I capelli a spazzola di Rivera e il tango di Lojacono [Lettera 32]

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di Beppe Giuliano

 

Gianni Rivera nelle rare fotografie della nazionale olimpica a Roma 1960 ha ancora i capelli tagliati “a spazzola”, come quando ragazzino esordì in serie A con i grigi. Quella squadra che perse la semifinale olimpica al lancio della monetina mi è venuta in mente la sera dell’eliminazione della Juventus in Champions contro l’Ajax, ricordo rinfrescato dopo l’eliminazione dell’ultima italiana rimasta nelle coppe, quel Napoli stra-favorito secondo i giornalisti sportivi nostrani (su cui ci sarebbe da dire parecchio) e invece caduto al primo ostacolo incontrato. A proposito ci sarebbe anche parecchio da dire sul cambio in panchina tra il rinnegato Sarri, mal sopportato dall’ambiente e proprio da quei giornalisti sportivi, e il conforme Ancelotti, visto che il Napoli in un anno è semmai peggiorato.

La nazionale olimpica del 1960 mi è venuta in mente perché rappresentò in qualche modo, nonostante l’esito sfortunato, un primo segnale di rilancio in un momento di massima crisi del calcio italiano.

Le Olimpiadi di Roma vennero infatti due anni dopo la prima esclusione degli azzurri da un Mondiale, quello del 1958 di cui si è riparlato lo scorso anno quando siamo riusciti a bissare l’impresa negativa mancando la qualificazione a Russia 2018.

A Roma portammo dei ragazzini che costituirono, in qualche modo, le prime basi di una rinascita del nostro calcio: con Rivera nella rosa affidata a Gipo Viani e Nereo Rocco c’erano Tarcisio Burgnich, Sandro Salvadore, Giorgio Ferrini, Bulgarelli, il Trap. C’era anche un grigio, Giovanni Fanello che insieme a Rivera (e a Tomeazzi) segnò i gol del vincente esordio per 4-1 contro Taiwan, mentre per battere il Brasile fece una doppietta Giorgio Rossano, già due volte a segno contro il Regno Unito, centrocampista tecnico che si perse dopo l’esordio alla Juventus e un passaggio al Milan, peraltro nella stagione della Coppa dei Campioni vinta.

La semifinale contro la Jugoslavia poi campione andò ai supplementari, il “bolognese” Paride Tumburus pareggiò il vantaggio dei “plavi” poi la monetina non ci fu amica, una malasorte che nello stesso stadio napoletano ribaltammo otto anni dopo in un’altra semifinale, quella del campionato Europeo poi vinto in doppia finale proprio contro la Jugoslavia.

Europeo 1968 che coronò il ritorno al successo degli azzurri trent’anni dopo l’ultimo trofeo, essendo passati nel frattempo dalla “verguenza” della rissa col Cile che ci buttò fuori dai mondiali del 1962, e segnò in qualche modo la carriera in nazionale proprio di Ferrini, peraltro in campo nella semifinale del 1968, quella vinta al sorteggio contro l’Inghilterra. E soprattutto passando dalla Corea dei mondiali del 1966, credo non si debba anche a molti anni di distanza aggiungere una spiegazione di cosa si trattò.

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Quella squadra olimpica mi è tornata in mente perché l’eliminazione della Juventus che tutti pronosticavano vincente nella Champions, e poi quella del Napoli hanno certificato ulteriormente il momento di debacle del nostro calcio.

La nazionale dopo la vittoria nervosa ai mondiali del 2006 ha sempre fatto male, unica eccezione la finale dell’europeo del 2008 con la squadra guidata dal sottovalutato (e subito accantonato) Donadoni in cui peraltro gli spagnoli ci misero sotto come l’Ajax ha fatto coi bianconeri.

L’ultima vittoria in una competizione per club risale al 2010, l’anno del triplete dell’Inter di Mourinho. Da allora solo le finali perse dalla Juventus, che intanto domina il campionato più debole e meno equilibrato tra i principali (nei quali non includo la Francia, campione mondiale ma con un torneo nazionale poverissimo), punta di diamante (si fa per dire) di un sistema sfasciato, basti ricordare una serie B iniziata senza sapere bene con quali squadre, per scendere a una C da “repubblica delle banane” dove, limitandoci al girone dei grigi, abbiamo visto l’incredibile e vergognoso 20-0 di Cuneo-Pro Piacenza e dove vediamo squadre con penalizzazioni, sempre in aumento, che sembrano le temperature dell’inverno siberiano.

Dopo quella Olimpiade, in realtà, prima della nazionale un segnale di inversione di tendenza lo diedero proprio le competizioni europee per squadre di club.

Nel 1960-61 la Fiorentina vinse la Coppa delle Coppe. L’allenava Nándor Hidegkuti, il primo “falso nueve” della storia del fùtbol, quello che contrariamente ai suoi compagni della nazionale più bella di sempre (prima dell’Olanda) non abbandonò l’Ungheria durante la repressione del 1956.

In porta c’era Ricky Albertosi, il futuro co-protagonista della zuffa con Rivera che costituirà il prologo del gol più famoso dell’abatino in Italia-Germania 4-3. Davanti a lui giocavano due terzini nostrani, il grigio Enzo Robotti e il casalese Sergio Castelletti.

Lo stesso anno la Coppa delle Fiere la vinse la Roma con in porta il ragno Cudicini e tra gli undici un altro che in maglia grigia si farà poi molto amare, Francisco Ramon Lojacono, di cui la figurina Panini riporta la statura di 1,69 per 82 kg. per dire come siano cambiati fisicamente i giocatori di fùtbol oggi.

Lojacono era straordinario nel calciare tiri da lontano e punizioni violentissimi (33 reti in meno di 100 partite con la maglia grigia), lo era altrettanto nel conquistare donne molto belle. E si favoleggia anche, a proposito degli anni romani, di un tango ballato in un locale di via Veneto all’alba, nella notte prima di una partita, con la più grande attrice italiana di sempre, Anna Magnani.

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Iniziava a spuntare una riga nella pettinatura di Gianni Rivera quando il Milan vinse la Coppa Campioni a Wembley a maggio 1963, primo successo di una squadra italiana nella massima competizione europea per club, e il ragazzo di Valle San Bartolomeo era pettinato come più lo ricordiamo nella finale del Bernabeu stravinta con l’Ajax (di cui abbiamo scritto poche settimane fa) che chiudeva quel decennio straordinario per le milanesi, in cui la grande Inter vinse due coppe dei Campioni e due Intercontinentali quando la sfida tra le regine di Europa e Sud America aveva valore e contenuti epici.

Possiamo ora aspettarci una rinascita del nostro calcio simile a quella degli anni sessanta che abbiamo raccontato?

Indubbiamente un bel segnale lo sta dando proprio la nazionale, con un gruppo di giovani ben guidati dal Mancio che magari in futuro potremo paragonare agli olimpici con cui giocava il giovane Rivera con i capelli tagliati “a spazzola”.

Mentre sono molto meno ottimista sul futuro prossimo delle squadre di club (e ben felice invece se sarò smentito).