Ma perché le merci dovrebbero passare dove non interessa quasi a nessuno? La ferrovia dei corridoi europei e quella di Cgil e ‘Città Futura’ [Centosessantacaratteri]

print

di Enrico Sozzetti

 

La cosa positiva? Avere portato il tema dello scalo ferroviario di Alessandria di fronte a un pubblico composto nella quasi totalità da politici, pubblici amministratori e sindacalisti. Quella negativa? Avere utilizzato modelli, studi ed esperienze ormai superate dalla storia e dalla velocità dell’economia e pensare in qualche modo di detenere delle verità incontestabili. Se l’obiettivo era «mettere a fuoco proposte e ragionamenti sul futuro di Alessandria» è stato in parte raggiunto, ma forse non come avevano pensato gli organizzatori. Franco Armosino, segretario generale della Camera del lavoro di Alessandria, ha aperto insieme a Renzo Penna, presidente dell’associazione ‘Città futura’, l’incontro pubblico dedicato al “recupero e al rilancio dello scalo merci Alessandria Smistamento”, ospitato a Palazzo Monferrato, in via San Lorenzo 21 ad Alessandria. Quindi la parola è passata a Giorgio Ajassa e Dario Zucchelli, ferrovieri in pensione, del gruppo ‘Noi per Savona’. Ed è iniziato il viaggio in un altro mondo.

La loro analisi dei collegamenti ferroviari fra Savona e l’entroterra (verso Cuneo e Torino, come in direzione di Alessandria) conteneva elementi oggettivi (limiti strutturali, tratti a binario unico, investimenti per raddoppiare il tratto Altare – Ceva, possibilità di ampliare il numero di convogli passeggeri e merci), ma è stata totalmente priva di realismo in quanto non ha tenuto conto delle specificità del trasporto dei container e non è stata contestualizzata ai corridoi internazionali di traffico. Quello presentato è stato un buon esercizio teorico in cui i relatori hanno messo molto dell’esperienza diretta come macchinisti, ma non è andato oltre. Se uno degli dei criteri di fondo è l’economicità di una tratta, come si fa a sostenere che basta raggiungere la stazione di Altare per poi proseguire fino ad Alessandria quasi sempre in discesa risparmiando energia e tempo? Lo sarebbe se il viaggio fosse di sola andata, peccato che oggi si parli di treni ‘bilanciati’, ovvero che partono e arrivano quasi sempre a pieno carico (come sta avvenendo a Rivalta Scrivia con i collegamenti con il porto di Genova). Allora una linea che è tutta in salita da Alessandria ad Altare non è certo competitiva. Alle pendenze si aggiunge poi il problema delle sagome. Le attuali gallerie non consentono il transito dei treni merci ‘high cube’, come previsto dagli standard europei per i Corridoi ferroviari Ten-T (sagoma limite massima di 4 metri di altezza allo spigolo (PC80) in grado di trasportare semirimorchi, container di grandi dimensioni e tir completi di motrice e rimorchio, caricati su speciali carri). «Se le sagome non sono adeguate, basta la volontà per superare i problemi» hanno detto i macchinisti in pensione. Bastasse quella per risolvere tutto.

Emmanuele Vaghi di Rfi (Rete ferroviaria italiana), dopo avere ricordato che la società si occupa della manutenzione della rete e non alcuna competenza rispetto alle scelte e agli investimenti, ha confermato come lo scalo di Alessandria rientri nei corridoi europei e che quindi Rfi è disponibile a fare la propria parte rispetto alla porzione di area di proprietà (l’altra è in capo a Mercitalia che non ha al momento invece intenzione di investire). Poi ha educatamente ricordato che tutte le idee di potenziamento delle linee che da Savona collegano il nord ovest del Piemonte, illustrate durante l’incontro, si scontrano con il limite fisico di tracciati realizzati tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: «Gli standard europei prevedono convogli lunghi 750 metri che pesano circa duemila tonnellate e che sono trainati da locomotri che pesano 90 tonnellate. È impensabile adeguare i percorsi attuali, sia per i costi miliardari, sia per il tempo necessario per rivedere tutto, dai ponti e alle gallerie». Va invece molto meglio sull’asse Torino – Trieste, come su quello che scende dalla Svizzera, passa per Novara e Mortara per arrivare ad Alessandria: «Sistemando le stazioni di Mortara e Valenza, si arriverà al capoluogo e allo smistamento con una maggiore efficienza».

Se Cesare Rossini, presidente della Fondazione Slala (Sistema logistico del nord-ovest), e Nicola Bassi, responsabile dello sviluppo e nuovi servizi di Uirnet (soggetto attuatore unico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la realizzazione del sistema di gestione della logistica nazionale), hanno parlato, il primo, di «un gioco di squadra che oggi c’è» e spiegato in dettaglio, il secondo, la funzionalità dei buffer (aree di accoglienza di smistamento delle merci sul porto di Genova) su cui sta lavorando, non si può dire lo stesso di altri interventi. Renzo Penna, da un lato, e Daniele Borioli (già assessore ai trasporti della Regione Piemonte e poi presidente di Slala), dall’altro, hanno riletto alcune pagine della storia della logistica alessandrina, con particolare riferimento al 2008, riproponendo valutazioni e proposte che in passato non hanno portato da alcuna parte.

Le Ferrovie dello Stato mettono in vendita gli scali merci di Alessandria e di Novi San Bovo CorriereAl 1

Se finora lo scalo ferroviario non è decollato, è perché molto semplicemente non interessa al mercato. Appare inutile stracciarsi le vesti continuando a chiedersi perché i treni merci non arrivano ad Alessandria e adesso invocare Savona e il porto di Vado come la possibile panacea di tutti i mali. Se i binari non sono adeguati, nessun treno li imboccherà mai. Non a caso proprio nel piano di crescita di Vado è stato messo nero su bianco che quasi la metà delle merci che usciranno dal porto, quando l’attività sarà a regime, andranno su ferro, ma direttamente all’interporto di Rivalta Scrivia. Non per niente Matteo Ferraris di Confindustria Alessandria ha suggerito di «non riproporre il masterplan elaborato nel 2008 da Slala» non perché sia fatto male, bensì semplicemente non sia il caso di «guardare al passato dallo specchietto retrovisore». Da quel 2008, ciclicamente citato da Penna, non sono passati solo undici anni. È come se fosse passato un secolo, mentre il mondo è cambiato. E continua a cambiare.