La donna in grigio di Anna Maria Villalonga [ALlibri]

A cura di Angelo Marenzana

 

 

La rubrica AlLibri di questo mese di luglio sarà dedicata a quattro tra le più recenti pubblicazioni delle Edizioni della Goccia di Davide Indalezio. Parliamo di un piccolo ma coraggioso editore di Casale Monferrato che dopo alcuni anni di artigianato editoriale, incomincia ad aprirsi al mercato in maniera sempre più determinata grazie soprattutto alla presenza di autori di qualità indiscussa.

 

Il primo appuntamento è con La donna in grigio, di Anna Maria Villalonga, autrice presente in Italia in questi giorni anche per la presentazione del proprio romanzo al festival del Giallo di Garda. La dona de gris (2014) è il suo primo romanzo, col quale ha vinto il “Premio València Negra” per il miglior noir in lingua catalana ed è il suo primo romanzo tradotto in italiano. Anna Maria Villalonga  è laureata in Filologia Catalana e Ispanica, è dottoressa in Letteratura, scrittrice, articolista, critica cinematografica e docente di Lettere all’Università di Barcellona. È presente in numerose antologie con i suoi racconti e microracconti, come la recente Contes per a les nits de lluna plena (2018), ed è stata coordinatrice delle raccolte Elles tembé maten (2013) e Noves dames del crim  (2015). Il saggio Les veus del crim  (2013) contiene le interviste a dodici famosi giallisti spagnoli contemporanei. Nel 2017 El somriure de Darwin è stato finalista di vari premi letterari.

Nel romanzo si racconta di una donna priva di alcuna attrattiva speciale. Né alta né bassa, né giovane né vecchia. Un personaggio grigio in mezzo alla massa grigia, con un foulard al collo. Tutto ebbe inizio come un gioco per scongiurare la routine. Non gli passò per la mente che, talvolta, i giochi ci sfuggono di mano, impossibili da controllare. Una donna come tante e un uomo che ne diventa ossessionato. Una vicenda appassionante in un romanzo intenso, ricco di imprevedibili colpi di scena e di profondità psicologica. Un viaggio nell’animo di personaggi apparentemente insignificanti sopraffatti dalla realtà che li circonda.

Buona lettura.

 

 

La donna in grigio

di Anna Maria Villalonga

 

 

Preambolo

 

La donna non aveva alcuna attrattiva speciale. Né alta né bassa, né bella né brutta, né giovane né anziana. Un personaggio grigio in mezzo alla massa grigia. Con un foulard al collo.

L’idea gli era balenata in testa in maniera improvvisa, tuttavia gli era parsa subito una bella trovata, un’attività innocua. Sapeva che, a volere essere proprio puntigliosi, qualcuno avrebbe potuto obiettare che stava trasgredendo la legge o, quantomeno, la tanto ribadita violazione della privacy, ma non se ne preoccupò granché. Gli scrupoli iniziali si dissiparono quando considerò la quantità di videocamere che ci sorvegliano, di giorno e di notte, da qualsiasi angolo della città. Se il Grande Fratello è già tra noi, impunito e all’ingrosso, lui che faceva di male? In mezzo a tanta informazione spiattellata a destra e a manca, un uomo come lui appariva chiaramente inoffensivo.

Di fatto, trovò che il tutto avesse un che di letterario, se non addirittura poetico. Non ricordava con precisione, ma sicuramente doveva avere preso spunto da qualche romanzo o film. Si sa che le cose rimangono sopite nel nostro subconscio e affiorano quando vogliono, di punto in bianco. A ogni modo, non indugiò a lungo. Era troppo allettante.

 

Tutto ebbe inizio come un gioco per scongiurare la routine. Non gli passò per il capo che, talvolta, i giochi ci sfuggono di mano, impossibili da controllare.

 

[…]

 

 

2

 

Non riesce a elaborare un granché, perché in realtà non sa esattamente cosa significhi questa espressione, ma trascorre la giornata immerso in uno strano stato di esaltazione, a metà strada fra l’euforia e la discordanza. L’episodio del mattino è stato un’idiozia, ne è pienamente cosciente. In verità, cos’ha fatto? Ha seguito una persona per ridarle un oggetto personale che le era caduto a terra. L’azione più semplice e sensata. Tuttavia, quel contrattempo ha aperto un gradito spiraglio nella sua quotidianità. Le sensazioni provate, nuove di zecca, lo hanno stimolato, come se qualcuno gli avesse tirato in faccia un secchio di acqua fredda dopo una lunga dormita. Avverte un languorino e si prepara il pranzo, più pimpante che mai, canticchiando fra i denti, mentre rimugina su come dare continuità all’avventura. Si versa persino un bicchierino di vino rosso, un lusso che non si concedeva da molto tempo.

Ha lasciato il foulard sul divano e di tanto in tanto lo osserva. È grazioso, piuttosto fine. Decide di annusarlo, cercando di mettere in relazione l’aspetto insulso della sua proprietaria con quell’aroma delicato. Gli paiono inconciliabili, ma non ne è del tutto sicuro. Di fatto, non ci capisce un’acca di profumi. Bofonchia, contrariato, nell’osservare ancora una volta le stropicciature del tessuto, accentuatesi visibilmente dopo averlo ficcato in tasca. Si sente sopraffatto da un dilemma di difficile risoluzione. Cosa deve fare? Stirare il foulard? Se trova il modo di restituirlo alla donna, se si decide a farlo, non può consegnarglielo ridotto uno straccio. Ma se glielo ridà ben stirato, non sembrerà strano? Per di più, che cosa ne sa di ferri da stiro, lui? Un capo di un tessuto così delicato sicuramente si brucia con estrema facilità.

Opta per una soluzione intermedia. Dispiega il foulard sul tavolo e, lentamente, lo stira con le mani. Alle estremità, al centro. Ci passa sopra le dita a lungo per spianare le grinze. Quando finalmente ritiene che abbia recuperato quasi del tutto il suo aspetto iniziale, lo piega scrupolosamente e lo ripone nell’armadio dei vestiti. Prima di richiudere l’anta, intuisce con piacere che la fragranza di frutta dolce impregnerà le sue camicie.

Il pomeriggio avanza e, quando l’effetto delle endorfine e del bicchiere di vino svanisce, anche l’entusiasmo iniziale comincia a scemare. L’euforia sfocia in un improvviso malumore. Lieve, ma reale. Non rinuncerà all’avventura, questo è certo. Si è molto divertito. Ma lo scontro con la realtà l’ha fatto sprofondare in un’autocommiserazione agrodolce. Chi vuole ingannare? Cos’è quella fandonia di volere diventare il personaggio di un libro? Sembra un bimbo o, ancora peggio, uno fuori di melone, un fulminato. A ben vedere, forse le cose stanno così. È l’inizio della follia. Sta perdendo il senno? No, no, no. Ma va’. Ha solo bisogno di nuove sensazioni, qualche diversivo. L’unico problema è la sua vita troppo reclusa e solitaria. Deve recuperare il tempo perduto, come Proust. Ma… E se la follia dipendesse proprio da quello? In fin dei conti, è risaputo che la solitudine picchia in testa.

Un altro punto, poi. Perché ha seguito quella donna, proprio lei? È una che non gli dice niente. Non suscita in lui alcuna attrattiva speciale, nel modo più assoluto. Non la trova carina, non ha nulla che la distingua dalla massa, dal gregge di umani gregari. Dunque… Perché? Forse perché è un esserino insignificante quanto lui? All’improvviso, però, gli sembra che questo interrogativo abbia una risposta facile. Anche la donna è un artificio retorico, un personaggio emerso strategicamente, un’apparizione materializzatasi nel momento opportuno allo scopo di scongiurare la sua noia. Lui è il protagonista. La sconosciuta, no. La sconosciuta è solo una comparsa. Esercita un’unica funzione, quella di essere un elemento contingente atto a sviluppare la sua finzione romanzesca. D’altro canto, tutto si incastra grazie al foulard, che gli ha offerto un cliché un tantino inflazionato, ma utile. Il foulard. Il foulard è stato il detonatore, il correlativo oggettivo, la scusante perfetta. E ora riposa nell’armadio, in attesa che lui si decida a proseguire con la trama.

Dopo queste riflessioni, si sente più tranquillo. Il suo impulso irrefrenabile acquisisce un significato chiaro. Vuole solo emozioni. Emozioni innocenti. Nessuno ne verrà mai a conoscenza. Non farà alcun male. Si tratta di una questione interiore, personale. Come documentarsi per scrivere un romanzo. Proprio così, si sta documentando. È stufo di vivere da agente passivo. Non ne può più di non vivere. Da adesso in poi, seppure protetto dall’anonimato in una città altrettanto anonima, diventerà un soggetto attivo. Un essere che agisce. Non solo potenzialmente, ma nell’atto pratico. Un personaggio che si muoverà e prenderà decisioni. Un eroe che vivrà.

Con questo nuovo spirito, l’indomani al mattino esce di casa, senza soffermarsi sullo sguardo critico dello specchio. Ha con sé il foulard arrotolato e infilato in un sacchetto. Intende iniziare dal bar. Se la sconosciuta sa il nome del cameriere, vuol dire che è una cliente abituale.

La risolutezza con cui irrompe nel locale non ha niente a che vedere con la goffaggine del giorno prima.

«Buongiorno, Hèctor. Avrei bisogno di parlarle un attimo».

Che cosa audace, chiamarlo per nome. Però ci sta. Come se lo conoscesse da una vita. Ma Hèctor non fa una piega. Quant’è gelido, quest’uomo. Che razza strana.

«Cosa le servo?»

Accidenti, cosa le servo. Un professionista. Non voglio niente, devo solo parlare.

La buona predisposizione con cui aveva cominciato si sgonfia un po’.

«… Non saprei… Facciamo un caffè non troppo forte, per favore?»

Hèctor non risponde. Armeggia un attimo con la macchina del caffè e rinnova l’ancestrale movimento di sbattere la tazza. Povero cucchiaino.

«Senta… vorrei farle una domanda».

Il cameriere si ferma a stento, con un’impazienza evidente.

«Dica».

«Ieri mattina sono stato qui».

«…»

«Ho preso un tè».

«…»

«Io… be’, c’era una donna, con un abito grigio… non so se ha presente a chi mi riferisco. Ha pagato un caffellatte e una ensaïmada».

«Quindi?»

«Il fatto è che… le è caduto un foulard e io l’ho raccolto. Volevo ridarglielo».

Hèctor butta un’occhiata al sacchetto che, istintivamente, gli viene mostrato dal cliente.

«Ho pensato che forse fa spesso colazione qui».

Il cameriere riflette un istante.

«Mi sa che lei sta parlando di Glòria. Sì, viene a fare colazione qualche volta. Se mi lascia il foulard, glielo rendo appena la vedo».

Non ci siamo. Non avrebbe dovuto mostrare il sacchetto così presto. Errore.

«Be’, vorrei farglielo avere io stesso… Sa quando verrà?»

«Come faccio a saperlo? Qui la gente entra ed esce. Se mi vuole lasciare il foulard, bene. Altrimenti, non so che dirle..

Male, male, male. Ha fatto una cavolata. Non sa più che pesci prendere.

Hèctor lo guarda come se osservasse una pulce.

«Senta, io non ho il minimo interesse a tenermi il foulard» tono acido, sprezzante. «Le assicuro che lo ridarò a Glòria. Non sono un ladro».

Probabilmente è la cosa migliore. La più sensata. Con una certa riluttanza, lascia il pacchetto in mano a Hèctor.

«Non ho mai pensato che lei fosse un ladro… Mi scusi… E grazie».

Esce in strada cercando di nascondere la propria delusione. Che stupido. Tante ore di lettura non gli sono servite a nulla. Ha mandato a rotoli la trama. Ma, all’improvviso, si rende conto che non è così. Al contrario! L’intreccio segue il suo filo logico. Non vuole parlare con lei, vuole solo seguirla. Osservarla. Il foulard ha già assolto la sua missione e ora sarà restituito alla sua proprietaria. È giusto che sia Hèctor a ridarglielo. Lui non deve farsi vedere. Inoltre, ha buoni motivi per sentirsi più che soddisfatto. Ha ottenuto due informazioni nuove. Adesso sa che la sconosciuta si chiama Glòria e che frequenta il bar con una certa regolarità. Perciò, deve solo avere pazienza. Prima o poi ricomparirà.

Non gli tocca attendere a lungo. Due minuti dopo, mentre è ancora lì assorto sul marciapiede, la vede sopraggiungere in fondo alla strada. Indossa pantaloni, una giacca grigio scuro e la borsa a tracolla, ma gli pare che, in questa occasione, non porti nessuna sciarpa. Cammina rapida. Lui si nasconde dietro il vano d’ingresso della proprietà più vicina. Si sente agitato e maldestro, ma cerca di rimanere guardingo, senza attirare l’attenzione di nessuno.

Glòria – ormai ha un nome, non è più la donna, né la sconosciuta – entra nel bar. Poiché ciò avrebbe comportato uscire allo scoperto, l’uomo non può assistere a quando Hèctor le fa un cenno e le dà il sacchetto con il fagotto. Non sa neanche che la donna non si siede al tavolino, ma trangugia rapidamente un caffè al bancone, fa una telefonata al cellulare e torna in strada. È a quel punto che la ritrova, mentre apre il pacchetto, contempla per un istante il foulard un po’ sorpresa e se lo mette attorno al collo. Prima, però, lo annusa. L’uomo rimane di stucco. Non sarà per caso avvenuto uno scambio e, così come la fragranza fruttata del capo si è depositata sulle sue camicie, anche l’aroma del suo armadio si è trasferito sul foulard? Scuote la testa. Che odore ha il suo armadio? Nessuno. Neanche mezzo. A meno che la solitudine non rilasci qualche effluvio speciale.