Alessandria alla vigilia della Grande Guerra [Alessandria in Pista]

Copia di Cento cannoni per Alessandria [Alessandria in Pista] 33di Mauro Remotti

 

 

A Sarajevo, il 28 giugno 1914, giornata in cui si celebra la memoria del martirio di San Vito (Vidovdan in lingua serba)[1] l’erede al trono austro-ungarico, l’arciduca Francesco Ferdinando, e la moglie vengono uccisi dal nazionalista Gavrilo Princip. Il governo di Vienna attribuisce alla Serbia la responsabilità dell’attentato dichiarandole guerra il successivo 28 luglio. Da quel momento, come in una reazione a catena, l’Europa viene trascinata nel conflitto. L’Italia, pur inserita nella triplice Alleanza con Austria e Germania, proclama la propria neutralità. Tuttavia, nemmeno un anno più tardi, il 26 aprile 1915, sottoscrive il patto di Londra che la obbliga a entrare in guerra entro un mese al fianco dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia).

Pur in un contesto socio politico carico di tensioni e preoccupazioni: “alla vigilia della prima guerra mondiale, Alessandria sta attraversando uno dei migliori periodi della sua storia”.[2]

La nostra città – che nel 1911 conta, compresi i sobborghi, 75.000 abitanti – grazie alla sua strategica posizione geografica conserva un mercato agricolo e commerciale particolarmente florido e un’economia industriale in costante crescita. Prevale il settore tessile con i cappellifici di Teresio Borsalino, succeduto al padre Giuseppe, che trasforma la ditta in anonima “Borsalino Giuseppe e Fratello”, e al cugino Giovan Battista, il quale fonda la “G.B. Borsalino fu Lazzaro”. Negli altri ambiti produttivi spiccano, in particolare, la Cavezzale & C. e la Barberis, Ceva & Pietrasanta (argenteria),  la ditta Angelo Vitale (calzature), la G.B. Mino e Figli (macchinari per lavorare preziosi) e il laboratorio di Angelo Panelli (elettromeccanica). Una parte della produzione industriale, ad esempio le fonderie di Armando Thedy, si convertirà poi in bellica.

Anche la qualità della vita è migliorata: l’illuminazione elettrica viene estesa a tutto il centro abitato e si istituiscono i primi servizi telefonici intercomunali. Si inaugurano due nuove linee tramviarie urbane e cominciano a diffondersi le prime automobili guidate dai benestanti alessandrini.

Per quanto riguarda l’istruzione, la battaglia contro l’analfabetismo si può considerare di fatto vinta. Il nuovo direttore scolastico, Carlo Zanzi[3], promuove l’accesso all’istruzione a ogni classe sociale favorendo il successivo inserimento nel mondo del lavoro. Le attività culturali sono similmente vivaci. Il teatro Verdi (già Finzi), sito nell’attuale piazza Vittorio Veneto, propone spettacoli di alto livello, e proprio nel momento dello scoppio della guerra presenta una nuova forma d’arte: il cinema.

Nel 1914 si tengono le prime elezioni amministrative a suffragio universale maschile. A seguito di un grande successo elettorale, i socialisti, dopo un’interruzione di tre anni, tornano alla guida di Alessandria. Ernesto Pistoia[4] subentra al liberale Antonio Franzini. Da allora, sino all’avvento del fascismo, i socialisti governeranno la città.

Tra l’autunno del 1914 e la primavera 1915 la vita politica italiana, e di conseguenza anche quella alessandrina, viene scossa da forti dibattiti che contrappongo gli interventisti ai neutralisti.

Nella corrente dell’interventismo confluiscono aspirazioni e disegni politici diversi: i nazionalisti, infuocati dalla retorica dannunziana, e i democratici di sinistra; entrambe le fazioni sono a favore della guerra antiaustriaca. Vi fanno parte anche alcuni socialisti alessandrini che nel dicembre 1914 costituiscono il Fascio autonomo di azione rivoluzionaria. Tra gli interventisti si annoverano altresì i mazziniani Siffrido Pivano e il figlio Livio[5] che fonda il giornale satirico “il Gagliaudino”.

 L’idea della neutralità raccoglie altrettanti consensi nel territorio alessandrino[6], soprattutto da parte del movimento operaio organizzato e dal partito socialista che giudica la guerra un mero scontro tra stati capitalistici europei. Attestato su posizioni pacifiste, l’Ordine, il giornale della diocesi.

 Naturalmente la tradizionale marcata impronta militare farà diventare Alessandria un baluardo fortificato di grande interesse per quanto riguarda l’organizzazione bellica, la retroguardia, la logistica, e l’alloggiamento delle truppe (il teatro Verdi e il Politeama Virginia Marini verranno requisiti). In seguito, diverse scuole pubbliche, il Seminario e il collegio di Santa Chiara si trasformeranno in ospedali e alcuni edifici comunali saranno utilizzati come depositi per viveri e munizioni.

Come ricorda Piercarlo Fabbio: “Alessandria ospiterà anche i prigionieri di guerra e i profughi, oltreché i feriti in una rete che vanta circa 15 ospedali, mentre l’Ospedale psichiatrico viene ampliato per accogliere i soldati traumatizzati psicologicamente dal fronte. I prigionieri vengono accolti alla stazione ferroviaria e durante la guerra saranno alcune migliaia, mentre i profughi, in arrivo dalla Venezia Giulia, saranno poco più di cento”.[7]

La nostra città paga alla grande guerra il tributo di un alto numero di vittime (812 caduti) a cui si aggiungeranno moltissimi civili colpiti subito dopo dalla terribile febbre denominata “Spagnola”[8].

 

Tornando al titolo, è possibile affermare che:Alla vigilia della grande guerra Alessandria può insomma essere assunta a emblema dell’Italia giolittiana: una città in crescita sul piano economico e con una vita sociale e culturale molto viva, che guarda con fiducia al futuro”[9].

Ma di lì a poco un’ombra nera si allungherà pericolosamente sull’Europa…

 

[1] Vidovdan è una data storicamente importante per i Balcani. Secondo la tradizione religiosa e nazionale, il 28 giugno del 1389 la Serbia combatte contro l’Impero Ottomano nella battaglia della Piana dei Merli. Lo scontro, sanguinosissimo, ma sostanzialmente terminato senza vinti né vincitori, segna però la fine dell’indipendenza serba. Un approfondimento su alcuni momenti della storia balcanica, partendo proprio dal Vidovdan, è stata curata dal consiglio provinciale MCL di Alessandria che ha organizzato lo scorso 27 giugno un appuntamento al Museo etnografico “C’era una volta” intitolato: “28 giugno Vidovdan dal giorno delle diversità alla transeuropa”.

[2] Alberto Ballerino, “Alessandria e la grande guerra”, edizioni Il Piccolo, 2015, pag.5.

[3] Carlo Zanzi (Palermo 1864 – Alessandria 1931) diventa direttore didattico di Alessandria nel 1907. Promuove l’istituzione dei corsi popolari per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Deputato socialista, con l’avvento del fascismo viene condannato al confino per poi essere liberato a causa di gravi motivi di salute. Sulla vita di Zanzi, vedi anche Mauro Remotti: “L’impegno di Zanzi”, La Voce alessandrina, n.42 del 30/11/2017.

[4] Ernesto Pistoia (Isola Dovarese 1857 – Alessandria 1932), socialista riformista, più volte sindaco di Alessandria. Autore teatrale, è stato anche presidente della filodrammatica dedicata a Virginia Marini.

[5] Livio Pivano  (Valenza 1894 – Alessandria 1976) decorato con tre medaglie e quattro croci di ferro per la sua partecipazione alla prima guerra mondiale, fonda l’Associazione nazionale combattenti. Partigiano, nel secondo dopoguerra svolge un’intensa attività pubblicistica.

[6] In un articolo pubblicato il 7 novembre 1914 l’Avvisatore della Provincia sottolinea i benefici economici derivanti dalla neutralità Lo stesso giornale cambierà rapidamente posizione, schierandosi apertamente contro la Germania in un articolo del 13 marzo 1915.

[7] Piercarlo Fabbio, “La mia cara Alessandria”, Radio BBSI, 3 marzo 2015.

[8] La più grande ondata di morte dai tempi della peste nera: provoca almeno 50 milioni di morti in tutto il mondo. Per quanto riguarda l’Italia, si stimano tra le 375.000 alle 650.000 vittime.

[9] Alberto Ballerino, “Alessandria e la grande guerra”, edizioni Il Piccolo, 2015, pag.7.