In volo su Roma di Massimo Pallottino [ALlibri]

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a cura di Angelo Marenzana

 

 

Un gradito ritorno sulle pagine di ALlibri quello di Massimo Pallottino, lucano di Rionero sul Vulture e impegnato professionalmente a Roma, autore di due romanzi nori entrambi pubblicato per Pequod, Un rebus per uccidere e Io aspetto nel buio. Ormai in dirittura d’arrivo con il suo prossimo romanzo, si resta in attesa di trovare la nuova fatica di Massimo Pallottino esposto nella vetrina delle librerie. Buona lettura con In volo su Roma.

 

 

Quella sbornia in compagnia di David, e poi Lui…Bill Viola…[ALlibri] CorriereAl

In volo su Roma

 

di Massimo Pallottino

Di solito la domenica mattina alle dieci io e Peter, che abitiamo a Trastevere a poca distanza l’uno dall’altro, facciamo una passeggiata per le vie del nostro quartiere; ma stavolta propongo al mio amico di cambiare tragitto e di dirigerci verso il Lungotevere Prati, dove a un certo punto gli dico di fare una sosta su Ponte Cavour. Mentre parliamo, intervalliamo la chiacchierata con delle lunghe pause di silenzio, dal canto mio senza che ne abbia realmente l’intenzione, presi dal contemplare il pacifico corso del Tevere, tutto vibrante di un iridescente effetto verde foresta.

“All’epoca io e Roger avevamo stretto amicizia da un anno: ma lui per me già era quel fratello maggiore che non ho mai avuto. Roger Hunt, così si chiamava, il suo cognome lo stesso del famoso pilota di Formula Uno James Hunt”, – esordisco, leggendo nel suo sguardo il pressante desiderio, che d’altronde è anche il mio, di toccare quanto prima questo argomento. Ma ecco che per una ragione a dir poco incomprensibile, ho completamente rimosso che sto intrattenendo una piacevole conversazione con il fratello minore del compianto Roger, cosa di cui mi rendo conto in ritardo, e in pratica solo quando, trascorsi alcuni secondi, lui mi scocca un sorrisetto incredulo intonato come meglio non potesse riuscirgli ad un’espressione del viso sapidamente ilare, di chi se la ride sotto i baffi(anche se in effetti non ha baffi, sfoggiando in compenso un vistoso neo centrato proprio sotto il naso camuso) per avergli parlato di Roger come di qualcuno che non conosceva, o come se fosse questa la prima volta che dovesse sentirne pronunciare il nome.

“Sì, James Hunt.” mi fa senza lasciarmi intendere di aver colto la mia madornale gaffe “che Roger per fare lo spavaldo in presenza della sua fidanzata del tempo avvicinò in un pub di Londra…”

“Ah, ma non me l’ha mai raccontato!” mi lascio sfuggire un’esclamazione e lo interrompo con un brusco cambio di voce, seguendo solo il flusso dei miei pensieri.

“Probabilmente perché l’unica impresa in cui riuscì fu quella di stringergli la mano” – Peter passa in meno di un istante da una risata goffamente trattenuta come per un senso di vergogna sopraggiunto proprio all’ultimo ad un severo aggrottamento delle sopracciglia, a conferma di una sua più seria disposizione d’animo con cui proseguire la nostra chiacchierata.

“Ma adesso lasciamo questo da parte, – riprende serio e pacato, – e raccontami piuttosto della vostra amicizia: che so, di un episodio particolarmente bello, o che più di ogni altro t’è rimasto nel cuore.”

Già, dimenticavo; e Peter ha fatto benissimo a farmelo notare. Oggi infatti ricorre il compleanno di Roger, che, se fosse ancora vivo, avrebbe compiuto cinquantacinque anni, e noi vogliamo rievocarne il ricordo parlando di quei momenti indimenticabili che ho passato con lui. Siamo a metà ottobre, stamani Roma s’è svegliata sotto un sole radioso che conferisce ad ogni cosa un incantevole tocco di magia – la luce è veramente particolare, irradiata e come intensa al punto giusto, e sarà forse per questo che vedo la mia città con occhi molto, molto diversi.

“Fu il giorno del mio quindicesimo compleanno che espressi a Roger il desiderio di fare un giro su Roma a bordo del suo elicottero.”

“E mio fratello ti accontentò, senza batter ciglio.”, – replica Peter in tono assertivo, sicuro di non essere smentito.   “Non prima però di avermi chiesto: ”allora è proprio così che desideri festeggiare i tuoi quindici anni?”, – sento la mia voce palpitante d’emozione far eco a quella di Peter, che mi suona invece invariabilmente compassata.

“E tu cosa dicesti?”

“Proprio così.” Resto un momento in silenzio, quindi riprendo: ”E ricordo che fu quella la prima volta in cui sull’onda di  una toccante emozione riuscii finalmente a liberarmi da un reverenziale imbarazzo nei confronti di Roger, il quale a quel tempo aveva il doppio della mia età.”

“Scoprii il volo che avevo sei anni, – mi faccio prendere sempre di più dal discorso, – quando vidi uno stormo di gabbiani sfrecciare nel cielo di un azzurro profondo. Allora mio padre m’aveva accompagnato a fare il bagno nel mare di San Felice Circeo, e ricordo come fosse ora che gli domandai se anche i bambini da grandi potessero volare, poiché trovavo maledettamente ingiusto che solo ai gabbiani e a tutti gli altri volatili Madre natura avesse concesso di poter godere di una visione dall’alto.”

“Hai un animo poetico”, – mi fa Peter, aguzzando gli occhi nello sforzo di distinguere meglio una piccola imbarcazione che è spuntata lontano sul versante opposto del Tevere.

“Forse, ma non è questo il punto” – preciso, in quanto l’aspetto che mi preme sottolineare non lo ritengo da poco. “Ma è piuttosto che da piccolo provavo un’invidia bestiale nel pensare che gli uccelli potessero scorrazzare in assoluta libertà e spostarsi senza nessuna difficoltà da una parte all’altra del mondo. E quando in seguito, durante il primo anno delle medie mi fermavo a contemplare l’affascinante raffigurazione del mondo sulla carta geografica affissa sopra il muro dietro il mio banco, era allora che, segnando su di essa il percorso con un dito, mi perdevo a immaginare che gli uccelli potessero volare da New York a Mosca e di lì spingersi fino in Patagonia, andando poi a posarsi per un vero e proprio capriccio sulla vetta del Chimborazo in Ecuador, e senza per tutto questo dover dar conto a nessuno.” Peter non esita a dire: ”Insomma ti rodevi dentro per l’invidia a considerare che la loro vita, a tuo parere, fosse una vera pacchia”. Approvo con un cenno del capo. Dopo un attimo estraggo il mio taccuino dalla tasca interna della giacca e comincio a prendervi appunti sotto lo sguardo interrogativo e insieme indagatore di Peter, che ad un certo punto non riesce più a resistere alla sua curiosità e mi domanda :”Per caso non è che t’è venuta l’ispirazione per una poesia?” “Non lo so ancora.” Sono fin troppo consapevole che la mia risposta è di una vaghezza inverosimile, il che mi provoca un certo imbarazzo che traspare tutto dalla voce, ma il fatto è che gli nascondo come stanno realmente le cose, perché la verità è che sto pensando sul serio di ricavare da questa nostra chiacchierata un racconto col quale partecipare ad un concorso indetto da un giovane e promettente editore romano. Attardandomi a corteggiare quest’idea rimango in silenzio e quando poi mi accorgo d’aver lasciato cadere di punto in bianco il discorso e mi sforzo di riprenderlo non ci riesco: come stordito da un incessante rimescolio di pensieri e parole sfuggenti…

“E com’è andato il giro in elicottero con Roger?” – incalza lui. Sarà stata ora la bellezza incandescente del ricordo a schiarirmi le idee e farmi afferrare immediatamente le parole con cui imbastire la risposta. “Un’esperienza entusiasmante, a partire dall’effetto che fece su di me, un quindicenne pungolato dall’adolescenziale smania di scoprire il mondo, la carlinga dell’elicottero.”

Peter tace. La sua espressione del viso sempre più interessata.

“Quindi, una volta che l’elicottero decollò e Roma divenne ai miei occhi via via sempre più piccola, immaginai di essermi trasformato come d’incanto in un essere dotato di ali e pertanto in grado di volare, e che a quel punto anch’io come tutti gli uccelli avrei potuto raggiungere a mio piacimento qualsiasi luogo del pianeta.”

“Eri un ragazzino che stava sognando ad occhi aperti.”

“Sì, certo. Ma la parte più bella ed eccitante per me arrivò quando cominciai a distinguere sotto di me la cupola di San Pietro, il Vittoriano con le sue due quadrighe svettanti nel cielo azzurro cristallo, il Colosseo ed il Tevere, che, visti tutti dall’alto, scatenarono in me un fiotto di emozioni davvero uniche che non ho mai più provato. Sai, Peter, negli anni successivi ho viaggiato molto in giro per il mondo spinto dal desiderio di scoprire posti nuovi, e con la speranza sempre rinnovata di trovarli più belli e interessanti di quelli che avevo visitato in precedenza. Ma alla fine mi sono convinto che il posto che più di tutti ti rimarrà indelebilmente nel cuore e nel ricordo è quello che hai sempre custodito nel profondo con un amore grande ma sotterraneo, torpidamente incosciente: quell’amore che esploderà prorompente solo quando, come per un’illuminazione improvvisa, di quel posto tu vedrai la bellezza suprema, per la prima volta.”

In questo momento il mio occhio è immobile a contemplare il Tevere, mentre col ricordo e il mio elicottero dei sogni sorvoliamo ancora su di esso, su di un’immagine ultrameravigliosa dalla quale a un bel momento spunta fuori il sorriso di Roger, sfolgorante al pari del sole di quel sabato di ottobre.

“Riesco a renderti la felicità di quei momenti se ti dico che l’esperienza in elicottero con Roger è stato il più bel regalo che abbia potuto farmi?”

Un lampo di gioia s’accende negli occhi di Peter mentre lui non smette di fissarmi. Eccome se sono riuscito a rendergli l’idea, mi dico, gongolante nel segreto del mio cuore. E dopo poco torniamo indietro, immersi in un silenzio colmo di un’estasi che entrambi leggiamo sui nostri volti, felici, come non mai.