Economia circolare? Le imprese ci credono (come ha fatto Ecoplasteam), ma la politica torna al 1998. Ignorando che il mondo è cambiato e non sarà mai più come prima [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

 

«L’economia circolare sarà il modello del futuro. Queste imprese sono quelle che investono di più in ricerca ed esportano meglio». Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club (organizzazione non profit, creata nel 1999, costituita da imprese, enti, associazioni e amministrazioni locali, impegnati nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra assunti previsti nel Protocollo di Kyoto), lo dice chiaramente e con convinzione. Ma i numeri dell’economia circolare, quella vera, rappresentano davvero «il nuovo paradigma del produrre, del consumare, della responsabilità sociale dell’impresa»? Da un recente incontro, ospitato nelle Cantine Ceretto e organizzato nell’ambito dell’edizione 2019 di ‘Circonomia – Festival dell’economia circolare e delle energie dei territori’, è arrivata una risposta positiva attraverso le testimonianze di imprenditori, associazioni, consorzi di riciclo, comunicatori e giornalisti. E c’è chi, come Duccio Bianchi di Ambiente Italia (società di consulenza ambientale, attiva da vent’anni in ambito nazionale ed europeo), ha anche affermato che «l’Italia, con una manifattura che produce moltissimo da materie seconde, ha tutte le condizioni per essere pioniere in Europa dell’economia circolare». Peccato che le norme vadano a volte in altre direzioni, creando confusione quando non addirittura problemi e ostacoli insuperabili.

«Difficile investire guardando a 10 o 20 anni con le leggi che cambiano ogni dieci minuti» sono state le parole di Riccardo Parigi, amministratore unico di Must, società di comunicazione nata nel 1989 a Genova e specializzata in comunicazione ambientale (si occupa, fra l’altro, del progetto de ‘La Filippa 2.0′ che prevede la sistemazione complessiva di aree di cava e discarica e la predisposizione, realizzando una discarica di soli rifiuti non pericolosi a servizio dell’economia circolare, per il successivo riutilizzo a fini turistico – ricreativi a Frugarolo e Casal Cermelli, in località Cascina Pitocca; il modello di intervento intende replicare quello della ‘Filippa’ di Cairo Montenotte, ndr).

Ma non solo le norme cambiano spesso e volentieri, a volte tornano anche indietro nel tempo. Come è accaduto con il decreto ‘Sblocca cantieri’, approvato in via definitiva alcuni giorni fa. Tra i vari provvedimenti in materia di rifiuti era aperta l’annosa questione dell’end of waste, ovvero la ‘cessazione della qualifica di rifiuto. Adesso torna alle Regioni la competenza a emettere le autorizzazioni agli impianti per il trattamento dei rifiuti dopo la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio dello scorso anno che aveva paralizzato l’industria del riciclo. Tutto bene? Per la politica, e anche per Confindustria nazionale che ha commentato positivamente l’approvazione del testo, sembra proprio di sì, mentre le associazioni di categoria parlano di «un paradosso» perché l’emendamento che riporta alle Regioni la competenza «rifacendosi a una norma risalente al 1998 non tiene conto dell’evoluzione tecnologica che il settore dei rifiuti e dell’economia circolare ha conosciuto. Un problema non da poco per l’economia circolare, che rappresenta uno dei comparti economici nazionali che più guarda al futuro, ma si trova inchiodato a norme di oltre venti anni fa».

Le imprese di settore rappresentate da Utilitalia, Fise Assombiente e Fise Unicircular chiedono di aprire un tavolo di confronto con l’esecutivo per arrivare «a una fattiva risoluzione del problema» che viene riassunto con queste parole: «Con le norme in vigore le imprese restano ancorate a provvedimenti vecchi anche più di venti anni, ignorando l’innovazione tecnologica nel frattempo raggiunta dal comparto grazie a nuovi processi produttivi a vantaggio dell’ambiente, mentre si rimanda a un futuro decreto gli indispensabili aggiornamenti».

Andrea Fluttero, presidente di Unicircular (Unione imprese economia circolare), durante l’incontro di Circonomia ha spiegato in modo preciso come «l’economia circolare non significa riciclo». E dopo l’approvazione dello ‘sblocca cantieri’ afferma: «Ci sono settori, come la gomma e gli inerti da costruzione e demolizione, che attendono da anni un decreto ‘end of waste’ specifico, adeguato alle esigenze operative e tecnologiche. Cosa succederà a questi impianti, che adesso rimangono inchiodati a una norma vecchia, anzi stravecchia, a oggi non è dato saperlo. Come associazione avevamo proposto in molte occasioni e a tutte le forze politiche un emendamento che anticipasse in modo completo la disciplina dell’Unione europea sull’end of waste: purtroppo, non è stato accolto. Il pacchetto di Direttive europee per la transizione verso l’economia circolare costituisce una grande opportunità di sviluppo per le industrie green del nostro Paese: serviva un’accelerazione e invece viaggiamo col freno a mano tirato. Le aziende innovative investiranno all’estero, molte imprese rischiano la chiusura e interi flussi di rifiuti, anziché essere riciclati, finiranno in discarica o a incenerimento. A completare il quadro, al ministero il tavolo di lavoro con gli operatori per il recepimento della nuova direttiva europea, che dovrà avvenire entro luglio 2020, non è neanche partito».

Anche in provincia di Alessandria non mancano le esperienze imprenditoriali innovative nel settore ambientale. Una di queste si chiama Ecoplasteam che ha aperto nella zona industriale D5 di Spinetta Marengo un impianto per la produzione di EcoAllene, polimero plastico ecosostenibile, totalmente riciclabile, frutto del recupero dei film di plastica e di alluminio che compongono, insieme alla carta, i contenitori in tetrapak. L’impianto ricicla ‘sottoprodotto di cartiera’ (e non rifiuto) e potrà continuare tranquillamente l’attività. Da un lato la società, nata come start up, guidata dal presidente Carlo Maggi ha saputo guardare al futuro evitando di impantanarsi in un progetto produttivo con alla base l’utilizzo di ‘rifiuti’ secondo la tradizionale classificazione, dall’altro però l’utilizzo di sottoprodotti delle cartiere ha qualche limite, mentre la stessa produzione che verrà avviata all’estero farà i conti con altre normative che consentiranno di mettere a punto un piano di espansione che viene definito «molto ambizioso». Alessandria resterà il cuore pulsante grazie a brevetti e innovazioni di processo e di prodotto che fanno della Ecoplasteam un caso industriale di economia circolare che è arrivato fra i sei finalisti del premio Green Alley Award 2018, riconoscimento europeo per start up che hanno sviluppato nuovi modelli di business nel campo dell’economia circolare e del trattamento rifiuti, ed è stato segnalato fra le cinquanta imprese selezionate per il premio nazionale start up dell’economia circolare promosso dal Circular economy network.

Ecoplasteam ha preso una posizione molto netta rispetto alle norme approvate nei giorni scorsi. E non ne fa mistero nemmeno sui social, come Twitter. «Continueremo a batterci per il riciclo perché è possibile non bruciare o buttare in discarica. Purtroppo noi andremo all’estero, il testo dello ‘sblocca cantieri’ era l’ultima speranza, però così non è stato» sono stati alcuni dei tweet. Cui si è aggiunto questo: «Nuovo End of waste: l’economia circolare è solo come proclama, mentre le norme complesse, frutto di compromessi assurdi, approvate e decantate come soluzioni, invece cristallizzano e bloccano definitivamente al 1998 l’elenco dei rifiuti riciclabili. Ecoallene will go to Austria, so sorry». Sapere che lo stabilimento di Alessandria non verrà né ridimensionato, né chiuso di certo incoraggia. Meno il fatto che oggi molte imprese italiane stiano rivedendo strategie e piani di investimento per riposizionarsi all’estero perché in questi paese è sempre più difficile lavorare.