée in Francia. Nel mese di dicembre ’85 incide una nuova cassetta nello studio Live Music di Alessandria, diretto da Accatino-Rimonti; tra i titoli delle canzoni ricordiamo Tu per sempre l’amore, Prendi una serata insieme a me, Fiori di un inverno lontano. Con il suo produttore milanese Giuseppe Villa, le sue esibizione sono intense. Nel 1986 produce un’altra musicassetta intitolata E ci si sente soli, titolo di un brano che parla delle malinconiche riflessioni sulla vita di oggi. Le sue composizioni hanno tutte per tema l’amore spesso travagliato ma che lascia spazio alla speranza. Dopo un periodo di silenzio si unisce come chitarrista al gruppo Los Tress con Giulio Traversa e Gianni Naclerio.

Così la scheda su Carlo. Non c’entra nulla, ma pignoleria giornalistica imporrebbe di segnalare che il nome di quel trio è stato riportato negli anni come Los Tres, oppure Lostress (parola unica), ma visto il contesto non entro nel merito.

É certo che il mio destino e quelli dei Lostress (per me sarebbe giusto così) si incrociano nel 1996 quando il magico trio furoreggiava nei fine settimana al primo piano del Bar Principe in Galleria Guerci. Oggi quel locale non esiste più e al suo posto ci sta un ottimo ristorante. Allora il Principe era affollatissimo e non sbaglio a sottolineare che il merito ricadeva quasi tutto sui Lostress. Di musica ne capisco e l’alchimia fra i componenti era azzeccatissima; l’anima rockettara di Giulio, la voce straordinaria quasi tenorile dell’ex bambino prodigio Gianni e il cantautorato di Carlo, dotato di una particolare e suggestiva timbrica roca in grado però di estendersi a ottave inimmaginabili. Le tre serate conclusive delle settimane al Principe si presentavano come piacevoli bolge con una percentuale assoluta di passerotte in estatica contemplazione dei musicanti anche perché i tre, ognuno col proprio stile, erano proprio dei figaccioni. Per me non era un bel periodo per varie ragioni che qui non serve approfondire, ma una serata al Principe con la musica dei Lostress mi tirava su il morale.

Li conoscevo tutti: con Giulio avevo frequentato le elementari oltre ad averci suonato insieme decine di volte, con Gianni avevo incrociato un paio di serate al Vig Club di Vignale e al Piccadilly di Spinetta Marengo nel 1970,  ma Carlo era quello che conoscevo di meno, intravisto di sfuggita a casa di un’amica qualche anno prima. Fu proprio Carlo una sera fra le tante a fare un gesto che mai più dimenticherò: me ne stavo a poca distanza da loro in piedi ad ascoltare la bella musica che proponevano quando lui, nell’intervallo di silenzio tra un pezzo e l’altro, si slacciò la tracolla e mi porse con un sorriso la sua chitarra.

Beh, si possono riversare fiumi di retorica scritta su momenti del genere, quelle circostanze in cui qualcuno, reputandoti un degno e sodale artista, ti invita sul palco addirittura cedendoti il posto. A disposizione esistono solo due risposte: o ti neghi, non ritenendoti all’altezza ma rischiando di passare, visto che c’è anche un mare di gente attorno che segue la scena, per “uno che se la tira”. O accetti perché ti piace il riconoscimento, ti piace la musica e ti piace suonare, ma soprattutto ti piace colui che ti invita.

Insomma, accettai la “chiamata” e mi misi la sua chitarra a tracolla, balbettando qualche esile scusa tipo: «Carlo, magari non conosco il pezzo» e lui alzò le spalle con un ghigno irresistibile. Poi Gianni, dato che i tempi morti al Principe quasi non esistevano, partì, forse per favorirmi, con Banane e lamponi, una roba abbastanza facile di Morandi che mi permetteva di fraseggiare in Re minore, finita la quale venni presentato con nome e cognome al pubblico presente, un gesto di vera cortesia e in realtà conoscevo quasi tutti. Cercai Carlo con gli occhi per ridargli lo strumento, ma lui dal banco del bar mi fece segno di andare avanti. Inutile opporsi e così feci. Poi sinceramente non ricordo bene. So che dopo mesi mi sentivo felice. Di sicuro molti di voi lo sanno, a 46 anni per un uomo possono nascere problemi. Nella testa, nell’anima, nel cuore. Sta per arrivare il mezzo secolo, ti senti – forse lo sei proprio – “fuori dal giro”, non capisci bene dove la vita ti sta facendo debordare. Ma una sera qualcuno ti ricorda che esiste la musica e, per farla breve, come cantava Shel Shapiro, “finché c’è musica mi tengo su.” O, nel caso mio, ritorno su. Grazie a Carlo che mi aveva allungato la chitarra.

Arrivarono sviluppi imprevisti e certo graditi da quella sera. Da tre, i Lostress divennero per molto tempo quattro. A loro andava bene, figuratevi a me. Tante serate, tante storie di vita, canzoni. Carlo con i suoi cavalli di battaglia, Ayrton, Notte prima degli esami o La forza della vita. Se ne impadroniva, con quella profonda umanità artistica di cui era dotato. Non erano più di Dalla, Venditti e Vallesi. Erano “sue”.

Tutto però ha una data di scadenza in questo mondo deteriorabile. Lostress dopo un po’ di tempo finirono. Ognuno continuò su una propria strada, ma sempre  a contatto diretto con la musica. Perché la musica ce l’hai dentro, non la puoi espellere a comando.

Sabato 29 giugno Carlo se ne è andato per sempre. Anzitempo se serve rimarcarlo. Ricorderò per sempre e con gratitudine quella notte al Bar Principe.